La famiglia Moskat La famiglia Moskat

La famiglia Moskat

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La famiglia del vecchio patriarca Meshulam Moskat attraversa gli anni che dall'inizio del Novecento scendono fino alla seconda guerra mondiale e alla "soluzione finale" messa in atto dal regime nazista. Ma il vero protagonista di questo possente romanzo è l'Ostjudentum, la società ebraico-orientale - in particolare quella di Varsavia - con la sua complessa e densa cultura. Nel racconto di Singer la ricchezza immensa di quella civiltà rivive, con minuzia realistica e visionaria, col respiro delle vicende private e il soffio della storia. Magistrale affresco di un periodo cruciale della storia europea, "La famiglia Moskat" è una delle più alte testimonianze di quel mondo che scomparve tra gli orrori dell'Olocausto.



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La famiglia Moskat 2015-06-05 06:47:43 annamariabalzano43
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    05 Giugno, 2015
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La disgregazione di una famiglia e il crollo di un

Non ci è possibile, purtroppo, cogliere tutte le più sottili sfumature di questo romanzo di Isaac Bashevis Singer, giunto a noi nella traduzione italiana. L’originale fu scritto in jiddish, per una chiaro tentativo dell’autore di conservare ancora una parte di quella cultura ebraica che andava estinguendosi. E lo jiddish sembra essere una lingua particolarmente complessa. Nonostante ciò rimane grandissimo il valore dell’opera, anche nella sua traduzione, per la rappresentazione di un mondo in crisi, drammaticamente e inesorabilmente condannato a scomparire.
Attraverso la storia di una grande famiglia che ha nel suo patriarca il proprio punto di riferimento, con grande realismo Singer analizza i limiti, le debolezze, i vizi di una parte di quella comunità ebraica residente nell’Europa orientale. I personaggi da lui creati sono di grande spessore, dal capostipite Meshulam, a Abram, a Asa Heshel, a Koppel per non parlare dei bellissimi personaggi femminili, da Adele a Hadassah a Lia. Non risparmia nessuno Singer, di tutti mette in risalto i difetti e i vizi, ma lo fa senza alcun intento moralistico, anzi quasi con indulgenza. È per questo che il lettore non è mai portato a condannare gli eccessi di Abram, pronto a soddisfare le sue improvvise e accese passioni, al punto da ignorare il principio del bene e del male, così come è indulgente verso le debolezze di Asa Heshel. Forse il personaggio verso il quale Singer è più spietato è Koppel, di cui mette in rilievo la grossolanità e la disonestà.
C’è sempre una grande differenziazione tra i personaggi maschili e quelli femminili. Dei primi si sottolineano i difetti, dei secondi la concretezza e la volontà. Ma è certamente Asa Heshel, il personaggio più significativo, per ciò che egli rappresenta nella comunità ebraica di quel tempo e di quei luoghi. Egli è l’intellettuale che non riesce tuttavia a completare alcun progetto iniziato. Studioso di Spinoza, entra in conflitto con l’ebraismo, per il fatto stesso che Spinoza escludeva il principio del creazionismo. Dunque l’inerzia di Heshel compromette tutti i suoi rapporti affettivi. Egli in un certo modo si compiace della sua infelicità e della sua incapacità di amare, pur amando appassionatamente. La sua condizione è la condizione stessa dell’ebreo prigioniero delle sue incertezze. Egli non riesce neanche ad aderire al sionismo, perché in esso non vede la soluzione ai problemi del popolo ebraico. Ciò che per altri rappresenta una speranza per Asa Heshel è solo un’illusione. Egli è dunque l’uomo singolo e parte d’una collettività a un tempo. Il suo destino non può essere che assistere al totale sconvolgimento del suo mondo, all’annientamento e alla distruzione dei valori che gli erano appartenuti. La conclusione del romanzo non lascia alcuna speranza. Se la nostalgia del passato per altri autori di religione ebraica di provenienza mitteleuropea derivava dal rimpianto d’un ordine e di un’armonia perdute, per Singer il passato non ha in sé alcunchè di mitico. Il vuoto è incolmabile. La morte è totale. L’ultima frase pronunciata da Hertz Yanovar è emblematica: “Il Messia verrà presto.” […..] “La morte è il Messia. Questa è la verità.”

