Io, Claudio Io, Claudio

Io, Claudio

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"Mi accingo a scrivere della mia vita; a partire dalla mia prima fanciullezza via via anno per anno fino a quella svolta fatale in cui, circa otto anni fa, mi trovai subitamente impegolato in una crisi che chiamerò 'aurea' e dalla quale non ho mai potuto districarmi." Zio di Caligola, marito dell’infedele Messalina, padre adottivo e vittima di Nerone, l’imperatore Claudio inizia il racconto della sua vita, scritto proprio di suo pugno, e non affidato, com’era costume a quei tempi a un oscuro segretario o a un’annalista adulatore. Immaginaria autobiografia del grande imperatore, Io, Claudio rievoca i fasti, i costumi e la potenza della Roma imperiale, ma anche gli episodi grotteschi e le tragiche avventre di colui che, tra i dodici Cesari, ebbe la vita più movimentata. Primo 'generalissimo' dell’impero seguiremo Claudio nell’istaurazione della dominazione permanente della Britannia, nei palazzi dei deserti libici, per le strade di Roma, negli accampamenti dei Balcani, addirittura ad Antiochia in una casa infestata dagli spiriti. Un romanzo affascinante e fedele alla storia che è diventato un bestseller mondiale e si è reso pietra di paragone di tutta la fiction storica.



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Io, Claudio 2021-04-02 17:57:57 siti
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siti Opinione inserita da siti    02 Aprile, 2021
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Un imperatore storico e uno storico imperatore

L’imperatore Claudio, penultimo della gens giulio claudia, quello giusto per intenderci a cavallo fra le pazzie di Caligola e quelle di Nerone, è passato alla storia come l’inetto, il deforme, il balbuziente anche grazie alle ingenerose pagine scritte su di lui da Tacito e da Svetonio, entrambi interessati a renderne evidenti i suoi tratti caratteristici con puro gusto caricaturale. Oggi gli storici hanno riabilitato l’imperatore e, fonti alla mano, sono in grado di dimostrare un’altra verità, quella relativa al suo buon governo. Eppure, questo lavoro di Graves pare, ma solo in superficie, ricalcare il filo della damnatio memoriae e seguirlo dando, paradossalmente, voce proprio a lui, a Claudio, al quale non resta altro che presentarsi qual è.
Egli è soprattutto uno storico che ha deciso di ripercorrere, con vivo gusto per la verità, i primi anni dell’impero e di farlo a favore della posterità più remota perché lui “parlerà chiaro” e la sua opera sarà conosciuta fra novecento anni e non prima, e supererà di gran lunga quelle degli storici coevi i quali allora parranno proprio balbettare. Lui invece sarà lo storico audace, quello che la profezia collocò come il quinto peloso.
“Il peloso quinto terrà schiavo lo Stato
-schiavo lo Stato, ma contro il proprio volere-
sarà quello scemo che ognuno spregiava.
Avrà folta la chioma e darà a Roma
acqua e pane, l’inverno.
Lo ucciderà la moglie e non sua moglie
a vantaggio del figlio non suo figlio.”

Tutta la sua narrazione autobiografica sfuma pertanto a favore della ricostruzione fedele delle trame sempre taciute che hanno visto tramontare definitivamente l’ideale repubblicano a favore della restaurazione della monarchia, malcelata però sotto le mentite spoglie di un principato che diventerà impero, come sappiamo noi posteri, solo con Vespasiano. Prima è un succedersi di matrimoni combinati, adozioni, avvelenamenti e lui, il povero Claudio è solo una tremula foglia nell’albero genealogico della famiglia imperiale che nasce e si nutre per mano dei suoi stessi assassini, risorgendo di volta in volta come l’araba fenice. Vive all’ombra dei palazzi imperiali, Augusto è suo prozio nonché marito della sua nonna paterna Livia. È nato a Lione un anno prima della morte del padre Druso, fratello del futuro imperatore Tiberio, ha un fratello, Germanico il cui figlio Caligola lo precederà nella linea dinastica. Lui è infatti un peso per la sua famiglia, suo padre non è nemmeno il vero figlio di Augusto ma lo riabilita il ramo materno, sua mamma Antonia è figlia di Ottavia, sorella di Augusto. Il problema è lui: è deforme, zoppo e gracile, sempre malato, “uno scherzo della natura “stando alla madre. Dalla sua posizione defilata, inizialmente subìta, ha la fortuna di potersi dedicare, gli è stata infatti garantita almeno un’ alta educazione , ai suoi amati studi, in particolare alla storia degli etruschi il cui influsso nella cultura romana ritiene essere fondamentale. Ma questa è un’altra Roma, è ormai lontana dall’influsso etrusco. È il tempo degli inganni, delle trame sotterranee, della fondazione di un impero che nessuno voleva in una repubblica che fece del fallimento il proprio specchio infranto , capace di restituire solo un’immagine deforme e mostruosa, a tratti. Claudio per cinquant’anni sopravvive a tempi che di volta in volta fanno morire, le più volte avvelenati, i suoi maggiori protagonisti, resiste e si salva dalla prova più terribile, l’impero di Caligola che ripetutamente ne fa un bersaglio privilegiato del suo macabro divertimento da despota. Resiste e viene acclamato imperatore proprio perché nulla conta. La sua narrazione si ferma qui, nel primo gradino del soglio imperiale, dove, passato il primo timoroso e vile sgomento, lo rapisce una consolante intuizione. Sarà un imperatore storico e al contempo uno storico imperatore.

