Keyla la Rossa
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Recensione della Redazione QLibri
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Ogni uomo è bugiardo
Alla base dell’etica di Schopenhauer non c’è la ragione come nel pensiero di Spinoza, ma la compassione verso tutto ciò che è vivo e sofferente.
La mancanza di compassione quindi dovrebbe portare a un modo di vivere poco etico, amorale, lontano da ogni umanità. E di questa assenza di compassione è pieno il romanzo e soprattutto di questa amoralità, all’epoca inusuale (se non nella vita, almeno nei romanzi).
Keyla la prostituta, risulta il personaggio più positivo e affascinante del romanzo per la sua generosità e i suoi slanci di fiducia e di ingenuità, forse di candore che contrastano con gli anni di carriera professionale, e che nascono dal suo fortissimo desiderio di elevazione e di riscatto. Keyla ha diverse occasioni di riscatto. Prima di tutto il matrimonio con Yarme, che all’inizio del romanzo ama e da cui è amata. Purtroppo tutti gli uomini che si avvicinano a Keyla, anche se dicono di amarla, sono attirati soprattutto dal lato fisico del rapporto. Ma questo concedere troppo al corpo diventa una trappola e un imbuto che porta alla rovina. La passione si accende alla fine sempre nel suo senso più deleterio, di possesso di un oggetto che per essere sicuri di avere definitivamente bisogna distruggere e di depravazione. Gli uomini più importanti della storia sono tutti descritti come schiavi della passione, quindi non del tutto liberi, egoisti e meschini: tutti in un modo o nell’altro sfruttano Kejla e sono gelosi della sua rinascita; soprattutto Yarme, il marito, e il suo amico Max, contrastano la sua tensione verso l’alto che si esprime anche come tensione religiosa.
Nonostante la progressiva discesa nel fango, Kejla è l’unica che conserva parte della purezza che le viene dal buon cuore. La sua bontà le lascia fino alla fine la voglia di vivere che viene meno a tutti gli altri. Nel romanzo la passione ha una connotazione fortemente negativa, di tensione verso il fango e la depravazione. Viene descritta come forza che , se non le si oppone resistenza, spinge l’uomo a sprofondare.
Ma la capacità di opposizione e di resistenza manca a quasi tutti i personaggi, fatta eccezione per Solcha, la fidanzata.
Nel romanzo c’è un costante conflitto tra Dio che tace, facendo il suo mestiere come si dice spesso, e l’uomo che lo nega ma pur negandolo continua a sentire su di sé il Suo sguardo accusatore e che, come risposta a quello sguardo, vede come soluzione l’allontanamento o l’asservimento della prostituta sulle cui spalle viene lasciato il peso di ogni bassezza morale. La donna però è migliore degli uomini perché più umile e sincera e soprattutto più compassionevole. Anche l’altra donna, la fidanzata Solcha è una donna sincera e pronta a pagare di persona per le sue idee.
Il romanzo nelle sue prime pagine non mi ha convinto per la repentinità con cui i personaggi si abbandonano a debolezze e passioni e cambiano atteggiamento e modalità di relazionarsi tra loro. Alcuni di loro, Yarme soprattutto, ma anche Keyla, mi sono sembrati incoerenti. Ma accettato e digerito questo lato del loro carattere che compare soprattutto nelle relazioni che coinvolgono anche Max, poi il romanzo si accende e diventa appassionante come qualsiasi cosa scritta da Singer. Certo il lettore si irriterà un po’ con tutti gli uomini del romanzo e forse anche con Keyla. A tutti manca un minimo di spina dorsale, e quasi tutti sarebbero da prendere a schiaffi. Il romanzo però è proprio bello. Diventa andando avanti sempre più bello, colorato e pieno di poesia e di malinconia nonostante tutta la depravazione descritta. Il bello di Singer è che descrive le cose con quello sguardo compassionevole che rende tutte le vicende più vicine al lettore. Forse l’inizio sarebbe stato da rivedere, questione però di poche pagine.