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La famiglia Moskat 2015-03-13 21:43:50 bluenote76
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bluenote76 Opinione inserita da bluenote76    13 Marzo, 2015
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La morte è il vero Messia, questa è la verità

Pur nella lontananza geografica e storica, il ruolo della famiglia nella tradizione della cultura yiddish evoca l'importanza che questa istituzione riveste nella nostra civiltà e nelle culture mediterranee in genere. La famiglia Moskat, fatta di un capostipite, reb Meshulam, di tanti figli e altrettanti nipoti, si allarga con matrimoni successivi, separazioni, figli illegittimi e nuove unioni, si estende al di fuori della via Nalewka, cuore del ghetto ebraico di Varsavia, e accoglie tra malumori, liti e riconciliazioni nuovi personaggi e storie.

Per tre decenni, dagli ultimi scampoli di belle époque all'orlo dell'abisso che la inghiottirà nell'olocausto nazista, la genealogia di una benestante famiglia ebrea polacca apre uno spiraglio sulla ostjudentum, la vita delle comunità ashkenazite e ne racconta storia, tradizioni, costumi e cambiamenti in un affresco vivace e colorito, spigliato e nostalgico, venato da una profonda tristezza postuma e insieme di una inesauribile vitalità.

Il filone narrativo principale segue l'arrivo di uno studente di famiglia rabbinica, Asa Heshel Bannet, a Varsavia e il suo ingresso nella ricca famiglia Moskat tramite la conoscenza con Abram Shapiro, un viveur genero del patriarca Meshulam Moskat, e la sua storia d'amore, contrastata dalla famiglia, con una delle nipoti di Meshulam, Hadassah, dopo una fuga in Svizzera e un matrimonio infelice con Adele, figlia di primo letto di Rosa Frumetl, ultima moglie del capofamiglia.
Attorno a questa vicenda sentimentale si raccolgono le inquietudini, amorose ed esistenziali, dei vari rami della famiglia e delle famiglie imparentate o vicine, per esempio quella di Koppel, l'intrigante factotum e amministratore dei beni dei Moskat, sposato e con figli ma innamorato di una delle figlie del suo datore di lavoro.
La storia coinvolge in realtà i destini di tutta una cultura e di una lingua, quella yiddish, nel pieno dell'ondata di antisemitismo che dilaga dalla Germania nazista all'URSS di Stalin e travolge anche la Polonia, in precedenza accogliente verso il popolo eletto, con il contagio del nazionalismo e delle teorie del complotto plutogiudaico.

Singer è egli stesso erede e testimone vivente di questa tradizione così ricca e potente in tutti i campi dell'arte e della letteratura e ci lascia - non solo in questo romanzo - un ritratto estremamente fedele delle sue radici, essendo egli stesso scampato alla piena della shoah. L'autore condensa nella decadenza di questa famiglia un paradigma dell'intera realtà storica fatta di tradizioni, dell'ortodossia dei chassidim, di una morale rigidamente formale, del tradizionalismo delle mogli in parrucca e degli uomini con gabbano, barba luga e filatteri, e nello stesso tempo della spinta inarrestabile, esercitata dalla modernità, alla ribellione verso questo modo di vivere caparbiamente ancorato a una visione precettistica e rigorosa della morale.

Tutti, o quasi, i personaggi vivono in maniera dilemmatica questa opposizione tra un modo di vivere che rappresenta una certezza - una delle poche tra persecuzioni e vagabondaggi delle tribù d'Israele -, fatto di un attaccamento, persino alle sciagure, tale da vedere un pericolo anche nel sionismo nazionalista che spinge i giovani a cercare una vera patria e delle speranze per il futuro in Palestina, e le sirene della modernità nelle forme di un'omologazione che mira a confondersi coi gentili eliminando i segni esteriori dell'appartenenza etnica e religiosa, che costituiscono insieme un forte richiamo identitario e un altrettanto facile bersaglio.

La ricerca della normalità e il dolore della perdita attraversano le due generazioni centrali della famiglia Moskat: la prima, quella di Meshulam, non arriva a vedere i cambiamenti per limiti d'età e l'ultima, quella dei figli di Asa Heshel, non farà in tempo a vivere appieno la tradizione. Le due centrali, quelle di Abram Shapiro e Asa Heshel stesso, subiscono la tensione lacerante tra il peso dell'eredità ingombrante dell'Ebraismo yiddish, che pervade la vita fino al modo di vestirsi e di mangiare, e la voglia di praticare una via, anche individuale, alla felicità, ribellandosi a matrimoni combinati e riti ripetitivi e devoti.

