La melodia di Vienna
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“Un pretesto per le cattive maniere!"
Il romanzo, nei suoi momenti migliori, sta in delizioso equilibrio tra tecnica e cuore.
Tecnica, con i giusti ritmi narrativi, con dramma e ironia sapientemente dosati e con una capacità di introspezione che rende da subito vivi i personaggi.
Cuore, perché a nulla varrebbe il talento dello scrittore senza il suo amore per l'Austria e la nostalgia dei fasti di un glorioso passato imperiale.
Il guaio è quando l'aspetto sentimentale prevale su quello razionale, rendendo la narrazione un po' romanzata e, nella parte finale, troppo evidente il punto di vista di chi scrive, con lunghi soliloqui messi in bocca ad uno dei protagonisti.
Un limite di cui Lothar era evidentemente consapevole, non facendo mistero della sua intenzione di scrivere “un romanzo in cui si specchiasse un tragico destino che si fa beffe dell'inverosimiglianza”.
Ma non si renderebbe giustizia a quest'opera se si parlasse solo dei suoi limiti ignorandone i notevoli pregi: è un gustoso excursus su un periodo storico di grandi travolgimenti per l'intera Europa, dietro le quinte di un Impero, quello austro-ungarico, che passò da cinquantacinque milioni di sudditi a sette milioni di abitanti di una Repubblica che nacque da una sconfitta, umiliando gli ideali alto borghesi e aristocratici: “La democrazia non è altro che un pretesto per le cattive maniere!”
Sconfitti sono, in definitiva, i personaggi del romanzo, repressi nella loro gioia di vivere dalle convenzioni sociali o infiacchiti dagli eventi, tragici, alteri e deboli, nel senso più umano del termine.
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La storia siamo noi
Raccontare la storia attraverso le vicende di chi, senza determinare direttamente i grandi eventi, ne è non di rado inconsapevolmente partecipe, è un sistema accattivante e che in genere è accolto favorevolmente dai lettori. Di esempi ce ne sono parecchi, da Via col vento di Margaret Mitchell a La marcia di Radetzky di Josepk Roth, da Il ponte sulla Drina di Ivo Andric a I promessi sposi, di Alessandro Manzoni, e, più recentemente, Cuore di pietra di Sebastiano Vassalli. La melodia di Vienna può essere fatta rientrare giustamente in questo filone e, per certi aspetti (periodo storico e luoghi) è paragonabile a La marcia di Radetzky. Si tratta della narrazione dell’esistenza di tre generazioni (gli Alt) in un arco di tempo cruciale per la storia d’Europa che, dopo la restaurazione ottocentesca e la cristallizzazione di quattro imperi, vede l’inarrestabile declino degli stessi, che verranno spazzati via dalla Grande guerra. Diciamolo francamente: il romanzo di Lothar ha un fascino del tutto particolare derivante dall’attività familiare di fabbricazione di pianoforti, che erano forse i migliori del mondo, e dall’ubicazione della trama, quella Vienna imperiale che si culla nell’illusione di essere perpetua, con i balli di corte sulle note del Bel Danubio blu, e che non si accorge, o non vuole accorgersi, che il mondo sta cambiando, che è percorso da fremiti di rivolta sociale e di aspirazioni irredentiste. L’impero asburgico è sì un colosso, ma che si va lentamente sgretolando, e se le crepe all’inizio sono piccole, da esse deriverà il collasso con il grande conflitto del 1914 – 1918. E queste tre generazioni saranno le testimoni e le partecipi di questo evento epocale, pur vivendo ognuna nel suo tempo che finisce però con il diventare un unico lungo periodo propedeutico alla fine. Nel corso della loro vita capiterà di tutto, dagli intrighi di corte a una relazione dell’erede al trono con una delle Alt, Henriette, rapporto che si concluderà tragicamente con il suicidio del primo, da ripetuti tradimenti a figli illegittimi che si amano molto di più di quelli legittimi, che francamente sono detestati, e infine le guerre, quelle del XIX secolo, la Grande Guerra e gli inizi di quella successiva. Come è possibile comprendere, c’è tanta carne al fuoco e quindi il rischio di bruciarla, ma l’abilità, l’equilibrio dell’autore tiene lontana l’opera da questo pericolo, anzi non rasenta neppure un momento il feuilleton, riuscendo a mantenere un apprezzabile distacco in un’armonica composizione che se avvince il lettore lo porta anche a meditare, a comprendere il perché di certi fatti, gli consente di arrivare a capire come fu possibile che la dinastia degli Asburgo, che per così tanto tempo aveva regnato, si sia pressoché di colpo dissolta. È un romanzo che riesce a essere al tempo stesso toccante e profondo, un affresco stupefacente di un’epoca che è stata e che mai più ritornerà e se si vuole darne una definizione in poche parole non trovo di meglio che il giudizio della stessa, unanimemente attribuitole: capolavoro.
Mi permetto solo di aggiungere che alla lettura piacevolissima di tutte le pagine si accompagnerà alla fine una struggente malinconia, nella consapevolezza che in fondo tutti siamo pedine della storia e che per tutti c’è un tempo che mai più ritornerà.
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Il fascino della cultura mitteleuropea
Una grande famiglia borghese, una grande casa, simbolo del benessere e del prestigio dei suoi abitanti, sono al centro di questo avvincente romanzo storico che ci porta nella Vienna della decadenza e del crollo dell’impero asburgico e ci conduce fino alle soglie della seconda guerra mondiale.