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Un destino segnato
Hanno banchettato sul suo bel corpo di prostituta, l’hanno amata furiosamente, si sono battuti per possederla.
Ma qualunque forma di amore si sia posato su Keyla la rossa, qualunque accenno di tenerezza, qualunque gesto di amicizia e fratellanza - anche quando addenterà la redenzione, quando sfamerà se stessa ed il suo compagno vendendo ceste di panini bianchi per strada - non smetterà mai di essere per ognuno di loro Keyla la puttana. Lo scrivo così, col termine più ingiurioso, perché ciò che sfregia il suo profilo algido è sempre e solo disprezzo. Disprezzo verso una creatura che cela candore, emersa dalle oscure profondità di ben tre bordelli.
Tutti, chi più chi meno, la vogliono usare, la vogliono abusare in un romanzo che è un tiro alla fune tra la corsa al riscatto di una donna semplice e piagata e una sfilza di uomini che la ingozzano di melma per appesantirla, affondarla di nuovo. Implora salvezza, ma non c’è pietà, non c’è pietà per Keyla.
Compito del lettore amarla un poco, come nessuno l’ha amata mai.
Nel ghetto ebraico, tra Varsavia e New York, Singer ci parla dei vizi dei suoi tempi, di depravazione e disprezzo, di povertà e fatica. Di splendide pennellate e realismo sono dipinte le ambientazioni, potente è la profilatura dei personaggi (odiosi) che raggiunge il suo apice di fulgore con la protagonista.
Appiattito e rallentato nella parte centrale mi ha un po' annoiata, resta comunque un libro di grande impatto.
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Un'immersione nell'ebraismo
Questo romanzo del Premio Nobel I.B. Singer, scritto nel 1977 e dal sapore fortemente autobiografico, rappresenta una completa immersione nel mondo ebraico dal quale lo stesso autore proviene. Il libro si inserisce in quel filone che si concretizza nell'orgogliosa rappresentazione della tradizione "del popolo eletto", con tanto di elencazione dei riti legati ai momenti clou del calendario (come lo Yom Kippur, lo "sukkot" o festa delle capanne), oppure al rispetto dei divieti e degli obblighi descritti nella Torah validi per tutti gli ebrei osservanti. Singer tuttavia non si limita alla celebrazione in quanto non risparmia una serie di riflessioni dalle quali scaturiscono quelle domande e quei dubbi così tipicamente umani sul tema della fede, della provvidenza e delle ingiustizie riservate agli ebrei (“Strano come un popolo che era in esilio già da duemila anni, ed era sopravvissuto a espulsioni, inquisizioni, crocifissioni, e che perfino oggi, nel ventesimo secolo, era confinato in una Zona di residenza, fosse rimasto così devoto a un Dio della cui esistenza non c’era alcuna traccia, e continuasse a obbedire a una Legge scritta in un libro sacro chissà da quando e chissà da chi!”). Queste considerazioni devono poi essere collocate nel contesto storico in cui il libro è ambientato: la Polonia del 1911 ancora sotto il giogo della dominazione russa, in cui gli ebrei venivano considerati il "capro espiatorio" verso i quali convogliare i malumori della gente in un Paese ancora fortemente arretrato e tutt'altro che libero, anche se cominciavano a emergere quegli elementi storici che da lì a pochi anni avrebbero completamente stravolto l'impero russo con l'avvio della rivoluzione. Si evidenziano infatti quei segnali di una progressiva emancipazione dei popoli che avrebbe interessato l'intera società europea, donne comprese (“Ieri ho letto sul giornale che a Parigi le donne hanno cominciato a portare i pantaloni”).
