La casa delle vergini
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Niente di che
Moth ha dodici anni. Vive con sua madre in un quartiere degradato di New York, a ridosso delle vie eleganti e vitali su cui scorre la vita e il divertimento di quella che, in pectore, è già la Grande Mela.
Siamo nel 1871 e il grande sogno di fare fortuna in America ammassa carne e ambizioni in cubicoli male illuminati e privi di speranza.
Difficile sfamarsi quando l’unico lavoro possibile per la bella zingara madre di Moth è leggere la mano e la sfera di cristallo.
Un po’ per sopravvivere, un po’ per scommettere su un destino migliore per la piccola, la madre vende la figlia come cameriera a una ricca signora che si rivelerà crudele e dispotica.
La povera Moth non ha scampo, si adegua e soffre, si consola con il sogno di potere un giorno, a sua volta, vivere da padrona in una grande casa con un vasto giardino.
Ma intanto la vita è dura ed è con grandi rischi che riesce a sfuggire alla schiavitù un cui la madre l’ha confinata, ma una volta libera si lascia irretire, consapevolmente, in un altro traffico di carne umana: viene accolta in una casa in cui si insegna alle preadolescenti l’arte di parlare con eleganza, vestire con ricercatezza, camminare con stile e soprattutto irretire uomini facoltosi allo scopo di mettere all’asta la propria verginità.
Gli eventi sono narrati con garbo, raccontati dalla voce della protagonista, con il contrappunto di alcune note di mano della dottoressa che cura le piccole ospiti della casa e che prende Moth sotto la sua protezione, cercando di salvarne il corpo e l’anima.
Il libro è stato un best seller. Personalmente ho trovato piuttosto ingombranti le note di inizio capitolo che riportano notizie dell’epoca vicine alla vicenda raccontata. Nel complesso, anche se gradevole, il libro ha un andamento lento e talvolta prolisso e forse non sono riuscita ad immedesimarmi fino in fondo con la piccola protagonista che alterna personalità diverse: talvolta fin troppo infantile, talvolta incongruamente adulta.
Nel complesso non è un libro da ricordare.
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Le donne, nei cortili dietro le case, andavano a strofinare le pietre sulle assi per lavare, sospirando per i mariti perduti. Gomito a gomito, stendevano la biancheria su fili tirati l’uno vicino all’altro in quello spazio stretto e buio.
Il cortile dietro il nostro caseggiato era particolarmente sfortunato perché aveva soltanto tre lati, anziché quattro. Le attrazioni principali erano una pompa che perdeva e dirimpetto, una fila di cinque latrine, appoggiate le une alle altre come puttane ubriache, barcollanti, piangenti e sporche.
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