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ma non l'edizione da me letta (Bompiani, 1989) purtroppo datata nella traduzione a cura di Carlo Coardi (1935).
( L'uso del condizionale presente in luogo del passato e l'inversione degli ausiliari essere e avere nei tempi composti hanno, in parte condizionato la lettura).
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Io, Claudio 2021-03-01 18:21:39 Cathy
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Cathy Opinione inserita da Cathy    01 Marzo, 2021
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Parlar chiaro

All'inizio di questo romanzo il futuro imperatore Claudio racconta di una ballata, diffusa a Roma ai tempi dei primi fasti del principato, che descrive l'albero genealogico della dinastia Giulio-Claudia come un pero che produce frutti perfetti e frutti bacati, i secondi in misura nettamente maggiore rispetto ai primi. Nero Claudio Druso – o Cla-Cla-Claudio o "il povero zio Claudio", come viene "affettuosamente" definito dai suoi nipoti – è sempre stato considerato dalla famiglia uno dei frutti più bacati: zoppo, balbuziente, sordo da un orecchio, tendente ai tic nervosi, colpito nell'infanzia da numerose malattie che hanno sfigurato e danneggiato il suo corpo in ogni modo possibile, più portato per lo studio della storia che per le attività pubbliche o militari, non può certo rivaleggiare con il suo splendido fratello Germanico, l'orgoglio della famiglia, ed è costantemente oggetto di comportamenti sgradevoli che oggi sarebbero etichettati sotto la definizione "bullismo".
La sua triste situazione è però destinata a capovolgersi quando si ritrova quasi per caso a indossare la corona di alloro che ha visto poggiata sul capo di ben tre imperatori prima di lui e ad avere nelle mani il governo di uno degli imperi più grandi che siano mai esistiti. Da bravo appassionato e studioso di storia, decide allora di comporre un'autobiografia, che assume le dimensioni e le caratteristiche di una vera e propria cronaca di famiglia, a partire dalla sua nascita, e promette di "parlar chiaro", come dichiara la profezia proclamata da una Sibilla: coloro che hanno scritto prima di lui, infatti, erano costretti ad accattivarsi il favore dei suoi predecessori, tra i quali si annoverano ben due tiranni (di cui uno completamente fuori di testa); Claudio, invece, sarà libero di scrivere tutta la verità, solo la verità, niente altro che la verità e allora saranno gli altri, con le loro parole false e adulatrici, a balbettare, mentre le parole di Claudio parleranno «chiaro e con audacia» anche a distanza di secoli.
Senza dubbio si può dire che Claudio abbia tenuto fede al suo proposito e che il suo racconto sia, più che chiaro, cristallino nel tracciare un quadro terrificante e spietato della dinastia Giulio-Claudia, con i suoi personaggi inquietanti, folli, crudeli, grotteschi, e della Roma imperiale, deturpata da una corruzione senza limiti. Spiccano su tutti la terribile Livia, rappresentata come una specie di dea della morte, insensibile e spietata, capace di assassinare il proprio stesso sangue per mantenere saldo il potere, Tiberio, con la sua crudeltà fredda e calcolatrice, e Caligola, preda di una follia talmente grottesca e surreale da diventare il tiranno più spaventoso e ridicolo che sia mai esistito. Claudio giura solennemente, all'inizio del racconto, di non avere alcuna intenzione di alterare i fatti per celebrare se stesso. Dal puro e semplice racconto degli eventi, tuttavia, emerge l'evidenza della verità: che uno dei pochi frutti non bacati, in quella famiglia dissennata, in realtà è proprio lui, lo zoppo, balbuziente, impresentabile zio Claudio.
Intorno alle figure principali, poi, gravita una lunga serie di personaggi minori, tutti scolpiti alla perfezione nel modo di parlare, agire, comportarsi, dotati di pregi (ben pochi) e difetti (in gran quantità), oggetto, al pari dei protagonisti, di un'analisi psicologica minuziosissima e straordinaria: leggendo le loro parole si ha la sensazione di avvertire, ad esempio, la spacconaggine e la cupezza di Seiano, la pacata inflessibilità di Germanico, la sordida vacuità delle sorelle di Caligola, la giovanile sfrontatezza di Agrippa Postumo, l'intelligente e affettuosa ironia di Atenodoro (precettore del giovane Claudio), la dolce devozione di Cesonia (prostituta e amante di Claudio), l'orgoglio stizzoso di Tito Livio, il fermo coraggio e la nobiltà di Agrippina.
La capacità di rappresentazione efficace dei personaggi, senza perdersi in lunghe descrizioni ma facendoli semplicemente agire e parlare, è senza dubbio uno dei pregi maggiori del romanzo di Robert Graves e lo stesso Claudio, sebbene resti sullo sfondo degli eventi per la gran parte della narrazione, si rivela un personaggio divertente e multisfaccettato, ironico, acuto, intelligente e capace di sopravvivere a tutto e a tutti semplicemente passando per quello che non è, ovvero uno sciocco.
Certo, sulla veridicità del contenuto di questo romanzo ci sarebbe da discutere. Prima di iniziarne la stesura, Robert Graves traduce le "Vite dei Cesari" di Svetonio, che insieme a Tacito e a Plutarco è la fonte principale cui attinge. È risaputo che la storiografia di età classica ha trasmesso un pessimo ritratto degli imperatori Giulio-Claudii e a questa versione Graves si attiene scrupolosamente, ma è difficile stabilire quanto, in questi resoconti sulle personalità di Tiberio e di Caligola, ci sia di vero e quanto sia solo un eccesso nato dalla volontà, da parte degli storici di classe senatoria, di gettare discredito sui tiranni che hanno privato il Senato del suo ruolo autentico e originario, riducendolo a semplice cassa di risonanza della volontà dei Cesari.
Eppure, se anche nel romanzo di Graves non ci fosse neanche un briciolo di verità, cosa importerebbe? Un romanziere non è uno storico e lo stesso Graves sottolinea l'importanza della veridicità nelle opere storiografiche attraverso la discussione tra Atenodoro e Tito Livio. Nelle opere storiografiche, appunto, non nei romanzi, che hanno il privilegio di poter anche inventare di sana pianta. Resta in ogni caso il piacere di una lettura divertente, curata, ricca di uno humor sottile dal sapore molto british (Graves, dopotutto, è inglese) che riesce a far scoppiare a ridere di gusto anche nel bel mezzo delle manovre delle legioni di Germanico sul Reno. Dopo una seria riflessione, ad esempio, Claudio afferma di aver stabilito che non si preoccuperà in alcun modo del destino della sua autobiografia, perché sono molto più numerose le opere che si salvano per caso di quelle che si salvano per intenzione: se si pensa che l'imperatore Claudio (quello vero) scrisse effettivamente un'opera che raccontava la sua vita e i primi decenni dell'impero e che essa è andata perduta, come tutte le opere da lui composte, è evidente che la gustosa, talvolta amara ironia del racconto colpisce anche l'opera stessa.
"Io, Claudio" è un long-seller pietra miliare del romanzo storico, imperdibile per gli appassionati di questo genere letterario e soprattutto di storia romana. Non si può che dare ragione alla profezia della Sibilla: Claudio parla chiaro, anzi, chiarissimo.

