La pioggia nera
Editore
Masuji Ibuse della sua lunga vita, (1898-1993) ha trascorso a Hiroshima solo pochi anni, ma il mondo rurale della terra d’origine è stato sempre il centro della sua geografia poetica. Le sue storie narrano dei "deboli", di contadini, di individui strappati alle loro radici da catastrofi causate da eventi naturali o dall’agire sconsiderato dell’uomo. Colonne di fuoco, vortici d’acqua, terremoti, vulcani in eruzione sono le scenario costante dei suoi racconti: la natura è governata da una forza inesorabile che guida il destino dell’uomo. Quando Ibuse arriva a "descrivere l’indescrivibile" della tragedia atomica, ha già elaborato i simboli che daranno vita e potenza alle sue immagini. Con La pioggia nera egli accetta la sfida più ardua della sua carriera e il romanzo, suo capolavoro, diventa l’epilogo di un lungo percorso artistico. La sua matura sperimentazione narrativa e la sua particolare "cosmologia" gli consentono di dare forma nuova a quell’esperienza che, per la sua mostruosità, è stata definita da tanti sopravvissuti "al di là delle parole".
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 2
Lo chiamavano pikadon
Nato nel 1898 nei pressi di Hiroshima, Ibuse Masuji non fu diretto testimone del disastro nucleare ma come uomo di Hiroshima scrisse questo romanzo che gli valse premi prestigiosi in Giappone, nonche' una fortissima diffusione fuori dal Paese.
Esperto nella stesura di romanzi storici, egli studio' in maniera capillare fonti ufficiali e testimonianze popolari fino a comporre, vent'anni dopo il fallout, il libro La pioggia nera.
Il suo lavoro non vuole essere un reportage; partendo dal presupposto che ogni testimonianza dei superstiti di fatto diviene attraverso le parole scritte " finzione narrativa" , egli intesse un racconto che cuce un insieme di voci. Prevalentemente con l'utilizzo del diario l'autore ricrea le immagini di quei giorni attraverso gli occhi della gente, ma mediate e rielaborate dalla sua scrittura.
Lo stile e' asciutto, distaccato, privo di virtuosismo estetico ma perfettamente consono al fine.
Attraverso gli scritti dei protagonisti si ritorna a quel maledetto 6 agosto del 1945 in uno scenario oscenamente mortificante. Mortificante si rivela anche la lettura del volume, quasi che per osmosi le radiazioni invadano il corpo sano del lettore. Le pagine scorrono e inebetita devo interrompere per la nausea, per la claustrofobia che mi assale e mi fa posare il libro, uscire, pensare e' successo davvero, non e' finzione, non e' un pericolo scongiurato, con che diritto l'uomo compie determinate scelte. Ben lungi dal cataclisma naturale, privo di intenzione e pianificazione anche nella sua violenza, l'autore mi incalza a chiedermi : quando l'uomo ha smesso di essere natura ?
L'apocalisse di Hiroshima compie un ciclo di sterminio immane, radicale e globale. Le morti immediate sono solo l'inizio dell'attacco atomico, poi le radiazioni infliggono ai corpi dei sopravvissuti e delle generazioni a venire una pestilenza sconosciuta. L'ignoto, pensate che allora nessuno conosceva la parola "bomba atomica" che in quei giorni veniva chiamata "pikadon" , termine coniato dai bambini e i cui ideogrammi indicano la luce ed il fragore dello scoppio.
Nessuna traccia di vittimismo nel testo che trasuda invece di vertigine ed orrore dignitosi, nemmeno si accenna alla ricerca storica delle motivazioni strategiche che vollero l'uso dell'atomica sui civili. Questo e' infatti ancora oggi il messaggio di Hiroshima, magistralmente ricalcato da Ibuse, che mira allo smantellamento nucleare a prescindere dal dove e dal perche'; gli ordigni che vennero sganciati sul Giappone sono privi di nazionalita', sono armi sganciate sull'umanita', dall'umanita'.
"Bimbo, guarda che nuvola."
E' una lettura terribile. Terribile. Proprio per questo bisognerebbe affrontarla.
Indicazioni utili
E' accaduto davvero!
Il recente disastroso terremoto che ha colpito il Giappone e il danno alla centrale nucleare di Fukushima, che tuttora minaccia conseguenze disastrose legate alla fuga di radioattività, mi hanno fatto tornare in mente un libro che da tempo mi attirava ma la cui lettura ho sempre finito col rimandare: parlo di La Pioggia Nera di Ibuse Masuji.