Il palazzetto, simbolo del prestigio e del benessere degli Alt, da generazioni produttori di pianoforti così perfetti da essere definiti “La melodia di Vienna”, ospita i numerosi membri della famiglia e, vero e proprio microcosmo, esso diviene lo specchio della società austriaca di quell’epoca di cui ogni personaggio rappresenta un aspetto.
Le influenze del romanzo storico dell’ottocento, in particolare l’influsso di Stendhal e, in parte, di Tolstoi, sono palesi, così come lo stupendo personaggio di Henriette, con le sue debolezze, i suoi errori, i suoi rimorsi e le passioni incontrollabili, sembra essere l’erede di Emma Bovary. D’altra parte il mondo e l’epoca a cui appartengono queste creature così umane nella loro fragilità, così generose nell’amare quanto egoiste nel non sapere rinunciare alla felicità di un momento, le relegano a ruoli subalterni. L’infelicità di Henriette non è molto diversa da quella di Emma o da quella di Anna Karenina.
Gli stessi figli di Henriette riflettono i diversi caratteri dell’austriaco dopo il crollo dell’impero. Hermann, il secondogenito, ne esprime i lati più meschini e spregevoli.
La sua insensibilità e il suo cinismo risaltano in particolare nel momento in cui, al ritorno dalla prima guerra mondiale, si vede come la sua reazione di reduce sia diversa da quella del fratello primogenito Hans. Quest’ultimo è palesemente sconvolto dall’esperienza vissuta. Il reinserimento nella vita civile è difficile e traumatica. Un tema, questo, tanto caro agli scrittori del novecento, un esempio significativo ne è“La paga del soldato” di Faulkner.
Hans è il nuovo uomo, che si farà sostenitore dei valori democratici e combatterà l’abuso e la violenza dell’Anchluss, si opporrà alla barbarie dell’invasore, risveglierà in sé e negli altri il giusto orgoglio nazionalista, ricordando come il suo paese avesse dato i natali ai più grandi artisti sia nel campo letterario che in quello musicale. E alla borghesia intellettuale ebrea viene riconosciuto il suo ruolo determinante nel progresso della cultura di cui era sempre stata parte integrante. Non a caso il personaggio di Henriette, di origine ebrea, è destinato a conoscere anche l’umiliazione della discriminazione razziale.
La disgregazione della famiglia Alt è in senso lato la disgregazione dell’Austria come stato sovranazionale, e la crisi dei personaggi è la crisi della società.
“La melodia di Vienna”, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1944, è un omaggio dell’autore alla sua patria, di cui ha voluto ricordare con orgoglio i fasti e la grandezza del passato. Una nota aggiunta da Lothar in calce al testo solo nel 1962 esprime l’inquietudine dello scrittore per la minaccia di una svolta autoritaria nel suo paese, un tempo culla della tolleranza e del sentimento.
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Saga familiare a cavallo tra due secoli
Ernst Lothar non è, in Italia, molto conosciuto tra gli scrittori europei della prima metà del XX secolo; infatti, della sua moltitudine di romanzi solo il presente è stato tradotto e pubblicato.
.La mia impressione iniziale, valutata la corposità dell’opera, mi ha indotto a una certa perplessità ma, assecondando il proverbio sempre valido di non giudicare ami un libro dalla copertina e /o dal numero di pagine, è subito svanita dopo la lettura dei primi paragrafi.
Una saga familiare, la famiglia Alt costruttori viennesi di pianoforti, che abbraccia tre generazione in un lasso di tempo che va dal 1888 al 1945 e ha luogo nel fabbricato di loro proprietà suddiviso in tre piani con l’ulteriore costruzione, poco prima dell’utima decade del 1800, di un quarto piano dove alloggiano tutti i componenti degli Alt con rispettive famiglie nella famosa Seilerstatte n. 10.
Una narrazione da centellinare, da leggere con attenzione e profondità paragrafo dopo paragrafo; è facile, quindi, immedesimarsi nelle atmosfere sfarzose della Vienna della casa degli Asburgo durante il suo massimo splendore dovuto alla dominazione ed espansione e al livello culturale dell’epoca. La trama è molto curata con dovizia di particolari riguardanti i fatti storici verificatisi in quel periodo; dal suicidio per amore insieme alla sua amante, baronessa Maria Vetsera, dell’allora trentenne Rodolfo erede al trono dell’imperatore Francesco Giuseppe, dei protocolli e vita di corte presso la casa imperialregia, all’apparizione di un imberbe sconosciuto Adolf Hitler non idoneo all’ammissione all’Accademia Belle Arti di Vienna (che peccato!!-sic!), alle conferenze sulla psicoanalisi tenute, a una selezionata elitè, da un “certo” dottor Sigmund Freud.
In questa cornice hanno luogo le rocambolesche e drammatiche vicende della famiglia Alt che, attraverso 57 anni, vive la maestosità dell’impero asburgico fino alla sua graduale decadenza, subendo, infine,lo sfacelo a causa della disfatta alla fine della prima guerra mondiale, e continuando con l’avvento delle camicie brune, propedeutiche al nazismo, il cui leader è ora il non più sconosciuto bensì famigerato Hitler.
Lo stile di scrittura di Ernst Lothar rende palpabile i vari accadimenti e vicissitudini di tutti i componenti della famiglia Alt che dagli onori avuti sotto la dinastia asburgica, sono poi travolti dall’Anschluss dell’Austria alla Germania nel 1938, il cui vessillo è la croce uncinata, fino ai campi di sterminio.