La maschera di marmo
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Il trauma celato della maschera di marmo
Classe 1961 è Jean-Christophe Grangé, autore, scrittore e sceneggiatore francese laureato in lettere alla Sorbona, pubblicato in Italia da Garzanti e le cui opere spesso sono state tradotte in film, non a caso è vincitore del Grinzane Cinema nel 2007 proprio per il miglior libro da cui è stato tratto un film. Nei suoi componimenti, inoltre, non mancano alcuni denominatori comuni quali, ad esempio espedienti narrativi intrisi di colpi di scena e mixati a personaggi ben caratterizzati nel loro essere.
Questa volta Grangé ci porta negli anni Trenta, verso la loro fine. Siamo in Germania e il nazismo è una realtà ormai improcrastinabile. Regna sovrana con le sue espressioni di violenza falsamente celata e le sue imposizioni dittatoriali ivi comprese le discriminazioni razziali. Ma cosa potrebbe succedere se i corpi di due generali nazisti fossero ritrovati senza vita tra le luci sfavillanti di quella che già da altri romanzi storici e testimonianze storiche sappiamo essere una Berlino mondana inconsapevole della guerra imminente ma altrettanto spregiudicata?
Le indagini sulle morti sono affidate a Franz Beewen, spietato ispettore gerarca nazista che ben presto giunge a Simon Kraus, psicanalista specializzato nell’interpretazione dei sogni. Pare infatti che entrambe le vittime fossero sue pazienti e fossero tormentate dall’incubo di essere inseguite da un uomo dal volto coperto da una maschera di marmo. A livello psicanalitico la figura di un uomo con il volto coperto da una maschera di marmo rappresenta la personificazione di paure e traumi del passato mai superati e trascinati nel presente del vivere. Tuttavia, le indagini di Beewen e Kraus sono ostacolate e non solo dall’assassino ma anche dallo stesso partito nazista perché scoprire della verità delle due morti potrebbe significare dover andare a indagare in aspetti e retroscena che il partito non ha interesse a che vengano riportati alla luce. A esserne inficiati potrebbero essere gli stessi valori della patria attorno ai quali il nazismo si è eretto e fortificato. Ancora, inoltre, legami umani e psicologici che vengono tra loro a intrecciarsi sino a ricostituire un volto e un periodo storico le cui dinamiche sanno essere anche a distanza di così tanti anni ancora oscure.
Come in ogni romanzo di Jean-Christophe Grangé anche in questo caso non mancano “gli smacchi” come precedentemente anticipato. Nulla è lasciato al caso ed è come appare, almeno in prima battuta. Lo stile narrativo come di consueto è fluido, rende la lettura rapida e non fatica e farsi esaurire nel suo sviluppo. Su questo un grande merito va al traduttore e al suo lavoro di adattamento. C’è però da dire che l’opera conquista solo in parte, in realtà. Questo perché seppur si tratti di un thriller storico ci sono delle incongruenze nello sviluppo che fanno perdere in parte di intensità e al tempo stesso cadono nel cliché tanto che il lettore che già ha letto testi di questo genere o con medesima ambientazione si trova davanti a una sensazione di deja-vu che gli fa venir meno dell’interesse verso le pagine.
Senza lode, senza infamia. Leggibile e gradevole ma non tra i migliori lavori proposti dallo scrittore.
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