Il collare rosso Il collare rosso

Il collare rosso

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In una cittadina francese nella torrida estate del 1919, un eroe di guerra è incarcerato in una caserma. Fuori, nella piazza deserta, il suo vecchio cane abbaia notte e giorno. Non lontano da lì, in campagna, una giovane donna attende e spera. Il giudice incaricato dell’affare è un aristocratico i cui valori sono stati messi in crisi dalla guerra. Tre personaggi e un cane che è la chiave del dramma… Essere leali verso i propri amici, battersi per quelli che amiamo, è una qualità che condividiamo con i cani. Ma lo specifico dell’essere umano non è forse di andare oltre e di riconoscere il fratello in colui che ci combatte?



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Il collare rosso 2021-10-30 17:34:36 anna rosa di giovanni
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anna rosa di giovanni Opinione inserita da anna rosa di giovanni    30 Ottobre, 2021
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Meglio màrtiri che violenti

IL COLLARE ROSSO
di JEAN CHRISTOPHE RUFIN (2018)


Di Rufin ho letto diverse opere e ho apprezzato moltissimo Rosso Brasile, Le tour du monde du roi Zibelin, L’abissino, Profumo di Adamo e Le grand Coeur (titolo italiano L’uomo dei sogni, che racconta la storia di Jacques Coeur), più originali e di spirito più moderno rispetto a quello su cui esprimo qui la mia opinione.

Nel breve romanzo in oggetto Rufin racconta il disvelamento progressivo dei veri motivi che il 14 luglio 1919, in occasione dei primi festeggiamenti dell’anniversario della Rivoluzione francese dopo la Grande guerra, hanno indotto un uomo, Morlac, a irridere la Legione d’onore ricevuta per meriti di guerra appendendola al collo del suo cane Guillaume, che lo aveva accompagnato per tutta la guerra. L’ufficiale, Lantier, incaricato di condurre l’indagine in vista del processo è dotato di una sensibilità così poco militaresca da intuire le vere ragioni che hanno spinto quell’ex-soldato a compiere un gesto che sicuramente non sarebbe rimasto impunito. Lo scontro coi soldati bulgari in cui lui e il suo cane erano stati “eroicamente” feriti - spiega Morlac a Lantier - era stato causato dal cane stesso e non doveva affatto aver luogo, e anzi, col suo intervento l’animale aveva mandato all’aria il piano nato fra i soldati dei due eserciti contrapposti, i quali avevano deciso di sbarazzarsi degli ufficiali, cessare la guerra e dare inizio alla rivoluzione, come era accaduto in Russia poco tempo prima. “(Guillaume) aveva tutte le qualità - dice Morlac - che si aspettavano da un soldato. Era leale fino alla morte, coraggioso, senza pietà verso i nemici. Per lui il mondo era fatto di buoni e di cattivi (…). A noi che non eravamo cani chiedevano la stessa cosa. Distinzioni, medaglie, citazioni, promozioni, tutte queste cose erano fatte per ricompensare atti da bestie”. Morlac pensa sinceramente di aver sfidato “l’establishment” e di detestare la povera bestia per motivi ideali/ideologici, ma Lantier lo induce a riconoscere infine che in realtà la sua trasgressione era dettata da un motivo di altra natura, squisitamente sentimentale: punire la donna amata, da cui riteneva a torto di essere stato tradito. E, simile a un padre buono e saggio, Lantier lo restituisce all’amore di Valentina e al figlio avuto da lei.

A dire il vero, leggendo questo libro avevo l’impressione di leggere l’opera di uno scrittore non di oggi, ma della prima metà del ‘900, diciamo pure degli anni in cui si colloca la vicenda, anzi direi che per come è articolata (dialoghi in un paio di luoghi nel giro di un tempo brevissimo), questa narrazione dall’impianto teatrale ricorda il teatro filosofico del primo e del secondo dopoguerra, per esempio di Jean Giraudoux o di Sartre, per essere costruito su tesi che l’azione teatrale vuole dimostrare. In questo libro - ed è perché vuole dimostrare qualcosa invece che raccontare che l’ho apprezzato meno degli altri suoi - a Rufin preme mostrare che i motivi ideali / ideologici addotti per giustificare la violenza sono pretesti con cui nascondere rancori personali. Per cui sarei curiosa di sapere perché Rufin ha scritto proprio durante la “primavera araba” questo libro che non condanna, però smaschera chi si ribella in nome della giustizia. Come dire che Antigone e Navalny sono buoni in quanto martiri.