In questo contesto si muovono i personaggi di Singer, a partire dalla protagonista principale, l'ex prostituta Keyla ed il marito Yarme, ladruncolo e truffatore (“Capitava di rado che una femmina già passata per tre bordelli si sposasse….Era un segno del cielo riservato a tutte le puttane di Varsavia: non dovevano perdere la speranza, l’amore avrebbe continuato a governare il mondo”). Nel romanzo si denotano chiaramente i loro limiti oltre a quelli di altri personaggi co-protagonisti, come il criminale Max, attraverso i quali l'autore non risparmia denunce e critiche a episodi del novecento spesso rimasti nascosti tra le pieghe della storia ebraica, come ad es. la tratta di giovani prostitute da parte di ebrei in America Latina. Tuttavia, nonostante il suo passato, tra tutti gli attori che si muovono su questo palcoscenico, è Keyla la figura che si eleva per la sua umanità ed innocenza e che risplende rispetto alle bassezze umane messe in atto dal marito Yarme e dal (presunto) amico Max. Keyla è emblematica nella rappresentazione di quel senso di colpa tipicamente ebraico che Singer le attribuisce con l’intento di descrivere così un intero popolo. Vale infine la pena evidenziare, a dimostrazione del realismo di quest'opera molto consigliata, come in tutto il romanzo lo scrittore non risparmi l'impiego di un linguaggio spesso crudo e triviale ma assolutamente coerente con la storia e le bieche azioni di taluni protagonisti (“Se vuoi vivere e godertela, farai quello che ti diciamo noi. Troia! Baldracca! Puttana! Zoccola!” ).
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Una donna "stupefacente".
Un romanzo inedito tra i lavori più riusciti dell’autore, scrittore strabiliante, Premio Nobel del 1978, B. Singer, Keyla la rossa. Un grande affabulatore, per un’opera meravigliosa. Dalla vita maleodorante e brulicante di Varsavia all’agognata New York. Protagonista è un quartetto di ebrei polacchi, una prostituta, un avanzo di galera, un aspirante rabbino, un avventuriero. A tenerli insieme è Keyla:
“era bellissima. I capelli rossi, gli occhi verdi con la pelle candida facevano pensare ad un dipinto.”
Pubblicato a puntate sul quotidiano yiddish di New York, finalmente raccolto in volume: splendida operazione di Adelphi. Dal sordido ghetto di Varsavia, i protagonisti si trasferiscono nel quartiere degli immigrati ebrei più poveri di New York. Singer ha esitato a proporre il lato oscuro di due argomenti tabù: i mascalzoni che spedivano ragazze ebree a prostituirsi in Sud America e l’ignominia di un ebreo che andava a letto con uomini e donne. Sono gli aspetti torbidi a qualificare i personaggi: Yarme ha sposato Keyla sottraendola ad un bordello, ma resta un farabutto, il giovane Bunem vorrebbe diventare rabbino, ma si perde. Ma è terribilmente ambiguo. Keyla la rossa è grandiosa. Dal suo fondo limaccioso ogni tanto emergono sussulti di timidezza e consapevolezza. Gli affreschi sono potenti:
“Aveva nevicato per due giorni, poi era arrivato il gelo. La brina ripulì la strada, coprì gli scarichi di fogna, e i mucchi di letamem avvolse i balconi di morbide trapunte, imbiancò i tetti ossidati, spianò le buche delle strade, e sui marciapiedi.”.
La materia del romanzo è incandescente, si tratta di amore – passione, quello che non lascia scampo, e può indurre alla follia.
“Keyla aveva vissuto nel peccato per tanti anni, abbandonata da Dio e dagli uomini, ma le usanze ebraiche non le aveva dimenticate così come la forma più sordida del desiderio.”.
Tormentata dagli incubi, vedeva donne con le facce gialle, avvolte nei sudari che gridavano, e le sputavano addosso prospettandole atroci punizioni.
Se le passioni sono travolgenti, l’olfatto è rapito dal profumo di brodo, stufato e biscotti appena sfornati che emanano dalle pagine. Un romanzo stupefacente.