La donna del bosco
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CHI CREDE NEL POPOLO FATATO?
Immaginate di vivere nel lontano 1825.
Immaginate di abitare in Irlanda dove, ancora oggi, si tramandano leggende e tradizioni popolari.
Immaginate ora di vivere con un bambino con problemi motori; meglio credere nella medicina e non avere possibilità di salvezza o comunque di una vita normale (visto l'epoca di cui si parla) o è meglio dar retta ad una vecchietta che nel bosco dice di poter restituire quello che si dice tuo figlio al Popolo Fatato, per poter così riprenderti il tuo vero figlio?
Questo è ciò che accade a Nora, la quale rimane vedova con un bambino da accudire, che non è altro che suo nipote. Sarà forse la speranza, sarà forse la voglia di non avere più un bambino così malato, che la donna, insieme alla ragazza che prende come aiutante in casa (Mary) alla fine decide di ricorrere alla magia delle erbe, alla magia che Nance, la donna del bosco, dice di poter usare contro quel piccolo "mostro", come loro lo definiscono.
Leggendo il libro si respira un'aria malinconica, si odono pensieri e parole di una volta, dove le credenze popolari facevano vivere in maniera quasi patetica. Tutto ciò che succedeva (dall'uovo rotto sul pavimento, a qualcosa di attaccato alla porta che cade) era presagio di malasorte, tutti si guardavano con occhio critico e spaventato. Era difficile poter vivere in modo sereno, persino Nance, con le sue erbe medicinali che curava un pò tutti, era definita strega e malvagia.
Le persone andavano da lei per poter trovare un conforto o una guarigione, ma erano pronte ad additare il dito verso di lei per potersi salvare la vita.
Bello credere nella magia, bello poter credere di poter salvare vite umane con rituali, ma la vita è un'altra. In questo libro staremo comunque col fiato sospeso, ci saranno momenti in cui saremo come la piccola Mary, avremo paura di ciò che faremo, avremo paura della magia.
Altri momenti come Nora, volendo liberarci dal male e poter vivere serenamente con un bimbo sano. Chi la spunterà davvero? La magia delle erbe e di Nance o la cruda verità? Il nipote è stato veramente rapito dal Popolo Fatato? O è un bimbo che avrebbe solo bisogno di cure ed amore?
Indicazioni utili
Miti ancestrali nell'Irlanda del XIX secolo
Un mondo di fate, di streghe e di soprannaturale quello che dipinge Hannah Kent ne La donna del bosco, edito da Piemme.
Siamo in Irlanda, nel XIX secolo e il piccolo Micheal, quattro anni, è in preda a una brutta malattia, non parla, non si muove. Ma nel piccolo paese della contea di Kerry tutti pensano che sia caduta preda di un sortilegio delle fate maligne. Ma tant’è che da quando è arrivato succedono cose alquanto bizzarre. Sua nonna Nora cerca di proteggerlo come può, soprattutto sottraendolo al giudizio del prossimo, maligno e cattivo. Lei stessa fatica ad accettare quello strano essere, fatica a vivere dopo aver subito due gravi lutti: quello del marito Martin e della stessa mamma del piccolo, Joanna. Assume Mery, una ragazza bisognosa, ma non molto esperta in cure ed insegnamento dei bambini. Non paga si rivolge al parroco e al medico, ma entrambi sostengono l’impossibilità di curare il bambino. Mentre le voci del bambino dicono che il bambino sia un changeling, ovvero un sostituto del vero Micheal lasciato nel suo lettino dalle fate. La nonna non demorde, suggestionata dalla paura e dai racconti popolari, si affida alla magia rivolgendosi a colei che in quella terra ha il dono, colei che guarisce,
“la donna del bosco. Lei è in contatto con gli esseri fatati o buon popolo, solo lei può esorcizzare il piccolo mostro.”
Quello di Kannah Kent è un testo dove, a decidere e ad affrontare sfide importanti sono sempre ed esclusivamente le donne: Mary, Nora, e Nance che sono le protagoniste assolute di una storia in cui fede e superstizione si scontrano più volte, senza dare certezza, incutendo sempre dubbi atroci.
Non è una storia allegra perché, per chi viveva nella campagne in povertà, erano più i giorni di dolore che quelli di gioia: la Chiesa era distante e non consapevole delle sofferenze dei suoi fedeli, e la fede rappresentava più un obbligo dovuto alla paura di un inferno spaventoso, piuttosto che un rifugio. Ambientato in una epoca ricca di conflitti, dolori e molta povertà, dominata dalla Chiesa lontana che offriva l’esempio di un ordine che nulla teneva in conto delle semplici vite delle persone, delle loro esistenze e delle loro lotte di tutti i giorni. Un libro affascinante, la descrizione di un mondo preda alle superstizioni e alla magia. Ricco e preciso nella prosa, per cui il lettore pare camminare con la scrittrice nei boschi, preso per mano ed accompagnato. Si respira l’odore del muschio, di umido, del legno, del crepitare delle piante, si sente il richiamo delle fate e delle loro feste. Una immersione totale in un mondo di rituali, di gestualità, di credenze irrazionali, ma profondamente radicate nel sentire e nel vivere umano.