La ricamatrice di Winchester
Letteratura straniera
Editore
Recensione della Redazione QLibri
“A volte basta un filo a cambiare la trama.”
Che nascere donna non sia mai stato facile in qualsiasi tempo e luogo è risaputo. Nemmeno l’Inghilterra ancora dell’epoca imperiale sembra aver risparmiato niente alle suddite di sua maestà britannica, alle quali si è continuato a chiedere di scegliere tra famiglia e lavoro, tra matrimonio e un nubilato maldestramente etichettato come una sprezzante condanna senz’appello.
Giunta alla bella età di trentotto anni, Violet Speedwell è una di quelle donne non sposate a cui la bigotta e ipocrita società inglese degli anni Trenta del secolo scorso richiede unicamente di votarsi alla cura dei genitori e di tenere un comportamento moralmente non riprovevole. Anche lei, al pari di tante, fa parte suo malgrado del poco invidiato club di “donne in eccedenza”, come vengono additate le nubili rimaste tali anzitutto a causa della penuria di giovani uomini imputabile alla grande guerra che si è conclusa da meno di tre lustri; sui campi di battaglia del vecchio continente sono caduti anche un fratello e il fidanzato, perdite incolmabili che bruciano come ferite sempre aperte nella sua esistenza scandita dalla routine familiare e i ritmi del lavoro da dattilografa. L’improvviso trasferimento da Southampton a Winchester da lei richiesto la sottrae, per fortuna, al caratteraccio di una madre che, più che sostenerla, pare annichilirla, mentre la nuova città, dove si accosta al mondo delle ricamatrici legate all’antica Cattedrale, finisce per affrancarla aprendole nuovi, imprevedibili e insperabili orizzonti. Dopo lutti e amarezze varie, la vita sorriderà ancora a Violet? E, soprattutto, Violet saprà sorridere di nuovo alla vita?
Con una storia bellissima e intensa che conquista a poco a poco il lettore, ritorna in libreria Tracy Chevalier, già autrice de “La ragazza con l’orecchino di perla” (Neri Pozza, 2000), nonché di altri grandi successi internazionali. Anche quest’ultimo romanzo, grazie alla trama coinvolgente e alla scrittura resa particolarmente scorrevole dall’abile stile narrativo, ha tutte le carte in regola per diventare un nuovo successo letterario di questa autrice nata nel 1962 negli Stati Uniti, ma trasferitasi in Inghilterra fin dagli anni Ottanta. Tra queste pagine, infatti, emerge una sensibilità tutta femminile che si addentra nell’intimo della protagonista, facendone un ritratto perfetto che mette a nudo sentimenti, emozioni, timori e, nonostante tutto, il desiderio di amare ed essere amata ancora una volta. Violet, però, non è l’unica a testimoniare quanto sia difficile per una donna farsi strada e affrontare una società che, per quanto civile e “moderna”, si arrocca in un umiliante e opprimente maschilismo, spesso alimentato, paradossalmente, dal medesimo gentil sesso.
Se, da un lato, aveva rivendicato un tempo la propria libertà sessuale ripiegando tristemente su quelli che chiama gli uomini dello sherry, la cui compagnia poteva andar bene giusto per una notte, Violet stessa all’inizio si dimostra a disagio di fronte alla scoperta della relazione saffica tra due colleghe ricamatrici su cui gravano maldicenze e riprovazione sociale. Gilda, Dorothy e anche la non più giovane signorina Louisa Pesel emergono nel corso della narrazione come figure molto più intelligenti e autorevoli di qualsiasi uomo, illuminando d’un tratto con una luce nuova il mondo di Violet. Quello dell’emancipazione femminile, che passa attraverso la realizzazione professionale e il coraggio di disporre di se stesse senza condizionamenti né imposizioni, è il tema intorno al quale ruota indiscutibilmente questo romanzo che, oltretutto, rivela un prezioso lavoro di ricerca e documentazione storica, dal momento che la Pesel e i ricami della Cattedrale di Winchester, come si apprende da una nota finale, non sono fantasie della penna della Chevalier. E, non a caso, l’arte del ricamo finisce qui per svestirsi di quella semplicistica parvenza di passatempo da zitelle (per riprendere l’impietosa definizione data dalla madre della protagonista), divenendo ben presto quel qualcosa di cui si ha profondamente bisogno – come afferma invece il campanaro Arthur – per liberarci da noi stessi.