Il libro descrive gli eventi accaduti in Giappone a partire dal 6 agosto 1945 (bomba atomica su Hiroshima) fino al 15 agosto 1945 (resa incondizionata del Giappone).
La Pioggia Nera fu pubblicato nel 1965, vent’anni dopo gli eventi che vengono descritti con l’artificio del diario personale. In questa forma l’autore utilizza i racconti reali e le descrizioni raccolti dalla voce di quelli che subirono in modo diretto la tragedia e vissero abbastanza per descrivere gli eventi.
Ogni singola pagina riporta quindi la semplice realtà dei fatti, non ci sono invenzioni letterarie.
È tutto vero!
Questa è la maggiore difficoltà per chi legge il libro: ricordarsi che è tutto vero.
Normalmente nella lettura di un romanzo ci si lascia trascinare dall’autore attraverso invenzioni letterarie che costruiscono una storia: qui il racconto ci pone davanti agli occhi rovine e sofferenze talmente estreme e inaccettabili da sembrare opera di fantasia e man mano che si legge, pagina dopo pagina, si deve fare uno sforzo, quasi una violenza su se stessi per prendere atto che viene descritto solo quello che realmente è accaduto.
Ibuse Masuji scrive con tratto leggero: il processo di sublimazione – consentito anche dalla distanza temporale – tiene la tragedia quasi sullo sfondo, non ne presenta un’immagine corale e quindi assoluta, ma la spezzetta in immagini individuali, in sofferenze personali, familiari, legate alle piccole realtà del lavoro, del buon vicinato, del problema della carenza di beni e di mezzi per il sostentamento del proprio gruppo.
Gli uomini si scoprono piccoli di fronte ad una tale tragedia, ma nonostante questo si sforzano di continuare la propria esistenza e di far fronte ai propri impegni di tutti i giorni, come se nulla fosse accaduto: potenza della cultura giapponese, che impone di non cedere di fronte alle avversità e radica la legge ferrea del “dovere”. A questo proposito è necessario cercare di comprendere almeno in parte il modo di rappresentarsi il mondo e la vita, la mappa del pensiero giapponese, altrimenti sarà difficile accettare quella che pare indifferenza nei confronti delle immagini orribili che vengono descritte e che invece è solo rispetto, pietà e senso del dovere (a questo scopo suggerisco di leggere la prefazione al libro – circa 50 pagine! – indispensabile per entrare nella logica emotiva e morale dell’autore).
Leggere La pioggia nera lascia il segno ed è un’esperienza importante: dimostra che è possibile parlare dell’orrore senza scaricare le colpe sugli "altri", senza mostrare odio o spirito di rivalsa, è possibile osservare l’olocausto con occhio sgomento ma pacato.
Così il mondo venne informato di quanto era accaduto:
Tokyo – 8 agosto 1945 – Radio Tokyo informa che la bomba atomica ha letteralmente polverizzato tutti gli esseri viventi che si trovavano a Hiroshima. I morti e i feriti sono assolutamente irriconoscibili e le autorità non sono in grado di fornire dati circa il numero approssimativo delle vittime. La città è un immenso cumulo di rovine.
(dalla prima pagina del Corriere Lombardo dell’8 agosto 1945)
Londra, 8 settembre 1945 – Riferendo le ultime cifre rese note dalle autorità, la Domei ha dichiarato oggi che 254.000 persone sono rimaste vittime della bomba ad Hiroshima. 60.000 sono morte bruciate istantaneamente, 60.000 per ferite, 10.000 sono scomparse, 14.000 sono gravemente colpite e 100.000 leggermente. Soltanto 6.000 dei 250.000 abitanti della città sono rimasti incolumi.
(Comunicato Ansa del 8 settembre 1945)
[…] Vedemmo da lontano il corpo morto di una donna allungato di traverso nel mezzo della strada sopra l’argine. Yasuko che camminava davanti, ritornò sui suoi passi urlando “Zio, zio!” e cominciò a piangere.
Quando mi avvicinai vidi una bambina di forse tre anni che giocherellava con i seni della morta, l’abito aperto sul petto. Quando ci accostammo, afferrò forte i due seni e ci fissò con uno sguardo pieno di ansia.
Cosa potevamo fare? Più che domandarcelo, non potevamo far altro. Per non spaventare la bambina, superai guardingo le gambe della morta e di buon passo discesi di circa dieci metri. Anche lì giacevano quattro o cinque cadaveri di donne accanto a un cespuglio e un bambino di cinque o sei anni era acquattato a terra come rinserrato tra i corpi morti.
“Dai, su svelte! Coraggio, scavalcate piano”, le chiamai facendo cenno con le mani e loro l’oltrepassarono.[...]