La fortezza
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La pazienza
La fortezza è un romanzo bellissimo. La storia della fortezza prosegue con un secondo romanzo La proprietà, anche quello bellissimo.
Due saghe famigliari si intrecciano nel romanzo e trovano una conclusione nel successivo: la storia di Calman Jacoby, pio ebreo e dei suoi figli, e quella del conte polacco Jampolsky, persona volgare e di bassa levatura morale benché aristocratico e dei suoi tre figli, molto diversi di indole: si va da Felicia, quasi santa a Lucian, di statura morale rasoterra.
Il bello di Singer è che pur parlando di tradizioni completamente estranee e anzi lontanissime da noi, riesce a rendere quelle tradizioni così vive che chi legge inizia a preoccuparsi pure lui per il cibo kasher e per i bagni rituali. Il modo di pensare di ogni personaggio diventa subito famigliare al lettore. Singer è sicuramente una persona religiosa, ma anche i personaggi più lontani dalla sua morale e dai suoi valori sono seguiti con grande curiosità e simpatia umana. Certo, le persone più tranquille, più serene e più felici sono quelle che rinunciano alle passioni e si affidano a Dio. Ma poiché questa condizione di semi-santità è molto lontana dalla maggior parte delle persone e credo, anche dall’autore, Singer segue il filo delle passioni dentro il labirinto dell’animo umano e mostra al lettore cosa succede, dove si va a finire: in effetti spesso la conclusione è che l’amore non è eterno, la passione fisica sfuma con l’invecchiamento del corpo o il peggioramento del carattere, che le ricchezze non portano fortuna o felicità. Le passioni portano affanni, delusioni amarezze ma non è detto che non valga la pena di seguire il percorso doloroso e accidentato di una vita piena di passioni. Tutto questo non è guardato con occhio di parte di chi vuole portare il lettore alla sua scontata conclusione. Lo sguardo è quello dello scienziato, curioso della natura umana, che indaga senza pregiudizi e senza giudicare. Si coglie un fondo di simpatia anche per i personaggi più abietti come Lucien Jaompolsky o come Clara, la moglie fedifraga, e soprattutto bugiarda e calcolatrice, o come il debole amante di lei Alexander Zipkin. Sembra che l’autore si senta in sintonia con questi personaggi e ci metta parte di sé. Il romanzo è vivace, intelligente, mai banale nei dialoghi, pieno di idee e di vita. Le idee e le situazioni non sembrano datate anche se lo sono e da qui si riconosce il calibro del narratore che descrive l’uomo in modo vivo e attuale, perché non si è lasciato costringere dagli stereotipi e dai luoghi comuni del suo periodo ma va dritto al cuore che è lo stesso pur cambiando le idee, le mode e le culture. Bello il sogno di Clara, che vede se stessa sul letto in punto di morte, l’arancia rossa e il vecchio marito che ancora le vuole bene anche se gliene ha fatte vedere di tutti i colori. Il sogno viene poi ripreso nella proprietà. E’ come se Clara avesse una premonizione riuscendo a vedere in anticipo un momento successivo, anzi il momento finale della sua vita. In fondo quello che Singer non perdona ai suoi personaggi è l’aridità e la mancanza di slanci vitali. Le passioni sono sempre benvenute, molto meglio della freddezza, del guardare gli altri dal piedistallo e dallo stare fuori dal mondo senza simpatia per il mondo. Singer è proprio un mago perché ti porta dentro le sue storie e dopo due pagine ti trovi a ragionare come un ebreo fanatico che nemmeno ti accorgi.
La conclusione dei due romanzi è bella, perché si trova quella fiducia in Dio che alleggerisce le vicende e suggerisce un senso di pace piuttosto che di ineluttabilità delle cose. Il libro è bello, veramente bello. Mi dispiace solo di avere invertito l’ordine di lettura per cui ho faticato un po’ a leggere La proprietà.
Qualcuno stava suonando il corno d’ariete del Capodanno nel cuore dell’inverno. Miriam Lieba tornò indietro. Temeva che il sentiero per tornare a casa venisse bloccato dalla neve. Nella foresta vicina c’erano i lupi. Forse sarebbe stato tutto più semplice se l’avessero fatta a pezzi. Lucian avrebbe ricordato per tutta la vita la ragazza che avrebbe conosciuto un giorno, e che il mattino dopo era stata divorata dai lupi. Camminando Miriam Lieba andava canterellando:
Cadi, neve, cadi
E tutto copri, l’anima mia si perde
Nella nebbia e nel ghiaccio
I versi in polacco, descrivevano il desiderio di un’anima di essere nascosta nella neve, come un orso nella sua tana, o un seme dentro la terra. Avendo passato insonne la notte era piena di felici fantasie; ma con l’alba le era tornata la malinconia.