Il giardino dei cosacchi
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Due vite
Calatosi nei panni di Alexander Igorovic von Wrangel zu Ludenhof , barone russo di origini baltiche, del quale ha letto e studiato memorie scritte e corrispondenza, Jan Brokken ha potuto creare un romanzo dal puro sapore biografico che ci permette di approfondire la conoscenza dell’esilio siberiano di Dostoevskij assaporando anche la storia di un’amicizia e l’atmosfera dei tempi che videro, con l’avvicendarsi degli zar Nicola I e Alessandro II, una progressiva politica di liberalizzazione destinata come sappiamo a vita breve.
È molto interessante incrociare il destino di questi giovani uomini, il barone in realtà giovanissimo, con gli assi non solo della loro personale biografia ma anche del tessuto sociale, politico, economico del grande impero, con il suo apparato burocratico, con le sue condanne a morte, con le detenzioni nella sterminata landa siberiana, terra di custodia dei facinorosi e di tutta la peggior delinquenza e al tempo stesso trampolino di lancio per la conquista di nuove terre prossimali. Sono gli anni dei moti che scuotono l’Europa e poi quelli della guerra di Crimea tesa a mantenere salde le postazioni limitanee nel sud est dell’impero, quelle prossimali alla Turchia. 1861: Moldavia e Valacchia indipendenti, Italia unita.
F.M. Dostoevskij è ai lavori forzati dopo aver visto in faccia la morte durante un’esecuzione che viene tramutata solo davanti al plotone di esecuzione in altra condanna: la vita è salva ma l’individuo è annientato dalla nuova esperienza che si dilata oltremisura senza preciso limite temporale alla sua fine. In questa atmosfera sospesa, nelle terre siberiane, entra in contatto con il giovane barone che è lì per amministrare la giustizia per conto dell’impero. I due stringono un’affettuosa amicizia che vede come epicentro confidenziale il giardino dei cosacchi, la terra che circonda la dacia dove il barone ama rifugiarsi in estate .
La prima parte della narrazione è avvincente, il barone è infatti in piazza il giorno dell’esecuzione, è profondamente colpito dalla ferocia della grazia concessa in extremis, lo scrittore sarà d’ora in poi per lui un umiliato, in offeso, un risorto. Progressivamente, narrato il suo arrivo in Siberia, si viene a conoscere il piccolo mondo delle relazioni a cui lui deve soggiacere e lo spiraglio umano di cui gode nell’intrattenersi con lo scrittore dal quale, in molti, cercano di allontanarlo temendone le velleità rivoluzionarie. Approfondita la conoscenza, i due si scambiano i tormenti d’amore per due donne sposate di cui si sono innamorati: Marija per Dostoevskij e Katia per il barone. Emergono le tensioni non solo amorose ma anche quelle letterarie e continui sono i riferimenti alla precarietà economica, a quella lavorativa e perfino a quella della salute. Dostoevskij lavora alla “Memorie dalla casa dei morti”, è sicuro che la fama legata al successo di “Povera gente” sia tutta da riguadagnare e che i suoi scritti, una volta tornato alla società civile saranno osteggiati dalla censura. È un uomo assorto nella riflessione sulla colpa, sulla pena, sul castigo, assorbe i racconti che derivano dalle esperienze lavorative dell’amico, si nutre di follia e di violenza cieca. Lavora insomma a riempire il serbatoio della sua creatività futura, quella che gli permise di tenere testa ai contratti capestro. Superata una fase centrale della narrazione nella quale protagonista assoluto è il barone, la lettura decolla di nuovo con il matrimonio con Marija, con la narrazione della difficilissima convivenza matrimoniale a causa dell’insorgere dirompente dell’epilessia e con i lutti che iniziano a funestare la sua vita. Le strade dei due amici intanto si sono separate, l’amicizia sfuma in una finale e languida stretta di mano durante un incontro fortuito a distanza di anni e segna il bilancio di una breve parentesi di fratellanza necessaria a tutti gli uomini anche se non perpetua.