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Consigliato a chi ha letto...
le opere di scrittori "pacifisti", per esempio La guerra diTroia non ci sarà" di Giraudoux, ma soprattutto i romanzi di Rufini che ho indicato sopra
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Il collare rosso 2015-01-03 22:26:38 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    04 Gennaio, 2015
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Lunga vita a Kaiser

Esistono qualita' improprie alla razza umana, in molti soggetti piu' inevitabilmente sfuggenti che non sensatamente stabilizzabili. Cito la fedelta', che per assurdo e' una caratteristica molto sviluppata in specie meno evolute, meno intelligenti. Un cane, per esempio. Che non distingue il colore della divisa di un soldato, che non riconosce un patto tra uomini, ma che non esita un istante a scegliere di morire per la vita del suo padrone. 
Partendo da questo spunto IL COLLARE ROSSO ci propone un breve ed amabilissimo romanzo ambientato in una Francia assolata reduce dalla prima guerra mondiale, nella spoglia cella di un carcere semideserto in cui, al ritmo dolente di un abbaio straziato, un uomo affronta un altro uomo, cercando di capire perche' questi voglia essere condannato.
Valentine col bimbo vestito di pezze cucite ripone i preziosi volumi su mensole storte , nel cuore di Kaiser dal manto ricoperto di cicatrici pulsa la costanza dell'attesa, il giudice Lantier interroga il detenuto, affrontando il passato. Si torna al fronte, in una guerra di ragazzi strappati a grappoli dalle loro case, nelle buche di trincea ad ammazzare e farsi uccidere a colpi di baionetta e magari tornare, quando si torna, con una medaglia al valore per avere attaccato senza timore e colpito con onore. Onore scolpito sul metallo lucido che non appartiene a quelle giovani mani callose di contadino che coltivavano la terra, prima di divenire guerriere.
Semplice ma intenso, pochi personaggi che nascono dallo spunto di un episodio vero e con cui Rufin scrive una bella storia d'amore e tenerezza, di uomini, di animali, auspicando la pace di una famiglia con una nota di disprezzo sulla guerra. Buona lettura.

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Il collare rosso 2014-09-26 14:32:08 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    26 Settembre, 2014
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Il collare rosso..

«No» disse. «Non ero ubriaco e non mi pento di niente ». 1919. Una torrida estate straziava senza scrupoli una cittadina di provincia francese. L’ufficiale Huges Lantier Du Grez rimase affascinato da quel caso sin dal suo primo incontro con Morlac. Non era il classico prigioniero che si era fino ad allora trovato davanti, quale giudice gli aveva offerto diverse soluzioni, ognuna delle quali gli concedeva la libertà. La comprensione e la disponibilità dell'aristocratico erano però state messe a dura prova dalla caparbietà di quell'uomo di campagna che si ostinava a dichiararsi colpevole quasi bramasse una pena che idealmente si era già inflitto.
Lantier non si lasciava ingannare dalle apparenze, in altre occasioni non si era fatto scrupoli nel condannare uomini delle cui sorti non aveva avuto poi più notizia, ma questa volta c'era qualcosa di diverso che lo spingeva a scoprire cosa frullasse nella mente del campagnolo.. Che fosse per la fedeltà dimostrata da quel cane che aveva seguito il suo padrone sul fronte di guerra e che tutt'ora non lo abbandonava nonostante fosse stremato dalle sue ore di veglia e latrati dinanzi la struttura penitenziaria ove Morlac scontava le sue giornate di prigionia? Che fosse per Valentine e il suo cristallino ed imperturbabile amore per quel cocciuto uomo?
Un romanzo che è pura poesia dove le vicende si scandiscono in 4 giorni eppure il lettore divora le parole di Rufin in meno di quarantotto ore. Un'opera basata su 4 personaggi chiave, sulla fedeltà, sull'amore, sull'orgoglio, sulla vita e l’essere umano. Un’opera che trae spunto da un aneddoto semplice e breve trasmutato nel romanzo a cui l’autentico narratore non ha potuto prendere visione. Ciao Benoit. Una perla nell’oceano.

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