L'estate dell'amicizia
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Amicizia, letteratura e storia.
Ostenda, estate 1936 lo scrittore Stefan Zweig contempla lo spazio intorno a sé, scrive ed osserva, detta la sua storia alla segretaria ed amante Lotte Altmann fino al solito punto in cui sa che si bloccherà.
E’ un amore timido, riservato, silenzioso quello che lega il cinquantenne letterato alla ventiseienne segretaria, eppure è un sentimento sincero e puro come pochi.
Ed accanto a questo affetto ritrovato uno strano sodalizio d’amicizia lega Zweig, uomo di mondo, autore di bestseller, proprietario di tenute e beni di ogni genere ad un altro letterato del tempo di dieci anni più giovane, Joseph Roth, editorialista culturale della Frankfurter Zeitung, artefice di reportage di modesta fortuna che abita fisso in albergo, bevitore, affabulatore e creatore di opere quali “Giobbe” e “La marcia di Radetzky”, romanzi con cui riesce finalmente ad ottenere la notorietà tanto sperata e che senza esitazione sono messi all’indice e bruciati dalla Germania Nazista. E’ un uomo infelice, perspicace e incattivito, un individuo che cerca la propria salvezza nel passato, nella vecchia Austria, nella Monarchia, in quell’impero che l’ha elevato così in alto da aprire il mondo proprio a lui, ebreo orfano di padre cresciuto lontano dalla grande e magnifica capitale.
Ma non sono soli in quella estate di passaggio, in quei giorni di esilio dal regime i letterati. Accanto a loro spiccano altre personalità del tempo quali Irmgard Keun, Alfred Döblin, Kurt Tucholsky, Egon Erwin Kisch, Hermann Kesten, Ernst Toller, Ernst Weiss, e Heinrich Mann. Ed è con sguardo critico che questi donano nelle loro serate, ritrovi, conversazioni ed uscite l’idea di quello che era il clima del tempo, il preludio di quel che stava per accadere, la fotografia di una civiltà che stava inesorabilmente scivolando verso il baratro. Ognuno con la sua storia, ciascuno con le proprie ideologie e convinzioni, tutti con un’unica grande consapevolezza: non c’è salvezza per chi non esilia da quelle lande in cui scrivere il proprio pensiero, semplicemente vivere, è vietato.
Le vicende narrate da Weidermann sono collocate in un periodo di passaggio, una “ conca” in cui si assiste all’ascesa del nazismo e fascismo in Europa, alla presa di potere di Franco in Spagna, alle sempre più frequenti leggi antisemite, in quello che è un continente ancora inconsapevole degli avvenimenti, silente ai pericoli, cieco alle evidenze. Ma non solo, il tedesco ci offre una panoramica anche sul prima, sui fatti relativi al Primo conflitto Mondiale, nonché a quelli successivi alla seconda e sempre tramite la voce dei suddetti letterati richiama a scrittori caduti nell’oblio, venuti a mancare in tempi diversi e nelle modalità più diversificate.
Non mancano i riferimenti anche ad altri saggisti del tempo quali Huxley e il suo “Il mondo nuovo” ne ad associazioni, club e gruppi quali il PEN formatesi appositamente per dar soccorso agli esiliati, perseguitati politici, fuggitivi che si sono semplicemente permessi di esprimere il loro pensiero.
Scritto sotto la forma di un reportage con uno stile piacevole ed erudito il saggio-romanzo mira a dar voce ai padroni delle parole del tempo dimenticato e ricordato. Uno scritto adatto a chi ama la storia, a chi ha desiderio di un arricchimento vero e proprio, a chi cerca testi di un certo spessore.
Vi lascio con un breve incipit:
«D’altronde, si diventa scrittori proprio per questo, per vedere il mondo in modo diverso, per desiderarne uno diverso e descriverlo diversamente da com’è e da come sarà».