la Russia zarista all'epoca di Dostoevskij
IL GIARDINO DEI COSACCHI DELL’OLANDESE JAN BROKKEN (ed. Iperborea, 2016). L’illusione di un libro di memorie autentico è perfetta: sembra davvero di leggere i ricordi del barone Alexander Igorovic von Wrangel relativi alla sua amicizia con Fedor Dostoevskij, di dieci anni più anziano (F. D. nasce nel 1821), che frequenta assiduamente dal 1854, quando sceglie per il suo primo incarico di magistrato (ha solo 22 anni!) una città della Siberia dove lo scrittore già soggiorna.
COME NASCE QUESTO LIBRO? Come si legge a p. 387, nella sezione Ringraziamenti, nel suo ANIME BALTICHE (2014) l’autore del Giardino aveva fatto fra gli altri il ritratto della nobile baltico-tedesca Anna-Liselotte von Wrangel: da lei era poi risalito al barone Alexander di cui Anna Liselotte era pronipote, del quale legge diari lettere e altri scritti personali. Anche Il giardino dei cosacchi mostra bene che Brokken ama ricostruire storie vere e ambienti storici ed è affascinato da quel mondo sconfinato e in molta parte disabitato che dall’estremo Nord dell’Europa - San Pietroburgo, per intenderci - si estende ad ovest verso l’Europa occidentale, a sud verso il Medio Oriente musulmano, i paesi della catena himalayana e la Cina, e ad est fino alla costa che si affaccia verso il Giappone: tutta questa immensità era l’Impero degli zar di Russia in cui si ambienta Il giardino dei cosacchi. Detto per inciso, mi ha molto intrigato che a un certo punto del romanzo venga detto che la lingua in cui Giapponesi e Russi potevano comunicare nell’800 era … l’olandese! e a quel punto come non pensare ai viaggi di carovane e vascelli che portavano merci da Oriente a Occidente? In particolare mi è tornato in mente il poème Invitation au voyage in cui Baudelaire evoca Amsterdam come città che trabocca di merci orientali ...
COME SI SPIEGA IL TITOLO? Alexander I. von Wrangel chiamava “giardino dei cosacchi” la casa di campagna in cui più volte ospitò il suo amico Dostoevskij. Come detto, Brokken si immedesima nel giovane barone e sulla base della sua documentazione ripercorre nel ricordo, seguendo un filo cronologico, quei dieci anni della sua stretta amicizia con l’ingegnere militare (sotto-pagato e sempre squattrinato) Fedor Dostoevskij. Questi, già trentenne, si è fatto notare come scrittore per il suo “Povera gente”, ma non ha ancora scritto i suoi grandi romanzi, avendo prima passato quattro anni in un campo di lavori forzati in Siberia per aver partecipato a riunioni di una società segreta anti-zarista, obbligato poi a prestar servizio come soldato semplice in una città della Siberia e non essendo comunque autorizzato a pubblicare. In questa stessa città il giovanissimo Wrangel (22 anni!) va a ricoprire un incarico di magistrato e siccome apprezza lo scrittore F. D. ne ricerca la conoscenza: la scintilla dell’amicizia si accende fin dal primo incontro e resta accesa per sempre, anche se poi la vita li separerà.
