Il nano
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L’uomo e il nano, opposti ma uguali
Lagerkvist è uno scrittore sconosciuto quanto completo. Il mio precedente libro del medesimo autore fu “Barabba”. Ed è curioso osservare la diversità di stile, di approcci, di metodo usati per i due racconti. Il testo che rivive, in modo totalmente inusuale, la testimonianza cristiana ai tempi di Gesù presenta un impianto teatrale con i capitoli che si fanno stazioni e i dialoghi (parte prevalente del racconto) parti di copione in una immaginaria rappresentazione teatrale. Va da sè che il lettore, leggendo, ha come la sensazione di guardare e osservare lo sviluppo della storia. Un impianto, quest’ultimo, che viene completamente stravolto nel “Il nano”. Se dovessi immaginare di trovarmi di fronte a questi due racconti senza conoscere il nome dell’autore, difficilmente potrei arrivare a pensare che sia lo stesso per entrambi.
La lettura allegorica, il messaggio convogliato in queste pagine è, in fondo, uguale a quello dell’altro racconto. Ma non lo stile. Che si rivela privo di dialoghi diretti, privo di capitoli (che in “Barabba” erano scelti con sapiente diligenza al fine di ricalcare una scena teatrale), ampio uso di aggettivazioni e descrizioni. Ma sopratutto Lagerkvist fa ricorso a una sorta di ‘flash-back” in cui il protagonista, il nano, racconta con pochi filtri ciò che è appena accaduto: illustra le sue sensazioni, (non) emozioni, esperienze della sua vita a corte accanto al principe su cui nutre prima stima poi disprezzo e poi ancora orgoglio.
Un racconto che inizialmente ti attrae e ti incuriosisce per l’insolita costruzione stilistica e narrativa portata avanti dall’autore. Ma ecco che, una volta assuefatto e abituato da questa novità, il nostro premio Nobel per la letteratura (1951) ripropone lo stesso brodo presentato semplicemente in un altro piatto.
Mi spiego meglio. Il messaggio che si vuole far passare è lo stesso di “Barabba”: l’ateismo religioso, il forte scetticismo che legittima lo scrittore, quindi Barabba, quindi il nano a bollare la religione come ‘inutile’. Il racconto, scritto negli orrendi e bui anni della Seconda Guerra Mondiale, riflette ciò che l’uomo ha visto di cosa è capace l’uomo: invidia all’ennesima potenza, odio, malvagità, sadismo. Il nano è tutto questo. Il nano che segue come un ombra il principe, rappresenta la parte peggiore dell’uomo che si riflette a tutti i livelli dal più basso, ma sopratutto, al più alto (quello di aristocratico) dove, essendo il potere concentrato su te stesso, hai la sensazione di avere capacità su tutto, anche sulle persone. In questo brodo di cattive intenzioni, di malvagità, di tradimenti, di guerre nn poteva mancare la forte misoginia del nano (“le donne preferiscono sempre gli uomini inutili e insignificanti, perché sono più simili a loro” una frase emblematica, tra le altre) che poi si traduce in azioni deplorevoli per noi, indifferenti per lui. Lui odia il genere umano (cui solo il principe sembra sottrarsi) nella stessa misura in cui noi detestiamo i sentimenti di invidia, impotenza, dipendenza, malvagità che albergano in noi e danno l’illusione del piacere - che si rivelerà effimero. Questo rappresenta il vero tratto coerente del protagonista. Un atteggiamento che si scopre immediatamente fin dalla prima pagina. E le successive sono solo altri ‘esempi’, altri ‘momenti’ che fungono come da riprova di ciò che abbiamo già carpito nei primi passaggi: il brodo è sempre quello. Quindi non esiste, o meglio non si avverte, per quanto mi riguarda, il tentativo di ammaliare il lettore nel racconto e di renderlo partecipe e attivo nella storia. Bisogna armarsi di pazienza e volontà per poter concludere, per inerzia forse, la lettura di questo libro.
Occorre ricordare dunque la frase che viene sempre associata, per i pochi che lo conoscono, a questo testo: “nessuno è grande di fronte al proprio nano”. Tutti noi diventiamo piccoli quando diamo spazio agli istinti e alla parte peggiori di noi stessi sdoganando le più inebrianti illusioni di piacere. Un ritratto dell’uomo in cui la religione viene esclusa perché dove c’è stata ha portato solo desolazione, isolamento e morte
Indicazioni utili
Gioco di specchi
Il nano è un romanzo inquietante. Scritto durante la seconda Guerra Mondiale, quando il male sembrava dilagare e coprire ogni altra cosa, il romanzo interroga in qualche modo sulla natura del male che pare incarnarsi nella figura del nano di corte. Il nano non è un buffone, comprende della realtà soprattutto la parte demoniaca (sangue, guerre, tradimenti, orrore) ma intuisce l’altra restandone distante. Ha una ironia feroce che è il suo modo di intrattenere la corte e è al servizio del principe, in cui bene e male convivono, come in ogni uomo che non ha ancora fatto una precisa e ferma scelta etica di vita. In altri personaggi come Angelica e Giovanni, la scelta di luce è stata fatta. Curiosamente il nano come fatica a vedere il bene, così fatica a cogliere la bellezza delle persona che ne sono portatori. Giovanni è l’opposto del nano, è una figura cristologica (gli occhi di cervo). D'altra parte, forse non è nemmeno esatto dire che c'è vera opposizione tra il nano e Giovanni. il nano sembra essere l’altra faccia, il rovescio, del Crocefisso (forse rappresenta più che il demonio il Dio Geloso o il vuoto di bene che attira sull'uomo ogni male). Il percorso di privazione del bene è però rimediabile come si vede nella figura della principessa. La principessa, donna depravata e prostituta è l’opposto della Madonna in cui si trasforma o a cui si avvicina dopo un cammino di penitenza. Non per niente il suo peccato peggiore non è l’amante reale ma quello virtuale, cioè il rapporto platonico con l’uomo di cui si è innamorata perdutamente mettendolo al posto di Dio e facendone un idolo. Curiosamente il nano dice che la sola donna che avrebbe potuto amare è proprio lei. Nelle sue parole si sente un leggero cedimento come se anche il nano, come la principessa, potesse essere altro da quello che sembra. Il male rappresentato dal nano non è il demonio, cioè una entità esterna all’uomo, ma è la parte dell’uomo che può essere incatenata dalla volontà. Si intuisce che il non fare una scelta precisa di campo tra bene e male significa necessariamente lasciare via libera al proprio lato oscuro che può così forzare la mano e attirare a sè forze distruttive e autodistruttive perverse difficilmente controlabili. Un chiaro esempio lo si ha nella storia della guerra, la ritirata a un passo dalla vittoria (strategicamente insensata) e la dichiarazione di pace eterna che finisce anche questa in modo totalmente insensato, come se il male, quando non è incatenato, potesse forzare la mano e prevalere sul bene in ogni momento. Il tradimento infatti non mi è parso premeditato ma improvvisato dal principe. La lotta tra i due nani raccontata all'inizio del romanzo richiama la lotta dentro l'uomo tra bene e male che potrebbe riflettersi in un'analoga lotta in Dio tra misericordia e giustizia.
In questo romanzo dove l’uomo non ha mai una chiara idea di se stesso (preferisce specchiarsi in specchi appannati) e dove si parla quasi solo di tradimenti, morti, guerre, pestilenze spicca per la sua bellezza la lettera di Angelica che è un invito all’amore e al perdono.