In tutte le contrite e scoppiettanti storie che Singer - insignito nel 1978 del Nobel alla letteratura come cantore della civiltà yiddish - raccoglie nella 'Famiglia Moskat' c'è il ritratto fedele e imparziale della vitalità di questo popolo, assuefatto a pogrom e diaspore ma sempre reattivo, pronto a lasciare la terra dei propri padri e a tornarvi poi per nostalgia: così fa Lia, una figlia di Meshulam, che va in America per sposarsi con Koppel, l'amministratore dei beni paterni, contro il volere di tutta la famiglia timorosa dell'opinione della gente. Lia, oramai emancipata cittadina yankee, torna in visita a Varsavia poco prima dello scoppio della guerra con la Germania del Terzo Reich con marito e figli e non riesce a resistere al richiamo ancestrale delle origini, anche quando ormai è chiaro cosa succederà di lì a poco con la crisi di Danzica. Anzi, quasi in una sorta di 'cupio dissolvi', rimane a Varsavia fino quasi all'arrivo delle truppe naziste, mentre i bombardamenti riducono in macerie il quartiere del ghetto attorno alla via Krochmalna.

Il racconto si ferma qui, sulla soglia della cronaca, che sta per prendere i lugubri contorni della soluzione finale hitleriana, lo sterminio totale della razza ebraica, quando ormai è evidente che la fuga non è più possibile, con l'attonita consapevolezza che l'unica prospettiva messianica è la distruzione, che: "La morte è il vero messia, questa è la verità"

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La famiglia Moskat 2014-12-27 13:38:24 siti
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siti Opinione inserita da siti    27 Dicembre, 2014
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UNA GRANDE FAMIGLIA UNIVERSALE

Il romanzo corposo ma scorrevole, ruota, come dice il titolo, intorno alle vicende di una ricca famiglia ebrea di Varsavia dai primi del ‘900 allo scoppio della seconda guerra mondiale. Si entra dentro la storia attraverso il personaggio del suo ricco patriarca, Meshulam Moskat, archetipo dei vizi e delle virtù di una comunità sagacemente dipinta da Isaac B. Singer. Magistralmente entrano in scena, tra i vari gradi di parentela, figli di primo e di secondo letto, la terza moglie e la figlia, i generi, l’amministratore, i nipoti e un giovane, Asa, di cui tutto il romanzo racconta infine la storia.

Come i fili di un ordito Singer abilmente tesse la trama molto gradevole e magnetica. Ogni personaggio è accarezzato e accompagnato dal narratore che, sapientemente, lo utilizza per variare la prospettiva rispetto alla centralità insita nella grande famiglia. Si viene a contatto con un’umanità multiforme e colta nelle sue debolezze e contraddizioni. La cultura è quella ebraica anch’essa fermata in un momento storico che la mette per l’ennesima volta in discussione ma, questa volta, anche dal suo interno.
Gabbani gettati, barbe tagliate, parrucche matronali levate,scioperi, sionismo, libera circolazione di libri profani in traduzione yiddish, scuole riformate, cospirazioni e su tutto un calendario denso di festività tutte rispettate formalmente e santificate.
Il culto cela malumori, dissidi, fragilità, speranze e velleità. Copre, mette a tacere, tarpa le ali, rivisita,dona speranza, crea legami, li dissolve. La comunità- famiglia con le sue contraddizioni è legata alla sua religione anche quando nei comportamenti se ne discosta. Tutti i personaggi vivono, cadono, si rialzano, si allontanano, si avvicinano, sono in eterno movimento. Alcuni,fatalisti, si arrabattano pensando che tutto sia già scritto, altri vivono nella speranza di potersi muovere dalla propria condizione umana, altri ancora non conoscono sosta.
La famiglia è grande ed è osservata da una massa anonima che ne vive la storia e in un modo o nell’altro se ne fa partecipe. Emergono a più riprese atteggiamenti antisemiti , Singer ne fotografa il divenire da malumore a odio. Singer recupera infine, con una famiglia, un’intera comunità . Aiuta il lettore a capire la comunità ebraica offrendola, a mio parere, come un archetipo di un qualsiasi altro spaccato umano ma mostrando quale particolarità la renda unica.

Un popolo in eterno movimento, milioni di destini incrociati nella storia del mondo, un unico filo conduttore, un medesimo destino.

DOV’È LA DIFFERENZA?

Ognuno nasce, vive, muore, vizi e virtù ci animano, camminiamo su questa terra solcata da tanti altri alla ricerca, più o meno consapevole, di quel filo invisibile che tutti ci lega.

