Il taccuino perduto
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Viveva seguendo un tempo proprio
Pierre-Yves Leprince immagina che Noël, un ragazzino che presta servizi di fattorino presso l’albergo di Versailles ove provvisoriamente alloggia Marcel Proust, ritrovi Il taccuino perduto (“Quel taccuino… contiene lo schema del mio articolo”) dall’autore de “La recherche du temps perdu” (“Noi viviamo seguendo il tempo dell’orologio, lui viveva seguendo un tempo proprio, scavava e dilatava le ore…”).
Tra apprendista detective e scrittore si crea un’empatia molto intensa, corroborata da comuni interessi (“Avete studiato musica con Gustave Charpentier… la Luisa”), propensioni naturali (“Il dono più grande che ci sia: preoccuparsi delle proprie azioni e non delle apparenze, della realtà che ci circonda e non di se stessi”) e affinità (“Capite che apparteniamo alla stessa famiglia, quella degli investigatori?”).
L’albergo diviene teatro di indagini condotte dall’insolito binomio (“Caro il mio piccolo Mercurio dai piedi alati, siamo fattorini, messaggeri e osservatori in cerca di misteri da risolvere”): dopo il ritrovamento del taccuino, occupano il campo il caso della borsa smarrita che sfocia in un uxoricidio (“Dramma della gelosia a Versailles, il signor Cornard strangola la moglie”), il caso delle donne inglesi che proclamano “la visione della donna triste” (ndr: Maria Antonietta), la nuova sparizione del taccuino e l’omicidio del cameriere Joseph.
Mentre Marcel P. e discepolo sono impegnati nella loro amicizia e nelle investigazioni, l’autore del romanzo per bocca di Noël indaga sui misteriosi orientamenti sessuali di Proust (“Esistono anche diversi tipi di amicizia, la nostra non sarà fatta di confidenze ma di riflessioni”): la narrazione si nutre del clima ambiguo dell’albergo, ove il personale di servizio non disdegna concessioni a clienti facoltosi, e lambisce pratiche sessuali di ogni gusto – come quelle di Daniel detto Il frusta, la preghiera in ginocchio, l’impiccagione interrotta - per formulare un’ipotesi “innocente” e originale circa la sfera sessuale del grande scrittore. Con uno scopo dichiarato (“Il lettore avrà capito che questo libro è un omaggio travestito da romanzo poliziesco”) e nella consapevolezza che ci “si sforza di assomigliare agli altri, ma assomigliamo sempre e solo a noi stessi”.
Giudizio finale: lepido, dimostrativo, morbosamente indagatore.
Bruno Elpis