CONTENUTO. Pagina dopo pagina Brokken ricostituisce cronologicamente, non di rado con sorridente ironia, la storia dell’amicizia fra due uomini divisi per età, storia personale e condizione economica, ma uniti dalla sofferenza d’amore per donne che non si concedono mai del tutto. Come spesso però avviene nella realtà, la vita separerà l’uno e l’altro e alla fine il sentimento di amicizia sarà indebolito, se non spento, dall’opportunismo di Dostoevskij, che da Wrangel ha avuto una serie infinita di aiuti anche economici, ma si sottrae col silenzio alla richiesta di aiuto dell’amico quando a sua volta questi avrà bisogno di sostegno economico. Insomma, un grande scrittore indagatore della colpa non necessariamente è innocente e privo di contraddizioni. Col che non si pensi che Brokken alias Wrangel voglia “smascherare” un maestro della letteratura russa, giacché riunendo i suoi ricordi “siberiani”, Wrangel esprime sempre ammirazione e comprensione per il suo amico di un tempo - lui ormai è diventato nel frattempo un padre di famiglia - e solo dice nelle ultime pagine con grande semplicità che D. non risponde alla sua richiesta di aiuto. Queste sia pur finte memorie del barone von Wrangel permettono dunque di conoscere meglio -ovviamente- la personalità di F. D., segnato da un’infanzia infelice, dall’epilessia, dall’esperienza della “falsa fucilazione” (vedi primi capitoli), dai lavori forzati a diretto contatto con criminali nella regione del peggiore arbitrio allora come nella Russia stalinista, dalla disperazione di potersi dedicare alla scrittura, dalla precarietà economica e dall’inesauribile curiosità per le contraddizioni dell’anima, soprattutto dell’anima colpevole. La sua personalità nonchè certe situazioni che saranno per lui fonte di ispirazione per i suoi romanzi. Fra l’altro Wrangel-Brokken mette in luce più volte le ragioni che spinsero Dostoevskij a certe iniziative utili ad ottenere la grazia: l’importante era poter scrivere e pubblicare e, perchè no, anche semplicemente vivere, non marcire in una caserma siberiana.
Attraverso la narrazione di Wrangel, tuttavia, Brokken ci dà uno spaccato della società russa degli anni ‘50 dell’800, di prima dell’incoronazione del primo zar “illuminato”, Alessandro II, una società che ancora non è uscita dall’Ancien Régime, sovraccarica di un potere imperiale illimitato (e nel 1917 all’autocrazia imperiale succederà direttamente quella del partito bolscevico) e di un apparato statale in mano all’aristocrazia, che lo gestisce per soddisfare interessi di casta e personali (vedi per es. p. 152-153 nel divertente capitolo La visita del Governatore generale, in cui si parla di certe realtà che conosciamo molto bene). In questo mondo tutto è determinato dalle pressioni personali dell’uno o dell’altro, più o meno efficaci a seconda della vicinanza minore o maggiore allo zar, secondo una scala infinitamente graduata. Il movimento rivoluzionario decabrista (rivolta anti-zarista del dicembre 1825, cui partecipano anche ufficiali della Guardia imperiale) sembra esser stato digerito ed eliminato nell’immobilismo di uno stato geograficamente sconfinato, dove ancora si caccia la tigre, una lettera arriva a destinazione anche dopo 4 mesi, e popolazioni nomadi di etnie diverse coesistono, separate da migliaia di “verste”, con città dalle architetture più fastose di quelle di Versailles. Tutto ciò mentre a Occidente i fermenti rivoluzionari spingono tutti i paesi verso una graduale modernizzazione socio-politica. Un aspetto che mi è sembrato di cogliere, infine, di questa società aristocratica, è un rapporto col denaro diverso rispetto da quello che si ha in una società borghese: il denaro è per sua essenza mobile, va e viene a seconda del favore di chi sta più in alto nella scala sociale e più che essere accumulato deve garantire un certo tenore di vita: a sé e ai propri “protetti”.
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Stralci d'umanità di un genio
“Nella vita mirava solo a tre cose: scrivere, pubblicare, e sposare il suo grande amore. In quest’ordine.”
