Il maledetto
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Recensione della Redazione QLibri
Tra finzione e realtà
L’ultimo lavoro della Oates è decisamente un’opera particolare, purtroppo non ho altri parametri di riferimento essendo il primo libro che leggo di questa scrittrice. Lo stile di scrittura è articolato e prolisso, il romanzo si muove tra ambientazioni gotiche, eventi ed esseri malefici. La storia è scritta dal punto di vista di uno storico che narra le vicende percorrendo i sentieri tracciati da documenti, diari e lettere che non fanno parte di documentazioni ufficiali, ma che danno evidenza degli eventi raccontati. L’università di Princeton e l’omonima cittadina sono sicuramente le ambientazioni predominanti della storia, una storia che vuole essere un pout-pourri di personaggi veri e personaggi inventati, in sottofondo la storia degli Stati Uniti di inizio ‘900, quella vera; in primo piano “Il Maledetto”.
In un periodo in cui apprezzo esageratamente l’essenzialità ho voluto cimentarmi con questa lettura, che mi è risultata poco fluida, poco lineare e un po’ scomoda, ma questo è e rimane una mia personalissima sensazione del momento.
Nonostante tutto l’idea di mischiare verità e finzione, introducendo forti tinte gotiche e demoniache mi è parsa una bella idea, personalmente avrei snellito le svariate divagazioni, ma devo comunque sottolineare la grande cultura dell’autrice e la sua capacità di tenere viva l’attenzione nonostante le molteplici divagazioni, soprattutto nella prima metà del libro.
Bella in particolare la caratterizzazione di un personaggio, uno di quelli veri, interessante l’inserimento e il richiamo a personaggi letterari e a scrittori dell’epoca.
Nel complesso un libro particolare, un po’ pesante per i miei canoni di piacere, ma con una idea molto interessante e ritengo ben sviluppata. Un testo che non mi ha suscitato particolari emozioni, ma che mi ha sicuramente tenuto attento.
Grazie alla sapiente narrazione ho percepito “Il Maledetto” come un aria malsana, una situazione mai ben definita, un fluido invisibile e mortifero, per questo ritengo che la Oates abbia fatto un gran lavoro di caratterizzazione, e di descrizione delle atmosfere. Un monologo finale mette un po’ di chiarezza, forse si tratta di una denuncia urlata, sotto forma di sermone, un lunga metafora non troppo mascherata, un urlo di protesta della scrittrice, o forse è solo un finale come tanti altri.
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Un Bambino non è qualcuno che ci rimpiazzerà?
«E, ancor più intollerabile, un “bambino” non è qualcuno che ci rimpiazzerà?»
Siamo a Princeton (New Jersey), nel 1905.
Molte figure illustri animano la vita della città universitaria: il rettore e futuro presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, con la sua famiglia tutta al femminile, l’ex presidente Cleveland e la sua giovanissima moglie, Upton Sinclair, giovane scrittore anarchico di belle speranze, e la prestigiosa famiglia Slade, guidata dall’ormai anziano Winslow, pastore e colonna della comunità e uomo noto per la sua rettitudine, la sua carità e la sua magnanimità.
La “maledizione” che colpirà Princeton, attraverso i suoi cittadini più illustri, comincia – apparentemente – in sordina, la vigilia del mercoledì delle ceneri.
Accade qualcosa di indicibile, qualcosa che non si può riferire alle signore, per non turbarle.
[«Infatti, ci sono cose troppo sgradevoli perché le donne ne sappiano qualcosa. Donne cristiane perbene, almeno. L’uomo ha il dovere di proteggerle. Non può portare a niente di buono che sappiano tutto ciò che dobbiamo sapere noi (= uomini. NdA).»]
Un linciaggio.
Forse.
Un ne(g)ro. Bisbigliano fra di loro gli uomini. Forse due. Un uomo e una donna. Fratello e sorella. Lei incinta.
Colpa dell’emancipazione, ovviamente.
E prima… prima era successo qualcos’altro.
Una bambina, non solo uccisa, ma anche… forse. Ma non si può dire, è troppo orribile.
È indicibile.
È L’Indicibile.
E contemporaneamente arriva in città un nuovo personaggio.
Un giovane molto affascinante, dai modi signorili.
Forse.
O forse no. Un ributtante e viscido vecchio.
O forse un nobile europeo di mezza età e di grande arguzia.
Ma non c’è tempo per occuparsi di queste sciocchezze.
C’è da preparare il matrimonio dell’anno. Annabel Slade si sposa a giugno. L’amata nipote del decano Winslow, la ragazza più bella, dolce e gentile di Princeton.
Arriva il gran giorno. La figlia di Woodrow Wilson è la damigella d’onore di Annabel, che è incantevole, così come lo sono la chiesa, i fiori, l’abito, lo sposo… la comunità partecipa compatta al momento di gioia della famiglia Slade.
Solo che, all’altare, qualche attimo dopo aver pronunciato il “sì”, Annabel pianta in asso lo sposo per lanciarsi fra le braccia del misterioso “straniero” di cui sopra, e fuggire con lui, sparendo nel nulla.
E da quel momento si susseguono sparizioni, omicidi inspiegabili, vampiri, apparizioni di serpenti e fantasmi. La figlioletta morta di Cleveland si mostra al padre, causandogli un grave collasso, il cugino di Annabel, Todd, si trasforma in pietra sulla tomba dell’amata cugina, il figlio di Slade uccide la moglie invalida, uno stimato professore tenta di assassinare la moglie e il figlioletto…
E la maledizione non è circoscritta a Princeton, ma perseguita la famiglia Slade anche alle Bahamas, ad opera di una medusa velenosa.
E questa non è l’unica “citazione” di Conan Doyle, perché Sherlock Holmes in persona – evocato come l’unico in grado di svelare il mistero grazie alla sua razionalità – diventa strumento della Maledizione ed uccide.
Sherlock Holmes strumento del male?
Sembrerebbe.
Non voglio spoilerare troppo, ma poco o niente è come sembra. Dovrà essere giocata una fondamentale partita a dama, fra bene e male e dovrà esserci un finale strepitoso, con il capitolo dedicato a Winslow Slade.
Questo solo per quanto concerne la trama.
Ma la cosa che veramente mi ha appassionato è stata la scrittura della Oates (e non mi soffermo a pensare su come, quanto e per quanto tempo si sia documentata).
La narrazione si snoda per oltre 600 pagine (con, ammetto, qualche passaggio un poco pesante), organizzate come la ricerca di uno storico che, diversi decenni dopo i fatti, indaghi sui misteri del 1905-6.
I capitoli in cui descrive le sue ricerche, critica i colleghi, fa l’inventario dei materiali, elenca fatti ed opinioni, si alternano a quelli in cui la vicenda viene portata avanti dai protagonisti che parlano e narra in terza persona, oppure in prima, attraverso lettere e soprattutto diari.
Quindi conosciamo un Woodrow Wilson perso nelle eterne beghe dell’università e nei suoi – altrettanto eterni – acciacchi, un Jack London falso ed inaffidabile (tale da non voler prolungare di un solo minuto la conoscenza), e pure Mark Twain (di sfuggita). Conosciamo un gran numero di signore che lasciano credere ai loro uomini di accettare di buon grado di essere “protette”…
Io poi ho pure conosciuto Carol Joyce Oates e sono più che certa di voler portare avanti la conversazione a lungo!