“[…] Violet scoprì che ricamare non era poi così diverso da battere a macchina, però dava più soddisfazione. Una volta che ci avevi preso la mano, diventava perfino rilassante e potevi dimenticare ogni altro pensiero, concentrandoti unicamente su ciò che avevi davanti. La vita allora si riduceva a una sfilza di punti blu che s’intrecciavano sul canovaccio, uno sprazzo di rosso che pian piano diventava un fiore. Invece di redigere documenti per persone che non avrebbe mai conosciuto, Violet vedeva nascere sotto le sue dita figure dai colori vivaci. […]”
Così, fra gli intrecci di quei colori e le meravigliose composizioni dei cuscini della cattedrale, Violet è capace di far proprio quel coraggio che è sempre difficile afferrare se non si è disposti a pagarne il prezzo, scoprendo infine che, talvolta, basta davvero un filo diverso per cambiare del tutto la misteriosa trama dell’esistenza.
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l'arte del ricamo
Inghilterra, 1932: la condizione delle donne è ancora di inferiorità, soprattutto se sei una donna non sposata. Questo è il caso di Violet Speedwell, 38 anni, vive con la madre, una donna dispotica, e soffre ancora per la perdita dell'amato promesso sposo e della vita che avrebbero potuto avere se non fosse morto. Un giorno a lavoro viene a sapere che si è aperta una nuova posizione a Winchester e decide di trasferirsi un po' contro il parere di tutti: ha bisogno di costruire la sua strada e di avere un po' di indipendenza. Il prezzo da pagare è che fra mantenersi e pagare l'affitto non sa come arrivare a fine mese, dovrà lesinare sul cibo, sul carbone, su tutto, ma almeno si sente libera. Frequentando la cattedrale, rimane affascinata dai cuscini da preghiera ricamati, entra così a far parte di un gruppo di ricamo e questa diventerà per lei una profonda passione nonchè un modo per stringere amicizie, in particolare con Gilda. Qui conoscerà anche Arthur, il campanaro, un uomo anziano e con una situazione non semplice alle spalle (e un'integrità morale non proprio limpida) ma che tornerà a farle battere il cuore dopo tanto tempo.
Un po' tutto il romanzo ruota intorno alla difficile condizione di essere donna all'epoca: le donne non sposate non erano viste di buon occhio, lo stesso dicasi per le donne lavoratrici o che aspiravano ad avere un pochino più di indipendenza. Le regole ferree della società perbenista non facevano altro che avallare tutto ciò e stigmatizzare ogni comportamento "diverso" tanto da arrivare ad emarginare anche persone considerate fino a poco tempo prima come amiche.
Il finale mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca, non che debba esserci sempre il lieto fine per forza, però senza spoilerare nulla mi viene da pensare che la vita di Violet sarà ulteriormente in salita nonostante possa contare su delle fidate amicizie. E' un libro che fa riflettere su quanto fosse difficile essere donna all'epoca e, anche se ancora nel 2020 non si può dire di essere a un livello di parità di genere, sicuramente si può notare che in meno di un secolo siano stati fatti dei passi da giganti per l'indipendenza delle donne. Avendo letto altri libri della Chevalier non mi sento di dire che sia uno dei suoi più riusciti, sicuramente lettura carina e scorrevole, ma sa fare di meglio.