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La famiglia Moskat 2014-08-28 08:52:07 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    28 Agosto, 2014
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Una grande famiglia

Un libro bellissimo! E' bellissimo da mille punti di vista: la scrittura che raggiunge delle punte eccezionali, la storia che prende il lettore, la profondità dei contenuti, il modo in cui sono descritti i personaggi con umana simpatia, con ironia, con leggerezza. Tutto un mondo è messo in discussione, il mondo ebraico, la religione, Dio. Tutto un modo di vivere si scontra con la modernità e con nuove scuole di pensiero: Spinoza ad es. Un postulato dell'etica di Spinoza fa coincidere moralità e felicità: l'unico scopo dell'umanità dovrebbe essere dunque il piacere. Questo postulato viene sviluppato e discusso nel romanzo.
Tutti i personaggi del libro, i figli di Moskat e i figli dei figli, sono alla ricerca della felicità. Per questa ricerca vengono buttate all'aria famiglie, valori, si ruba. Ogni affanno, cattiva azione, arrabattamento non porta a niente. Tutto è vanità. L'uomo non si muove di un pelo dalla sua condizione d'infelicità se non per peggiorarla ulteriormente. Il giudizio morale dello scrittore non pesa mai sulle azioni dei personaggi. C'è nel libro un clima di grande comprensione, simpatia, affetto per le debolezze umane. I personaggi più cari sono quelli più umani. Restano nell'ombra quelli che si trincerano dietro a rigidi precetti o che li impongono agli altri. Ma prima o poi, il buon cuore ha la meglio sui precetti.
Alcuni personaggi sono indimenticabili: ad es. Abram, il vecchio satiro gaudente e generosissimo; Hadassah la ragazza pura nel senso di pulizia morale e di pensiero che sembra quasi l'agnello sacrificale della storia, Adele, Koppel, Asa Hashel.
La storia di Hadassah fa riflettere su come Dio sembri tartassare alcune persone che devono scontare i peccati di altri. E comunque è bellissimo il fatto che ogni personaggio ha la sua anima, i suoi dubbi, i suoi pensieri e debolezze, un po' come i personaggi dostojeskiani. Questo scrittore mi sembra affine al grande Dostojeski e mi ha ricordato Irene per il tema della ricerca del piacere e della felicità nel piacere. Dosto. forse è più ingenuo(non come scrittura che è profondissima) ma nel fatto che in alcuni suoi romanzi si intravede una pace, un riposo possibile dei due amanti l'uno nell'altro. Per Singer non c'è grande amore che tenga. L'uomo è votato all'infelicità, non ha pace nè scampo dalla sua condizione. C'è il rimpianto per la religione accettata e vissuta pienamente perchè chi ha fede in Dio è più sereno se non più felice. Bellissimo il personaggio dell'usuraio Fishel, marito cornuto di Hadassah, che si dimostra più pietoso della madre della ragazza. Non dà giudizi, si ritira e lascia a Dio il compito di guardare nell'animo dell'altro. Arriva a pensare che forse Hadassah deve scontare qualcosa per gli altri. Bellissimo anche il suo opposto, Koppel, il ladro. Bello che questi personaggi con tutte le loro contraddizioni hanno un'anima in cerca, con i suoi dubbi e debolezze. Sono personaggi vivi e vivaci, più vivi delle persone vive. E in tutto questo pandemonio umano si inserisce il periodo storico terribile che è quello che va dalla prima alla seconda guerra. Già dalla prima guerra aleggia quel clima che poi Hitler porterà alle estreme e naturali conseguenze esprimendo in azioni l'antisemitismo presente da tempo in Europa. E' la fine del mondo, del mondo ebraico. Anche se Singer, nonostante il suo sguardo limpido, ironico, penetrante non rinuncia a una speranza per il futuro. Non sta nell'amore vero (non c'è amore vero che tenga anche se forse tutti gli amori lo sono un po') non nella religione, non negli ebrei. Singer vuole avere fede nelle nuove generazioni. Non possono essere peggiori dei loro genitori. Ecco i figli dei figli che partono per la Palestina, per fondare un mondo nuovo. Nel vecchio mondo, la verità è terribile. Come diceva Guccini, nel vecchio mondo, nella vecchia Europa Dio, il Messia, è morto.
L'uomo è morto anche lui, probabilmente, come Asa hashel: doveva seguire Dio o morire e l'etica di Spinoza l'ha portato alla morte interiore.

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