Questa la citazione che dovrebbe riassumere l’essenza de “Il giardino dei Cosacchi” di Jan Brokken, ma che da quanto emerge dalla lettura non sembra corrispondere del tutto a verità, almeno riguardo all’ordine di preferenza. Cominciamo con l’identificare questo libro: non è una biografia di Fëdor Dostoevskij, bensì il racconto dello stralcio più drammatico della sua vita, ovvero quello che comprende il suo arresto, la condanna a morte e la mutazione della pena ai lavori forzati in Siberia. Il tutto è ricostruito e romanzato tramite le lettere che l’autore russo ha scambiato con quello che in quel tempo era il suo migliore amico: l’ufficiale Alexander Von Wrangel, che è anche il narratore di questa storia. Il racconto dovrebbe essere accurato, considerate le fonti utilizzate per metterlo insieme, e riesce a mettere in luce il lato più umano di Dostoevskij e allo stesso tempo a sfatare qualche mito.
Tutto ha inizio proprio nel momento della commutazione della pena: Dostoevskij è sul patibolo e sta per essere fucilato insieme ad altri “sovversivi”. Tuttavia, proprio mentre si trova solo in attesa della parola “fuoco!”, arriva a cavallo un ufficiale per comunicare la grazia dello zar: niente più fucilazione, ma lavori forzati in Siberia e in seguito servizio nella città kazaca di Semipalatinsk. Proprio qui il nostro scrittore farà la conoscenza di Alexander von Wrangel, che da ragazzino ha assistito alla sua “quasi” esecuzione e che ne è stato segnato profondamente. Avrà qui inizio una profonda amicizia che li porterà a condividere tutto, portandoli ad aggrapparsi l’uno all’altro e a ritagliarsi un rifugio nel “Giardino dei cosacchi”, una vecchia dacia in mezzo alla steppa in cui potranno condividere riflessioni, gioie, dolori, e dalla quale saranno lontani spettatori del contesto politico della Russia di quell’epoca.
Questo fino a quando le vicissitudini li porteranno a separarsi, arrivando a una conclusione che mette in risalto la brutalità della vita; che mette in risalto come alcuni legami che credevamo indissolubili possano rompersi senza preavviso e a volte senza neanche un grave motivo. La vita dà, la vita toglie; ma mentre quello che riceviamo richiede molto spesso uno sforzo non indifferente, nel caso di un’amicizia anche un profondo impegno nel coltivarla, tutto ci può essere tolto anche in maniera brutale.
Tornando a quello che accennavo all’inizio della recensione, paradossalmente non credo che scrivere e pubblicare si trovino un gradino più su dello “sposare il suo grande amore”, per il nostro caro Fëdor. Perché? Perché nelle pagine di quest’opera si mette continuamente in risalto l’ossessione che Dostoevskij ha per quella che sarà la sua prima moglie: Marija Dimitrievna Isaeva, che nel momento in cui incontra lo scrittore è sposata e con un figlio. Questo amore malato (perché di questo si tratta, soprattutto a causa del carattere a dir poco folle di lei e dell’ossessione di lui) è in fondo il protagonista dell’intera vicenda, insieme all’amore altrettanto impossibile tra Von Wrangel e un’altra donna sposata. Perché dico che questo amore era più importante della scrittura, per Dostoevskij? Perché nei momenti in cui questo rapporto viveva i suoi momenti no l’autore era letteralmente incapace di scrivere. È strano fare questo tipo di constatazioni riguardo a uno dei più grandi autori di tutti i tempi, oltre che tra i miei preferiti in assoluto. In questa storia viene fuori tutta la fragilità, i suoi difetti (tra cui un’innata tendenza a elemosinare, che si tratti di soldi o di favori), il suo essere profondamente umano.
Certo, bisogna sempre considerare che si tratta del punto di vista (espresso tramite lettera) di un'altra persona; ma una persona che comunque gli è stata molto vicina per lungo tempo.
“«Grande è la gioia dell’amore», mi scrisse, «ma i dolori sono così terribili che sarebbe meglio non amare mai.»”
