Il mio nome è Che Guevara
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Un mito ritrovato
Quando Ernesto Guevara de la Serna (Rosario, 14 giugno 1928 – La Higuera, 9 ottobre 1967) nel gennaio del 1959 coronava la prima tappa del suo sogno di liberazione degli oppressi, contribuendo a Cuba alla caduta del regime di Fulgencio Batista, io ero poco più che un bambino e gli echi di questa vittoria e di questo personaggio mi giunsero alle orecchie lasciandomi indifferente.
Tuttavia, qualche anno dopo, ormai maturo per potermi costruire qualche ideale, la figura del Che (questo nomignolo deriva dalla lingua mapuche e significa "uomo", "persona", e venne ripresa nello spagnolo parlato in Argentina ed Uruguay, per richiamare l'attenzione di un interlocutore) cominciò a diventarmi familiare e le sue gesta finirono con il diventare l’esempio del classico eroe disposto a sacrificare tutto, anche se stesso, per concretizzare le sue aspirazioni. Non è che sapessi molto dell’uomo Guevara, ma per lui parlavano la sua fierezza, il suo carattere indomito, il desiderio di liberare i popoli del mondo da qualsiasi oppressione capitalistica, secondo un concetto comunista più vicino a Lenin che a Marx. Benché non fossi della stessa ideologia politica, e non lo sono anche oggi, quello che mi colpiva era la figura, intesa come puro spirito, separato dal corpo, che aveva il sopravvento su tutto e così per me, come per molti altri, divenne un mito.
Quando nel 1967 Guevara cadde in un’imboscata in Bolivia e fu ucciso a sangue freddo, lo stupore iniziale lasciò presto il posto alla convinzione che così era di fatto divenuto immortale, non lasciando questa vita vecchio, magari in un letto d’ospedale, ma combattendo per ciò in cui tanto credeva.
Poi, con il 1968 e le piccole rivoluzioni di quel periodo, il Che assurse al simbolo del liberatore e dell’innovatore, ma il tempo smorza, distrugge anche, e oggi, almeno da noi, Ernesto Guevara è poco conosciuto. I giovani hanno altri miti in cui immedesimarsi, personaggi di scarse qualità che sono arrivati, spesso immeritatamente, al successo personale, quello a cui il Che non aveva mai mirato, a differenza del suo compagno di rivoluzione Fidel Castro, comunista solo per convenienza e non per convinzione.
Alejandro Torreguitart Ruiz, giovane scrittore cubano, all’epoca della morte del Che non era ancora nato e tutto ciò che ha appreso dopo è frutto di una massiccia propaganda del governo castrista e che Guevara non avrebbe sicuramente approvato.
Ma Torreguitart ama ragionare con la sua testa, e non a caso è in dissidio con il regime cubano, e allora ha voluto documentarsi, con dati e testi raccolti fuori dalla sua isola, e quindi non indottrinati.
E’ nato così questo libro che, secondo me, è una realistica e splendida biografia del Che.
C’è proprio tutta la sua vita, dalla nascita alla morte, ma, soprattutto, c’è una descrizione corretta dell’uomo Guevara, con i suoi limiti, ma anche con le sue qualità. Ne esce un personaggio complesso, ma di indubbio ascendente, tanto che anche Torreguitart ne onora la memoria.
Scritto in modo accattivante, è la storia avvincente di un uomo che antepose il suo ideale a tutto, anche a se stesso, e la figura di eroe, per certi versi romantico, non ne esce scalfita, anzi quella sua umanizzazione, avvicinandolo a noi, ci permette di comprendere meglio e anche di giustificare i suoi difetti, mentre assumono ancor più rilevo le indubbie qualità.
Il mito così si perpetua e se il corpo è ormai polvere ciò che ha rappresentato il suo spirito resta imperituro, un esempio, al di là di ogni ideologia politica, per tutte le generazioni, un sogno che non può che perpetuarsi perché, anche se non è più tempo di eroi, il Che rientra nell’olimpo degli uomini diventati dei.
E’ sicuramente un libro da leggere, sia da chi già conosce la storia di Ernesto Guevara, sia da chi la ignora, perché è un ritratto degno di questo grande rivoluzionario.