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Violet
«Violet aveva imparato dalla propria pelle che c’erano perdite a cui nessuna polizza poteva porre rimedio»
È il 1932 quando Violet Speedwell, dattilografa esausta dalla convivenza con la madre vedova, si fa coraggio e decide di trasferirsi a Winchester. Apparentemente il lavoro è il medesimo così come medesima è la ditta per la quale presta il suo servizio, tuttavia, dal momento in cui giunge in questa nuova dimensione per lei tutto cambia. Dal semplice dover gestire quei 35 scellini che in passato riusciva anche a mettere da parte per il domani al dover far sempre più fronte a quell’età che la porta ad essere vista e additata come “signorina”, ogni giorno è una nuova piccola sfida e conquista. È in uno dei tanti giorni in cui è intenta ad ambientarsi che scopre delle ricamatrici ed è in un altrettanto momento di curiosità e d’impeto che decide di iniziare a seguirne le lezioni. Il suo sogno è quello di cucire un cuscino da destinare ai fedeli ma è anche un modo per lasciare parte di sé nel tempo, per lasciare una traccia della sua esistenza in un tempo effimero che se ne va. È in questo contesto che conosce Gilda colei che le presenterà Arthur, il campanaro dagli occhi azzurri e luminosi come schegge di vetro.
Il grande merito di Tracy Chevalier è quello di essere riuscita a ricreare e a descrivere egregiamente quella che è stata la società inglese degli anni ’30 soffermando anche la propria attenzione su quella sempre più presente e dirompente ascesa quale quella di Hitler. Il testo ha un’impronta chiaramente femminile ed è dedicato in particolar modo a questo universo racchiudendo al suo interno molteplici riferimenti al riscatto del gentil sesso ma anche alle condizioni in cui al tempo quest’ultimo viveva. È un inno all’emancipazione, se così si vuol dire, ciò emerge sia dal legame dell’amica Gilda con un’altra ricamatrice che dalla figura della protagonista condannata per non essersi coniugata in quanto reduce della perdita del primo grande amore con il quale doveva sposarsi durante gli anni della Prima Guerra Mondiale. I protagonisti maschili vengono tutti descritti con particolare criticità: il fratellino sopravvissuto Tom (sia il padre che il terzo fratello di Violet sono venuti a mancare e dal lutto le due donne della casa mai si sono riprese) viene delineato nell’ottica coniugale e pertanto essendo quest’ultimo maritato e padre vive la “sorellona” come un peso rischiando di doversela prendere in carico quando questa non sarà più autosufficiente (addirittura preferisce prendere in casa la mamma, donna dalla simpatia discutibile), i campanari sono raffigurati come figure di relativa sostanza culturale quanto più che altro come uomini rozzi e dai modi rudi, Jack Wells rappresenta ancora l’uomo che ritiene di detenere la supremazia sulla donna e pertanto finisce con il ricoprire il ruolo di naturale antagonista di Arthur, quest’ultimo, infine, assume le vesti di eroe che fa battere il cuore ma lascia perplessi circa la propria integrità morale.
Nel complesso il testo è godibile e accattivante, incuriosisce per la ricostruzione storica e per l’essere riuscito a descrivere con grande dovizia gli aspetti più ipocriti e i tanti pregiudizi della società inglese del tempo. Unica pecca che ho riscontrato sono state delle imprecisioni nel testo (ad esempio a pagina 28/29 la protagonista asserisce di dover saltare il pranzo per andare al cinematografo, a pagina 69 è la cena) o una eccessiva prolissità in alcuni punti. Il finale mi ha fatto pensare anche alla possibilità di un secondo capitolo dedicato alle avventure di questa interessante eroina.
In conclusione, una bella lettura adatta a chi desidera trascorrere qualche ora lieta con un testo non troppo impegnativo ma nemmeno indimenticabile.
«La signora Pesel aveva ragione: insegnare agli altri aiutava a imparare, perché le domande degli allievi ti costringevano a riflettere su come facevi le cose, e a comprendere perché andavano fatte in quel modo.»
