Il farmacista di Auschwitz
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Dieter Schlesak è nato nel 1934 a Schäßburg (Sighisoara) in Transilvania, Romania. Poeta di madrelingua tedesca, saggista e romanziere, dopo gli studi universitari in germanistica a Bucarest ha subito la persecuzione del regime di Ceausescu per la sua attività di redattore della rivista «Neue Literatur». Nel 1969 si è trasferito a Stoccarda, in Germania, e dal 1973 vive in Toscana, ad Agliano, sopra Camaiore (Lucca). Membro del PEN Club, ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi letterari.
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Capesius
Auschwitz, quando menzioniamo questo luogo il nostro cervello pensa subito all’Olocausto degli ebrei ed alle: decine, centinaia, migliaia di vittime che hanno lasciato la vita con un’atrocità inaudita.
L’autore attraverso il suo libro testimonianza ci ha messo davanti agli occhi quello che hanno vissuto alcuni prigionieri che vennero internati in questo posto.
L’unico personaggio che non è realmente esistito è Adam, ma lui stesso narra dei fatti che sono davvero accaduti in questo luogo di morte.
Passiamo alla trama del libro.
Si tratta di un romanzo storico ambientato, come si sarà già intuito, negli anni della Seconda Guerra Mondiale e successivi.
Narra la storia di Capesius, un farmacista, un uomo gentile e di buon cuore, l’ex vicino di casa della famiglia Schlesak.
Capesius nel campo di Auschwitz dovette utilizzare la sua esperienza per mandare a morire molte persone che conosceva e non.
Adam invece era un possibile deportato che per poter sopravvivere a questa situazione fu costretto ad entrare a far parte del Sonderkommando Crematori.
Non è né il primo né l’ultimo libro che leggo su questo argomento, ma questo più di altri mi è rimasto dentro, si è aggrappato a me e mi ha fatto rivivere i ricordi delle povere vittime implicate.
Il linguaggio è molto crudo ed esplicito d’altronde non potrebbe essere scritto diversamente altrimenti non risulterebbe veritiero.
Anche se Adam non è un vero e proprio sopravvissuto a questo sterminio di massa, come avevo già specificato, l’autore spiega al lettore nella postfazione che si è servito di questa figura per dare voce a tutte le informazioni acquisite in venti anni di studio approfondito su questi fatti catastrofici.
Tutte le vicende vengono descritte senza un filo logico apparente, si salta in continuazione tra vicende accadute prima e dopo la guerra come se si trattasse di un ricordo frammentato che si cerca in tutti i modi di cancellare dalla memoria.
All’interno del testo possiamo trovare alcune foto di documenti dell’epoca ed anche la faccia di Capesius stesso.
Che altro dire?
È un libro che bisogna leggere piano, soffermandosi di tanto in tanto per poter digerire tutte le informazioni che ci da.
È un libro che vuole farci imprimere nella mente il dolore di chi ha vissuto le pagine più brutte e tristi della storia mondiale.
Buona lettura!
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insomma...
lettura difficile da seguire, non segue molto un filo logico e ho dovuto immaginare chi parlava per farmi un'idea del contenuto a volte! peccato, perchè l'argomento è di tutto rispetto e anche molto originale in alcuni punti. ci sono nozioni che non si trovano altrove, ed è giusto conoscere la storia. tutti dovremmo leggere questo libro, anche solo per sapere. alla fine non ho ritenuto importante dover seguire tutto per filo e per segno, chi dice cosa. l'importante era capire COSA è stato fatto, cosa è successo realmente. però ci sono troppi intoppi, quello sì. mi è piaciuto invece il fatto che è stato dato un nome a tutti, bisogna ricordare tutte le persone menzionate, perchè sono state importanti. sia le persone perbene, sia le persone malvage, perchè i prigionieri meritano memoria, mentre le guardie e compagnia bella meritano di essere ricordate per essere disprezzate!
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- sì
- no
una vita migliore
ho letto diversi libri sull'olocausto e tutte con storie diverse tra loro ma con un solo desiderio Vivere...
mi piacciono queste storie non per leggere le atrocita' che sono state inflitte a tutte quelle persone, ma perchè mi piaccino racconti Veri di storie Vissute realmente
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Klepsidra...mi ricorderò di te.
Ogni inferno ha un gergo.
E' filologicamente provato.
In Polonia, ma anche in Croazia, nel linguaggio dei lager esistevano parole secche e fredde come un colpo di staffile.
Klepsidra significava un taglio.
In questa stagione, mentre qui in Italia fa abbastanza freddo, in Polonia, ma anche in Croazia, fa molto molto freddo.
Il kapò del campo non poteva ricordare tutti coloro cui avrebbe voluto farla pagare, così si aiutava col freddo e con il nerbo di bue.
Una nerbata sulla guancia, con una temperatura di almeno 15 gradi sotto lo zero, diventa un taglio, un memento.
Klepsidra, lo si chiamava...ed era questione di giorni.
Dieter Schlesak, che io ho letto in tedesco, è stato grande in questo romanzo a battezzare una metascrittura angolare da lager.
Le voci giungono così tutte insieme, disordinatamente, in una sorta di ridda agorafobica.
Certo, chi non sa questo e si avvicina al romanzo sperando nella storia con trama...ha sbagliato proprio.
Ho dato un voto basso alla piacevolezza perché il contenuto non può essere piacevole, anzi, risulta forte e drammatico.
Ma è un klepsidra...Dieter Schlesak si è ricordato di punire con la memoria qualcosa che molti cercano di dimenticare.
La notte, la notte di tutto.
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Il farmacista di Auschwitz
Ho trovato un libro che nelle aspettaive prometteva molto di più di quello che mi ha lasciato nel mio intimo, per la assoluta confusione della narrazione che non è facile capire attraverso i personaggi che si confondono con la realtà del dramma vissuto dai protagonisti. Da anni mi interesso dei drammi legati al nazismo e alla sua allucinante dottrina, ma questo libro non mi ha coinvolto come altri che ho letto nel passato e che mi avevano lasciato un ricordo doloroso delle sofferenze vissute dai protagonisti.