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Dostoevskij: una vita sofferta ma intensa
Raccontare parte della vita di Dostoevskij sotto forma di romanzo piuttosto che come biografia, è un'idea piuttosto interessante ed originale che il giornalista-scrittore olandese Jan Brokken ha perseguito con un discreto successo a mio avviso. Più in particolare gli anni descritti sono poco più di dieci e corrispondono principalmente a quelli della deportazione in Siberia che Dostoevskij ha dovuto subire trattandosi della punizione comminatagli dallo Zar Nicola I, a seguito della sua attività di intellettuale sedizioso con idee rivoluzionarie e ostili all'ordine costituito. Peraltro lo Zar Nicola si dimostrò piuttosto crudele nei confronti del celebre scrittore russo e degli altri colpevoli in quanto fece credere loro, fino alla fine, che la punizione per il tradimento perpetrato sarebbe stata la fucilazione e solo all'ultimo secondo, quando ormai erano tutti schierati davanti al plotone di esecuzione convinti di dovere morire, vennero informati della "grazia" e della commutazione della pena con la deportazione in Siberia, nei campi di lavoro. Questo fatto ebbe notevoli ripercussioni sulla salute mentale di Dostoevskij considerato che costituì il presupposto di quegli attacchi di epilessia che lo accompagnarono per il resto dei suoi giorni, fino alla morte.
Le dure condizioni di vita nel campo di lavoro prima e l'ulteriore proseguimento della pena come servizio militare obbligatorio, rappresentarono una notevole sofferenza aggravata dal fatto che durante l'intero periodo a Dostoevskij venne proibito di pubblicare i suoi romanzi, anche se proprio in quegli anni disperati germogliarono le idee da cui nacquero capolavori, in parte autobiografici, come "Delitto e Castigo" o "L'idiota".
La vita in Siberia trascorre tra lavori forzati e giornate noiose successivamente durante il servizio di leva, sebbene alcuni eventi piuttosto importanti e assolutamente piacevoli capitarono nel decennio di confino. Il primo è rappresentato dall'intensa amicizia che legò lo scrittore al barone Alexander von Wrangel, operativo nel distretto siberiano in qualità di pubblico ufficiale, con il quale condivise intere giornate trascorse nel «Giardino dei cosacchi» che dà il titolo all'opera (una dacia in mezzo alla steppa siberiana, un rifugio di pace e serenità). Il secondo evento ugualmente importante è l'incontro con Marija, donna già sposata ma con la quale visse ugualmente un rapporto di amore tormentato e sofferto e che in seguito diventerà la sua prima moglie.
Brokken ha svolto una minuziosa attività di approfondimento della vita di Dostoevskij in quel periodo, raccogliendo parecchio materiale bibliografico rappresentato dai numerosissimi scambi epistolari intercorsi tra il barone von Wrangel e lo stesso scrittore. Ha quindi scelto di descrivere il tutto come se si trattasse di un romanzo raccontato dal punto di vista di von Wrangel, ed intervallando la narrazione con i pensieri e le riflessioni contenute proprio nelle lettere che i due si inviavano periodicamente. Indubbiamente il tema dell'amore difficile e tormentato tra D. e Marija copre buona parte dell'intera narrazione ma non mancano ulteriori aspetti degni di nota, come ad esempio il fatto che lo scrittore era perennemente in difficoltà economiche e chiedeva frequentemente denaro in prestito (poi mai restituito...) all'amico barone, principalmente con l'intento di aiutare economicamente la sua "pupilla" Marija. Oppure affreschi della società del tempo,non lesinando denunce nei confronti della classe dirigente russa ritenuta corrotta e corruttibile, i cui passatempi preferiti erano costituiti dai balli, le relazioni extra coniugali, il pettegolezzo e l'abuso di alcol.
Il libro credo abbia il merito di mostrare l'uomo Dostoevski a tutto tondo evidenziandone il talento ed allo stesso tempo le sue debolezze di uomo che dimostra di avere un rapporto di amore-odio con la patria, ma in fin dei conti come scrive von Wrangel, "Un russo vive in dissidio costante con la Russia, altrimenti non è un russo. Toglieteli però la Russia e morirà di morte lenta".