La felicità è un battito d'ali
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Il ponte bianco
Anna cresciuta a precipizio sul mare, la piu' piccola di quattro sorelle in una famiglia priva di quel figlio maschio tanto desiderato. Le onde ghiacciate dall'inverno sono troppo sottili per un corpo di bambino che non diverra' mai il marinaio che merita. Ci sono uomini che dietro l'apparenza di rettitudine si rivelano essere solamente, semplicemente dei farabutti. Una donna stringe al petto un pezzo di legno, lo culla docilmente come fosse il suo bambino. Una ragazzina legge poesie per viaggiare, mangia petali di rosa mentre il fragile corpo si svuota di ogni entusiasmo.
Di nuovo acqua, di nuovo ghiaccio, un lago gelido sul panorama di Londra e un ponte pitturato di bianco che dicono non ci sia piu'. Serve coraggio, serve forza, serve quella tenacia che non tutte le mogli possono soffocare, se lo vedi esiste e se esiste tu lo attraverserai.
Ambientato nell'Inghilterra vittoriana, "The painted bridge" ( mi rifiuto di chiamarlo col banale, patetico e incoerente titolo italiano) e' un intenso romanzo che ci trasporta in un'epoca attraverso il racconto di un evento al femminile.
Sono donne le protagoniste di questo libro rinchiuse ingiustamente in una casa di cura, colpevoli di essere di troppo nei progetti dei loro uomini, vittime della convinzione che la femmina fosse fisiologicamente soggetta ad isteria e atteggiamenti maniacali.
Brava la Wallace a trasmettere il cuore del contenuto, ossia l'impotenza della donna e la sua sottomissione al volere dell'uomo. L'inganno, l'umiliazione, la solitudine, la noia, la sofferenza e ancora peggio l'istigazione alla follia sono tangibili, taglienti. Soffocato il lettore dall'immagine di una donna sana che cerca giustizia e ottiene tortura, fino a toccare veramente quella pazzia che mai prima l'aveva sfiorata.
Scrittura fluida e contenuto interessante, ho trovato il romanzo appassionante e coinvolgente, evocativo e bene caratterizzato.
Buona lettura.
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UN PO' DI DELUSIONE....
Mi spiace dover iniziare col titolo "Un pò di delusione", perchè mi aspettavo tanto, forse troppo da questo racconto. La storia alla fine non è neanche malvagia, anche raccappricciante se si vuole, visto ciò che hanno fatto alla povera Anna nel maniconio, però questo libro non mi ha trasmesso nulla. Certo ci sono stati punti in cui ho sofferto e pianto con la protagonista, ho potuto vivere la solidarietà femminile che in qualcuno Anna stessa poteva trovare, ma probabilmente è il modo di scrivere della scrittrice. L'ho trovato troppo frettoloso in alcuni punti, troppo inverosimile, pezzi di storia che sono messi a caso secondo il mio parere, pezzi che non hanno avuto senso di essere stati scritti. La storia a mio avviso andava studiata meglio, ponderata in diversi punti e, avvolgendo di più il lettore con particolari aggiunti, sarebbe stato sicuramente un bel libro. Avrei voluto che emozioni e avvenimenti fossero presi più in considerazione, invece ti trovi catapultato in una storia che spazia troppo per i miei gusti, presente, passato, messi in ogni parte del libro. Si, lo posso consigliare, sicuramente, perchè no? Ma non posso gridare al capolavoro, non posso dire che mi abbia entusiasmato e, una volta arrivata alle ultime pagine, non vedevo l'ora di finirlo per iniziarne un altro.
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LA MENTE DI ANNA PUO' ANCORA VOLARE...
“SI SONO PRESI LA MIA LIBERTA’. MA LA MIA MENTE PUO’ ANCORA VOLARE”.
Questa frase è il cuore palpitante del romanzo; queste poche parole racchiudono tutta la sofferenza, il senso di abbandono e disperazione, che travolgono la giovane Anna, nel momento in cui accade qualcosa che mai avrebbe potuto pensare potesse accaderle. Nello stesso tempo però, lasciano uno spiraglio aperto alla cara , salvifica e viva speranza, che si continuerà a respirare tra le righe del romanzo.
