Il kimono rosso
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 1
Il Kimono Rosso?
Pur essendo amante dei romanzi storici, non mi ero mai avventurata prima in un romanzo che riprendesse le magnifiche atmosfere del Giappone, specie di quel Giappone che subito dopo la prima metà del 1800 venne fortemente scosso dalle cruente lotte interne tra nord e sud. Avevo dunque felicemente acquistato "Il kimono rosso" riponendovi parecchie aspettative di apprendimento e pregustando, da lettrice, la magia di un mondo così affascinante e delle avventure decantate nella trama.
Niente di più deludente.
Dopo le prime cinquanta pagine mi sono detta che era “lento”. Superato il traguardo delle trecento, ho concordato con me stessa che oltre ad essere lento era pure noioso e terribilmente prevedibile. Sì, perché ben dopo il giro di boa di quella che presumibilmente doveva essere la storia, stavamo pressappoco al punto di inizio. Hana, moglie costretta al comandante Yamagochi, cinico e spietato samurai conservatore, fuggita da un gruppo di soldati del sud e finita casualmente a Yoshiwara, il quartiere delle cortigiane, studia letargicamente la situazione ed il mondo che la circonda e finisce per rassegnarsi in maniera del tutto naturale al suo destino di stella portatrice di piacere. Yozo, giovane ed orgoglioso soldato del nord, se ne sta invece rintanato con i fieri compagni sull’isola di Ezo, in attesa di sferrare l’attacco al nemico, la milizia del nord che si è impossessata del paese ed ha spodestato lo shogun. Ovviamente, uno dei comandanti delle operazioni militari non può che essere Yamagochi, così come è ovvio che tra i due ometti non corra buon sangue, tant’è che un paio di volte provano a darsele di sciabola e spada senza colpo ferir.
Le vicende finiscono per sciogliersi nell’ultima tratto di libro, velocemente e senza profondità alcuna. Ne scaturisce un quadro incolore di personaggi privi di carattere, un’accozzaglia di eventi scontati ed una serie di atmosfere blande ed appena accennate che a stento sono in grado di ritrarre le autentiche atmosfere giapponesi del secolo in questione.
L’unico merito che va all’autrice è forse quello di essersi attenuta il più possibile alla realtà storica dei fatti (lo si apprende da un’accurata appendice alla fine della storia), peccato che nell’intento di seguire il vero e di non tradire l’appendice, la stessa si sia quasi completamente dimenticata degli intrecci narrativi e del fatto che stesse scrivendo un romanzo.
Un ultimo appunto: chissà perché, nella traduzione dall’inglese all’italiano, il titolo è stato modificato da “The Courtesan and the Samurai” a “Il Kimono rosso”. Non si è accorto nessuno che il kimono in questione compariva sì e no all’inizio della storia, per poi sparire definitivamente senza alcun pentimento e senza possibilità d’essere nuovamente menzionato per importanza o per una qualsiasi attribuzione di significato? Non ha forse un romanzo il diritto d’avere un “nome” appropriato al suo contenuto in modo da non ingannare il lettore?
I misteri delle allodole editoriali. Di rosso rimane il tarlo… d’aver comprato a prezzo pieno.