L'ultima scintilla L'ultima scintilla

L'ultima scintilla

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L'ultima scintilla, opera dello stesso autore di Niente di nuovo sul fronte occidentale, descrive la vita di un gruppo di prigionieri detenuti in un campo di concentramento a Mellern (campo immaginario), viste dal punto di vista del prigioniero numero 509. Numero 509 è un prigionerio politico del campo di concentramento di Mellern, in Germania (non è specificato in quale regione della stessa), incarcerato nel 1933, all'apertura del campo stesso, perché lavorava come caporedattore in un giornale, probabilmente contrario alla dittatura.



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L'ultima scintilla 2013-04-12 07:08:11 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    12 Aprile, 2013
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Come scarafaggi

Libro molto intenso, un altro libro dell'anima come tutti quelli di Remarque, che per questo è uno scrittore assolutamente intramontabile. La storia è ambientata in un campo di concentramento immaginario ma non di fantasia, nel senso che l'autore si è ben documentato prima di scrivere una storia simile. Ci viene presentato come uno dei campi di concentramento più vivibili: non ci sono ad esempio camere a gas (per cui è lasciato al lettore immaginare come potrebbero essere gli altri campi).
La scena si apre con un prigioniero, il 509, paragonato a uno scarafaggio, insetto che quando vede il pericolo si immobilizza e cerca di mimetizzarsi per passare inosservato. Il 509 sta nel campo piccolo, una specie di anticamera della morte, dove il cibo è pochissimo e i letti o le coperte si devono dividere tra più persone per cui i prigionieri dormono a turno. Dalla descrizione delle condizioni di vita dei prigionieri, resi meno uomini dalla fame perenne (come descriveva anche Primo Levi nel suo libro Se questo è un uomo) Remarque passa quasi subito a raccontare di un gruppo di prigionieri che, nonostante la fame e le privazioni sono ancora capaci di solidarietà, di amicizia, di rischiare la vita uno per l'altro. L'umanità di queste persone, pur nelle condizioni degradanti di vita, emerge prepotentemente a ha come sfondo la mancanza di umanità, intesa anche come mediocrità, assenza di senso critico e di capacità di comprendere le situazioni dei tedeschi carcerieri abbruttiti dall'ideologia accettata acriticamente, da una crudeltà inconsapevole e da una altrettanto inconsapevole cecità e stupidità. Sono loro ad essere quasi degli animali, sia per il comportamento sia nella descrizione fisica: ingrassati, arroganti, ingiusti, velenosi, violenti, crudeli. I veri insetti del campo.
E il libro l'ha scritto un tedesco! Questo lo rende ancora più interessante. E' come dire che l'umanità non ha etichette e la capacità di fare il male senza rendersene minimamente conto pure.
Un libro da leggere come tutti i libri di Remarque. Questo è uno scrittore dell'anima perciò intramontabile come tutti gli scrittori dell'anima. Forse non è il suo libro che preferisco ma è comunque molto bello e lascia qualcosa.
Alla bellezza della storia e alla sua profondità fa da contrappeso lo stile semplice e senza orpelli. Non c'è vanità, nè pretesa di bellezza formale nella sua scrittura. Punta diritto al cuore del lettore con la storia in sè e con i pensieri e le vicende dei personaggi.
L'arrivo dei liberatori farà nascere l'ultima scintilla: di vita, di umanità, di speranza. Nei prigionieri naturalmente, compresi quelli che faranno una brutta fine.
Per i carcerieri invece non c'è speranza, nemmeno di fronte all'arrivo degli americani si rendono conto di quello che hanno fatto: hanno obbedito agli ordini, dicono e si aspettano quasi di essere difesi dagli stessi prigionieri.

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Remarque, Primo Levi
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