Siamo nell’ottocento. Anna è una giovane donna, da poco sposata a Vincent ,vicario più anziano di lei, autoritario, maschilista, preoccupato solo di mantenere decorose apparenze, ma più spregevole del peggior delinquente. L’uomo rispecchia in pieno, il concetto dell’epoca per cui le donne, dovevano “stare al loro posto” obbedendo al marito, senza poter prendere la minima iniziativa su nulla. Il loro ruolo doveva svolgersi al meglio tra le mura domestiche allo scopo di servire ed accudire il proprio consorte.
Anna è giovane, bella ed altruista, venendo a conoscenza di un naufragio appena avvenuto, dà voce a delle “visioni” che la tormentano da tempo, riguardanti un bambino che si lancia da una scogliera e viene inghiottito dal mare gelido. Così parte senza chiedere nessun permesso per andare ad aiutare i naufraghi superstiti.
Al rientro l’aspetta la gelida collera del marito, che, senza darle nessuna spiegazione, la trasporta a “Lake House” , manicomio a gestione privata.
Anna è sgomenta che il proprio marito possa averle fatto questo, nel momento in cui capisce dove è stata portata, cerca di ribellarsi a quello che l’attende, protesta, scrive lettere al coniuge, alle sorelle, senza ricevere risposte, già, nulla esce da Lake House, le lettere vengono aperte dalla crudele e sadica signora Makepeace,carceriera senza cuore, che gode vedendo la disgrazia altrui.
Nel frattempo i giorni passano, ed Anna comincia a conoscere le ospiti della struttura, tra le quali Lizzie Button, strappata ai suoi quattro figli da allusioni sulla di lei sanità mentale avanzate dalla suocera, sfociate nel ricovero, alla signora Batt, fatta rinchiudere perché innamoratasi dell’uomo sbagliato.
Bravissima l’autrice nel tratteggiare uno scorcio, se pur romanzato, della condizione della donna all’epoca.
Diagnosi bislacche e false, torture mascherate da terapie quali il salasso, le purghe, le docce gelide, la sedia rotante. Il sentirsi autorizzati a calpestare la dignità di persone ritenute meno di nulla.
Anna è la nostra eroina positiva, sana di mente, al contrario dei suoi carcerieri, che non si lascia spezzare da quello che accade, ma lotta con tutta la forza e l’amore che ha per il prossimo e per la vita, nel gridare a gran voce il suo equilibrio e desiderio di giustizia.
Ho visto con i miei occhi i visi dei protagonisti, Lake House, ho percepito il dolore delle ricoverate, l’angoscia, la rassegnazione, la tristezza, l’urlo muto di sofferenza levatosi dai loro cuori.
Ho percepito il sadismo, la cattiveria, la superficialità, la meschinità di altri personaggi. Come ho visto la luce di speranza fatta nascere da figure positive quali il Dottor St Clair, che pensa di poter leggere con la fotografia il volto dei ricoverati, così da poter stabilire se veramente psichiatrici o meno, l’assistente Martha Lovely, che cercherà di aiutare Anna a sopravvivere.
Ne consiglio vivamente la lettura, una scrittura diretta, fluida, con un ritmo delicato e costante,che porta il lettore a non desiderare abbandonare il mondo che la Wallace dipinge.
Il male fa parte della vita, attraverso la sofferenza spesso si diventa persone più consapevoli delle proprie capacità, migliori di quello che si era prima…. Questo è un altro messaggio forte e fondamentale della storia di Anna.
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Tra quattro gelide mura
Siamo nel 1859.
Anna, è una donna sensibile e vuole rendersi utile.
Lascia un biglietto con poche righe al marito e corre sulle coste del Galles per soccorrere i naufraghi di una terribile tempesta.
Non chiede il suo permesso.