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Io, Claudio 2020-12-13 06:33:20 Angelo Filipponi
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Opinione inserita da Angelo Filipponi    13 Dicembre, 2020

Italy

Io Claudio è un magnifico affresco familiare, gentilizio, contestuale - e romano e provinciale - in relazione alla lungimiranza e grandezza di un imperatore, saggio amministratore, accorto riformatore del sistema burocratico erariale e fiscale, già vigente con Tiberio e con Caligola, moderato pacificatore di ogni contesa ideologica e religiosa, come pontefice massimo, Augustus/ sebastos non indegno del principato universale giulio-claudio. Solo un grande storico poteva fare una così accurata ricostruzione socio-economica e ricomporre la pax religiosa, compromessa dal giudaismo messianico, partendo dalla figura stessa di Claudio, un diversamente abile, geniale vir civilis non certamente indegno della domus giulio-Claudia!

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Il regno di Emmanuel Carrère
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Io, Claudio 2011-07-12 05:44:30 Anna Degli Esposti
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Opinione inserita da Anna Degli Esposti    12 Luglio, 2011

la romanità vista dagli inglesi (non storicamente

Esclusivamente uno spaccato di quanto di negativo ha caratterizzato la romanità dell'epoca imperiale. La grandezza di Augusto ridotta al balbettio di un uomo succubo di una moglie diabolica, Livia, che appare unica ispiratrice di una strategia, valutata da studiosi seri della romanità come espressione del primo grande statista della storia.
Un susseguirsi di uomini estremamente valorosi ma al contempo ridicolmente ingenui, oppure irreparabilmente pazzi e crudeli, tra una moltitudine di ignavi senza storia.
Soltanto un inglese astioso poteva dare un'idea di un'epoca, ricca e feconda per quanto riguarda la cultura giuridica e l'organizzazione sociale dell'antica Roma, come se fosse unicamente caratterizzata da intrighi, veleno, orge e omicidi di massa.
Parliamo di un'epoca in cui i barbari erano i Britanni.

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se come me siete incapaci di lasciare un libro dopo averlo iniziato vi consiglio di non iniziare a leggere questo libro
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