Il pianista
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La musica come strumento di pace
Naturalmente quando si sente il titolo "il pianista" ci si immagina quasi subito il film capolavoro di qualche anno fa, del geniale Polanski.
Poi ho scoperto che era tratto da un libro, che narrava una storia vera e non ho potuto fare a meno di comprarlo.
A mio parere il libro, per bellezza è paragonabile alla pellicola, con la caratteristica decisiva di dare un significato maggiore alle immagini trasmesse sul grande schermo.
Alcune parti dell'opera sono abbastanza ripetitive (e di fatti nel film sono state ampiamente saltate), però il libro ha delle descrizione, delle caratterizzazioni psicologiche talmente potenti e lucide che lo rendono una lettura per molti versi, imperdibile.
Più di una volta, mentre leggevo mi saliva una certa angoscia provocata dalla disperata ricerca della salvezza da parte del protagonista.
Braccato per ogni dove si avverte, proprio, il fatto che per salvare la propria pelle un uomo sarebbe disposto a fare qualunque cosa.
Naturalmente, parlare di politica, guerra, credo religioso è sempre un terreno minato, ma l'autore non si sofferma su moralismi, prese di posizione, riflessioni su quanto sia spietata la guerra. Il suo intento è quello di descrivere la vita di una persona, che poi è stata la vita di decine di milioni di persone, che all'improvviso da un posto dove avevano tutto (affetti, denari, case, auto, amici) all'improvviso si sono visti catapultati in un vero è proprio inferno terrestre, con spesso la morte come unica via di uscita migliore a tutto il male che li circondava.
Il passaggio più bello è naturalmente, quello dedicato alla musica, al potere salvifico di Chopin e delle sue opere immortali.
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Notturno in do diesis minore
Wladyslaw Szpilman è uno degli eletti, un ebreo sopravvissuto all'inferno della persecuzione nazista.
La sua storia ha dell'incredibile e merita di essere conosciuta per la straordinaria forza vitale che trasmette, malgrado parli soprattutto di morte.
L'orrore del ghetto di Varsavia, con mezzo milione di ebrei prigionieri in una piccola parte della città, è raccontato con uno stile sobrio che fa trapelare appena le emozioni e lascia soprattutto spazio ai fatti nudi e crudi.
Il ghetto, imposto dagli invasori tedeschi, è come una bolgia di dannati costretti a vivere in zone delimitate, a restare in guardia per non incrociare nazisti di cattivo umore, a tornare a casa ripulendosi dai pidocchi portatori di tifo.
E poi, mentre il cerchio si stringe, le retate, le uccisioni quotidiane, lo spettro della miseria, le umiliazioni dei sadici oppressori contro la gente inerme, i lamenti degli orfani che mendicano cibo, la sensazione costante di un pericolo che incombe.
Szpilman è pianista e compositore e continua a pigiare sui tasti anche quando il frastuono dell'artiglieria tedesca copre la sua musica, con un accanimento che ha tutta la dignità offesa della sua arte.
Costretto a nascondersi e a vivere di espedienti, porta sempre con sé le sue composizioni, insieme alle uniche cose ancora in suo possesso: un orologio e una penna stilografica.
Non c'è odio o desiderio di vendetta nelle pagine che ha lasciato, solo una pacata tristezza e il desiderio di ricordare, più per se stesso che per gli altri.
Con immagini vivide e toccanti racconta della sua famiglia scomparsa, racconta di sua madre, che non mancava mai di scodellare a tavola la minestra, assicurandosi che tovaglia e tovaglioli fossero sempre puliti e che non si parlasse di argomenti tristi:
“Passerà tutto, aspettate e vedrete”.
L'ultimo pasto consumato insieme ai genitori, alle sorelle e al fratello prima della fatale partenza (lui verrà sottratto al convoglio da un conoscente all'ultimo minuto) è una piccola crème caramel divisa in sei parti da suo padre.
Ricorda l'estremo saluto di quest'ultimo tra la folla di disperati prima di salire sul treno diretto ai campi di sterminio: “...sollevò una mano in un gesto d'addio, come se lui dall'oltretomba prendesse congedo da me, che partivo verso la vita”.
La morte gli passa spesso accanto, lo insegue ma non riesce mai ad agguantarlo.
Per qualche motivo, lui deve vivere ed andare avanti anche quando la sua stessa volontà è fiaccata dalle sofferenze.
Questo dato di fatto, percepito chiaramente dopo essersi risvegliato vivo tra i resti ancora fumanti di un edificio in fiamme, è una rivelazione che gli procura rinnovata energia:
“Una brama illimitata e animalesca di vivere a qualsiasi prezzo”.
E' ormai allo stremo delle forze e fuggiasco da anni quando un ufficiale tedesco lo aiuta a nascondersi e gli procura del cibo.
Nel bel film di Roman Polanski che ne è stato tratto, il nazista appare ammaliato e convertito al bene dall'esecuzione al piano di Szpilman.
In realtà l'ufficiale aveva già salvato diversi ebrei e l'incontro fra i due uomini è semplicemente il trionfo dell'umanità in mezzo alla barbarie, celebrato da un Notturno di Chopin che Wladek esegue con mani irrigidite e sudicie su un pianoforte scordato.
Le note fluttuano sulle macerie circostanti e tornano indietro “in un'eco sommessa e malinconica”:
è il primo spiraglio di luce, l'alba ancora timida che annuncia la sconfitta delle tenebre.
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Ricordare per non dimenticare
Da ben 50 anni leggo e posseggo tantissimi libri sulla Shoà. Trovo questo libro un ottimo passaggio per iniziare a capire non solo la tragedia degli Ebrei, ma la malvagità dei tedeschi. Risulta quasi impossibile (se non si leggono questi accadimenti) come un popolo così raffinato, letterato e musicofilo abbia potuto architettare ed eseguite la più grande mattanza del 20mo secolo a discapito di un popolo mite che per convinzione religiosa non ha mai arrecato durante i secoli danno ad alcuno.
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il pianista
Questo romanzo autobiografico è decisamente toccante. Con Szpilman si entra nel terrificante mondo del ghetto di Varsavia durante l'occupazione tedesca, insieme a lui si vivono le privazioni sia fisiche che morali a cui sono stati sottoposti gli ebrei. Szpilman racconta come ha visto morire molti sui famigliari e amici e come quasi miracolosamente è riuscito a salvarsi.
Ma questo romanzo apre uno squarcio di speranza sull'umanità, egli infatti deve la vita proprio ad un ufficiale tedescoche lo udì suonare un pezzo di Chopin con un pianoforte trovato tra le macerie. Szpilman scrisse questo romanzo subito dopo la fine della guerra, ma le autorità polacche lo censurarono. Da questo libro è stato tratto l'omonimo film diretto da Roman POlanski.