Resta lontana da casa per alcuni giorni e poi, stremata da ciò che ha visto e da ciò che ha provato, fa ritorno a Londra, nella sua realtà.
Ad accoglierla c'è un marito gelido, austero ed implacabile che non le ha perdonato questo colpo di testa.
Anna, però, non comprende. Cosa ha fatto di male? Da quando la solidarietà è un gesto da condannare?
In casa, osserva il marito compiere strani movimenti, atteggiamenti nuovi ed insoliti che la inquietano e poi, in men che non si dica, si ritrova rinchiusa a Lake House, un manicomio alle porte della città.
Qui, tra gelide e grigie pareti, tra le urla strazianti della follia, tra donne che hanno perso la ragione o la speranza, impossibilitata ad essere capita ed ascoltata, Anna si sente morire.
Scrive lettere.
Attende risposte.
Ma il silenzio ha un eco ancor più assordante della follia.
Anna si sente persa ma ha un carattere forte, forgiato dall'educazione ricevuta e si aggrappa alla vita o meglio, al ricordo della vita da libera.
Le settimane scorrono e lei, figura mesta e solitaria, vaga tra le stanze o nello sterile cortile, sotto lo sguardo vigile della sua carceriera, Martha Lovely.
Nulla le dona conforto. Quanto ancora potrà resistere?
Solo la vista dalla finestra della sua stanza la consola perché da lì può osservare quel ponticello in lontananza.
È bianco, etereo, quasi surreale. Quella è l'unica via di fuga.
Ma per fuggire ha bisogno dell'appoggio di qualcuno.
All'interno di quella gabbia sono solo due le figure a cui potrebbe rivolgersi. La prima è quella di Catherine, giovane adolescente e inquieta figlia del direttore del manicomio, l'altra è quella di Lucas St Clair, un fotografo/medico che studia le malattie mentali osservando gli sguardi delle pazienti attraverso le foto che scatta. Ma nessuno dei due sembra credere alla sua buona fede.
O forse si sbaglia? E cosa si nasconde, realmente, dietro quell'internamento?
Mi sono avvicinata a questo romanzo con grande scetticismo. Il titolo non mi ispirava per niente come pure la copertina ma la trama e l'ambientazione ottocentesca, mi hanno convinta e dopo essere arrivata all'ultima pagina, sono contenta di essermi enormemente sbagliata. L'apparenza mi ha ingannata, eccome...almeno in questo caso.
Nell'Inghilterra vittoriana, i manicomi erano sia pubblici che privati ma precedentemente, all'incirca fino alla fine del Settecento, le malattie mentali venivano curate in casa o da medici generici e prelati. Con il sorgere di queste strutture organizzate, i casi violenti vennero finalmente isolati e i disturbi mentali studiati e suddivisi in tipologie. Diversi trattati, di grande utilità sociale, furono pubblicati. Purtroppo, però, come spesso accade con qualcosa di nuovo e ancora poco conosciuto, si abusò del loro uso e da cliniche divennero vere e proprie prigioni che sperimentavano pratiche crudeli su molte persone, specie donne, rinchiuse per patologie inesistenti come ad esempio l'interruzione di un ciclo mestruale, la sterilità o perché si opponevano alle convenzioni, a mariti despoti e famiglie accentratrici e, per questo, venivano bollate come isteriche. Questo romanzo, pur avendo una trama immaginaria, dà voce a quelle vittime inconsapevoli. Nel testo, suggestivo e introspettivo, si vive con la protagonista il dolore per la perdita della libertà e della dignità, il distacco dalle proprie certezze, il dubbio, l'isolamento e l'impossibilità di comunicare perché non compresi o non ascoltati. La protagonista rivela la sua storia pian piano, attraverso immagini e ricordi in flashback e il lettore ottiene, così, il resoconto accurato di un'esistenza che è stata la stessa di molte sfortunate giovani donne. La scrittura è morbida, suadente e talmente limpida da far percepire i contesti attraverso odori, rumori e visioni.
Un romanzo da leggere per pura curiosità o per riflettere. A voi la scelta.