Il serpente Il serpente

Il serpente

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Mentre la Seconda guerra mondiale opprime l'Europa, un serpente infesta un sonnacchioso campo di addestramento della campagna svedese e un'altrettanto inoperosa caserma di Stoccolma durante la mobilitazione generale. Nella sua concretezza di corpo ora si scopre, ora si copre alla vista, ma il simbolo maligno che incarna sa piantarsi nella psiche di chi ci si è imbattuto. Il primo a vederlo è il sergente Bohman, al comando di uno svogliato gruppo in esercitazione, e subito un crampo lo stringe come in un cerchio di ferro. Il soldato Bill lo cattura a cuor leggero, forse solo per strappare al sergente qualche ora in più di libera uscita in cui togliersi una voglia con Irène prima di una festicciola a base di ragazze e bevute. Ma il serpente che crede di avere al sicuro nello zaino gli infesterà i sogni, getterà nel panico gli amici e confonderà realtà e fantasia tanto a lui quanto a Irène. Sotto forma di odore di paura, poi, aleggia pungente in «Non riusciamo a dormire», in cui otto reclute cercano di scacciare l'insonnia raccontandosi storie di vita vissuta. E di strategie contro l'angoscia, con le menzogne che comportano, saranno in cerca tutti i personaggi del libro. Tutti tranne Scriver, alter ego dell'autore, convinto che il serpente sia sempre lì, manifesto o latente, e che sia responsabilità di ciascuno prenderne atto, anche fino alle estreme conseguenze. Il serpente, che sia un romanzo, come gli entusiasti recensori lo definirono nel 1945 quando uscì, o una raccolta di racconti collegati, mette in campo ricchezza metaforica, potenza simbolica e beffarda ironia, movimentate da arditi salti di registro, per mostrare che la sola via per l'umano è non aver paura della paura.



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Il serpente 2025-04-19 09:21:28 Menti55
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Menti55 Opinione inserita da Menti55    19 Aprile, 2025
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Un romanzo fuori dai canoni

Attratto dalle ottime recensioni, come mia abitudine prima di acquistare un libro, ho approfondito la figura dell’autore. Mi trovo così davanti a Stig Dagerman, giornalista e scrittore svedese che, già con il suo esordio Il Serpente (1945), ottiene ampio consenso, lodato tanto dalla critica di sinistra quanto da quella di destra. Il romanzo diventa presto un cult della letteratura svedese. Scopro anche un anarchico, ostile a ogni sistema, sempre dalla parte dei più deboli, in cui avverto echi di Kafka, Camus e, per me soprattutto, Faulkner.
Incuriosito, ho letto il libro. E dico subito che raramente ho incontrato una narrazione tanto difficile da seguire. È un romanzo che va affrontato con pazienza e concentrazione, ma anche letto con continuità per coglierne la struttura profonda. Serve memoria, come spiega Fulvio Ferrari nella postfazione (che forse sarebbe utile leggere come prefazione): “pochi libri richiedono tanta attiva partecipazione del lettore per ricostruire vicende in parte narrate e in parte alluse...”.
Il romanzo è diviso in due capitoli: IRENE e NON RIUSCIAMO A DORMIRE, quest’ultimo articolato in cinque parti che potremmo quasi definire episodi, ciascuno dotato di autonomia narrativa. È proprio questa frammentazione a richiedere uno sforzo di sintesi da parte del lettore, per ritrovare la coerenza interna del romanzo, che emerge pienamente solo sul finale. I personaggi di IRENE non riappaiono, se non indirettamente: Bill, il soldato che cattura il serpente del titolo, è l’unico legame esplicito. Il serpente, come presenza fisica, scompare fino al racconto omonimo, ma il termine — o altri che lo evocano — ricorre costantemente come simbolo della paura.
Insieme al serpente, un altro simbolo domina: il cerchio di ferro (titolo del secondo episodio del secondo capitolo), metafora dell’angoscia generata dalla paura stessa. Questi due simboli — più ancora dei personaggi — costituiscono il vero filo conduttore del romanzo. Dagerman costruisce così un’opera fortemente simbolica, in cui la narrazione è quasi un pretesto per un’indagine esistenziale.
Un elemento che pesa inevitabilmente sulla lettura è la tragica fine dell’autore, suicida a soli 31 anni. Alcuni critici (tra cui Ferrari) attribuiscono la sua morte a una crisi creativa, altri a una più radicale impotenza nel cambiare il mondo, nonostante il successo. A prescindere dalle cause, ciò che colpisce è la presenza costante della morte nei suoi testi: una compagnia oscura, che Dagerman nomina, tematizza, e che sembra ineluttabile. Nell’ultimo racconto del libro, Scriver — alter ego dell’autore — il protagonista precipita da un balcone nel tentativo di vincere la paura. Questo epilogo, scritto otto anni prima del suicidio, sembra anticiparlo con tragica lucidità.
Nel saggio Il nostro bisogno di consolazione, scritto due anni prima di morire, si legge: “Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa”. Un uomo complesso, dunque, che nella sua scrittura richiama davvero gli autori con cui è stato accostato.
Il Serpente è un libro potente, fuori dai canoni, ricco di simboli, oscuro ma affascinante. Non è un romanzo facile né da seguire né da dimenticare. Lo consiglio, con convinzione, ma non è una lettura da ombrellone.

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Consigliato a chi ha letto...
Kafka, Camus, Faulkner
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