Narrativa straniera Romanzi storici L'isola delle anime
 

L'isola delle anime L'isola delle anime

L'isola delle anime

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Finlandia, 1891. Una notte, ai primi di ottobre, una barchetta scivola sull'acqua nera del fiume Aura. A bordo, Kristina, una giovane contadina, rema controcorrente per riportare a casa i suoi due bambini raggomitolati sul fondo dell'imbarcazione. Le mani dolenti e le labbra imperlate di sudore, rientra a casa stanchissima e si addormenta in fretta. Solo il giorno dopo arriva, terribile e impietosa, la consapevolezza del crimine commesso: durante il tragitto ha calato nell'acqua densa e scura i suoi due piccoli, come fossero zavorra di cui liberarsi. La giovane donna viene mandata su un'isoletta al limite estremo dell'arcipelago, dove si erge un edificio, un blocco in stile liberty con lo steccato che corre tutt'attorno e gli spessi muri di pietra che trasudano freddo. E Själö, un manicomio per donne ritenute incurabili. Un luogo di reclusione da cui in poche se ne vanno, dopo esservi entrate. Dopo quarant'anni l'edificio è ancora lì ad accogliere altre donne «incurabili»: Martha, Karin, Gretel e Olga. Sfilano davanti agli occhi di Sigrid, l'infermiera, la «nuova». I capelli cadono intorno ai piedi in lunghi festoni e poi vengono spazzati via, si apre la cartella clinica della paziente, ma non c'è alcuna cura, solo la custodia. Un giorno arriva Elli, una giovane donna che, con la sua imprevedibilità, porta scompiglio tra le mura di Själö. Nella casa di correzione dove era stata rinchiusa in seguito alla condanna per furti ripetuti, vagabondaggio, offesa al pudore, violenza, rapina, minacce e possesso di arma da taglio, aveva aggredito le altre detenute senza preavviso. Mordeva, hanno detto, e graffiava. L'infermiera Sigrid diventa il legame tra Kristina ed Elli, tra il vecchio e il nuovo. Ma, fuori dalle mura di Själö la guerra infuria in Europa e presto toccherà le coste dell'isola di Àbo.



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L'isola delle anime 2019-06-15 11:33:09 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    15 Giugno, 2019
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Pagine troppo spesso dimenticate

È il 2015 quando negli archivi regionali di Turku Johanna Holmstrom incontra Amanda. Di punto in bianco le esplode innanzi, con il suo temperamento impetuoso e la sua tendenza ad urlare e comandare a bacchetta. Chiede i suoi vestiti, quegli abiti che le sono stati portati via quando è sbarcata lì, all’ospedale di Själö. Ha ventisei anni, è una vagabonda in un’epoca in cui vagabondare per le strade senza scopo è proibito, è una ribelle che non esita a prostituirsi e a ubriacarsi. Giunta sull’isola, non è altro che una delle tante che vengono osservate e il cui decorso della malattia è annotato dalle infermiere con cura e dovizia. Ma non è certo la prima. Perché la storia delle donne di Själö non comincia con lei e non comincia nemmeno in quel lontano 1889 quando quell’ospedale su un’isoletta diviene un luogo destinato esclusivamente al gentil sesso. Comincia negli anni Cinquanta del Settecento in Francia con il medico Pierre Pomme che prende appunti accanto a una vasca da bagno in cui siede la sua paziente dal nome ignoto ma che sappiamo essere isterica. La terapia adottata consiste in un perpetrarsi di bagni in acqua fredda che ti consumano dall’interno sino a renderti “un pomodoro da sbucciare” che può salvarsi soltanto con la morte.
Turku, 1891. Kristina Andersson è una madre sola e instancabile che cresce in solitudine i suoi due bambini; Helmi di otto anni e un maschietto ancora in fasce. La sua vita è sempre stata molto dura, in particolare la primogenita è il risultato di una violenza sessuale subita che l’ha condannata ad essere una emarginata. È sola anche in quella notte di ottobre, su quella barchetta che scivola controcorrente sull’acqua nera del fiume Aura. Rema con gli occhi fissi sulla baia che si è appena lasciata alle spalle. È spossata, sfiancata e infreddolita. È al limite, le dolgono le mani, è preda di una stanchezza che non abbandona mai il suo corpo e che le fa fluire i pensieri con la stessa lentezza dell’acqua nera. Al contempo, seppur l’imminente inverno sia alle porte, è sudata. Se vuole arrivare a casa deve alleggerire la barca liberandosi della zavorra. È un attimo. I due corpi addormentati dei suoi figli sono calati nella gelida corrente. Il corpo della bambina, gettato per secondo, viene assorbito immediatamente dai fanghi, quello del maschietto calato su una sorta di imbarcazione di fortuna per primo, si allontana inesorabile ma certo è che non può esser sopravvissuto a quel clima così avverso. Il giorno dopo il risveglio e la domanda: dove sono i bambini? Perché i loro letti sono vuoti? La ricerca, la memoria del crimine commesso, la disperazione, l’arresto, il confino in quel luogo abitato soltanto da donne considerate incurabili in cui avrà quale unica compagnia – sino alla morte – la voce nella mente della sua bambina.
Marzo 1934, Isola dei pazzi. Il suo nome è Ellinor Augusta Curtèn, di anni 17, studentessa, alta 162 cm, di peso pari a 59 kg. La sua diagnosi è di “grave psicopatia, demenza precoce, mitomania e ninfomania”. Tuttavia, Elli è in realtà totalmente sana. La sua unica colpa è quella di aver desiderato l’amore della madre, un amore che mai arriva e che, a seguito della sua fuga da casa, le comporta l’internamento perché “pericolosa”.
Due anime che non sono sole in questo percorso di isolamento forzato e che sono accompagnate nel decorso degli eventi da due infermiere, Fredika e Singrid, a cui si contrappongono la personalità impietosa di Mikander, medico duro e rude, il viscido pastore Erland e le altre tante ragazze “interrotte” quali Karin e Martha.
Un romanzo corale è “L’isola delle anime” di Johanna Holmström, un volume che riesce a catturare il lettore grazie ad uno stile narrativo evocativo che conduce e scorta tra il susseguirsi delle vicende e che ben descrive anche gli aspetti più psicologici, medici e introspettivi dei vari protagonisti. È un elaborato che non lascia indifferenti, che commuove. Ciò accade anche perché il lettore ha la consapevolezza che, per quanto romanzato, quello che ha tra le mani è uno scritto che si basa sui fatti realmente accaduti tra le fine del 1800 e il 1962 senza nulla risparmiare su quelle che erano le crudeltà, le angherie, le vessazioni a cui erano sottoposte le persone considerate disagiate, matte.
È un libro che ci parla di molteplici tematiche che vanno dalla malattia, alla malattia indotta, al dolore, alla violenza, alla femminilità come colpa, alla guerra e dei suoi orrori in quegli anni in cui infuria in tutta Europa, ai luoghi, agli usi, ai costumi e ai pensieri di popoli che ci sembrano sempre così lontani e distanti. Un componimento che ricostruisce una pagina buia e che resta. Non stupisce quindi che la giovane scrittrice, appena ventiduenne, abbia vinto il premio letterario svedese YLE.
Suggestivo, indelebile, intimo, profondo, forte. Da leggere.

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