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Coraggio femminile
Dopo la prima guerra mondiale, in Inghilterra come in ogni altro Paese coinvolto dal conflitto il numero delle donne superava di gran lunga quello degli uomini. Questo romanzo, che descrive la società inglese fra gli anni ‘20 e ‘30, è quindi prevalentemente femminile, non solo perché la protagonista è una donna, non solo perché si aggrega ad un circolo di sole donne dedito ad una attività per lo più femminile, ma anche perché la figura della donna esce assolutamente vincente su quella maschile. Le uniche figure maschili totalmente positive sono quelle dei defunti (il padre e il fratello di Violet); le altre o sono del tutto marginali nel racconto o hanno comportamenti discutibili: a parte lo stolker Jack Wells, che assume il ruolo di antagonista, il campanaro Arthur, con tutti i suoi modi rispettosi e generosi, non brilla per integrità, se si pensa che, pur essendo sposato, ha sedotto una donna molto più giovane, limitandosi a qualche lacrimuccia e a quattro scampanate quando ha saputo di essere diventato padre, guardandosi bene dall’occuparsi concretamente della faccenda. Anche il fratello di Violet, Tom, dietro ai suoi modi affettuosi e ad una apparente complicità con la sorella, nasconde un atteggiamento per lo più maschilista, dando per scontato che ad occuparsi della vecchia madre dovrebbe essere lei.
Il vero esempio di coraggio lo dà la protagonista, quando decide di lasciare la città di origine nonostante l’opposizione della madre e, più subdola, del fratello e quando affronta le malignità e il disprezzo altrui, per la sua scelta di vivere da sola, di fare escursioni solitarie, di affrontare senza peli sulla lingua il suo datore di lavoro, di essere amica e persino convivente di due lesbiche, di essere una madre senza marito.
Il racconto è piacevole e accattivante; le figure rappresentate hanno tutte contorni sfumati che le rendono realistiche e umane; ho trovato molto interessanti i dettagli circa l’arte campanaria (e credo che anche quelli sul ricamo possano soddisfare chi se ne intende).
La società inglese tra le due guerre, con tutti i suoi pregiudizi e le sue ipocrisie, è decisamente ben descritta e, a dirla tutta, anche molto attuale.
Nel complesso un testo di buono spessore.
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Una storia atavica di emancipazione femminile
Tracy Chevalier, a vent’anni dalla uscita del suo maggior bestseller, La ragazza con l’orecchino di perla, torna in libreria con La ricamatrice di Winchester, un libro che affonda le radici in un passato differente dal presente, descritto con perizia e metodo.
La ricamatrice del titolo è una giovane ragazza di nome Violet Speedwell. Una giovane donna, considerata dalla società “una donna in eccedenza”, ovvero una signora che negli anni 30 in Inghilterra non è riuscita ad andare in sposa a chicchessia. In realtà lei un fidanzato l’aveva: Laurence, morto però in guerra. Lei, in cerca di indipendenza e in fuga da una madre alquanto burbera e pressante, che la giudica male in continuazione, trova lavoro come segretaria e dattilografa a Winchester. E’ un salto nel buio, e ha un prezzo da pagare in termini di sacrifici. Per cercare anche un po’ di compagnia vorrebbe inserirsi nel gruppo di ricamatrici, un raggruppamento di donne che è in realtà una associazione fondata dalla signorina Louisa Pesel, e diretta ora con il pugno di ferro dalla signora Biggins; che:
“l’avrebbe riconosciuta comunque dal piglio altezzoso che faceva il pari con la sua voce imperiosa.”
Il luogo è intessuto da una profonda tradizione e prestigio: qui si ricamano dei cuscini particolari, delle vere e proprie opere di arte all’insegna del motto:
“Ars longa, vita brevis”.
Si apre con questo ingresso un lungo percorso di emancipazione e di indipendenza che caratterizza la vita futura della giovane protagonista.
Un romanzo storico tipico ed indicativo dei testi dello scrittore. Una bella storia che tuttavia non mi ha convinto del tutto. Un racconto di conquista e di indipendenza sicuramente; ma con tematiche lontane dalla attualità. L’indipendenza della donna è da secoli irta e difficoltosa, ma quella ivi descritta è proprio agli antipodi della società odierna. E’ sicuramente per l’epoca un primo e positivo passo, ma lontano, troppo lontano.
Certamente è un affresco preciso, puntuale e di indiscusso fascino. Mescolando realtà storica e finzione l’autrice costruisce con maestria indubbia una storia emozionante ma intrinsecamente superata. Una storia che parla di tanti temi quali l’amicizia, la condivisione che in questo caso passa dal ricamo, il senso di comunità. Una sorta di piccolo e superato ricamo intessuto nel vasto disegno del tempo.
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