Il canto di Calliope
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Brevi istantanee dal fronte troiano
Resami conto di avere in libreria diversi titoli etichettabili come retelling mitologici, ho pensato fosse una buona idea recuperarne uno al mese durante il periodo estivo; mi sembrava il momento ideale per affrontare un sottogenere che purtroppo non mi entusiasma più come un tempo. Per il mese di giugno sono dovuta correre un po' ai ripari, perché era ormai l'ultima settimana e non pensavo di poter affrontare una lettura troppo lunga, quindi ho ripiegato sul relativamente breve "Il canto di Calliope".
La narrazione si apre proprio sulla musa della poesia epica che irride un anonimo (ma forse non troppo) poeta impegnato a narrare delle donne collegate alla guerra di Troia, le quali diventano così protagoniste di uno o più capitoli all'interno del volume. L'intreccio si snoda attraverso diversi registri narrativi e senza seguire un ordine cronologico: si passa dalle troiane superstiti impegnate ad introdurre alcune storie mentre attendono di conoscere il proprio destino, a Penelope che racconta le disavventure del marito tramite delle missive, agli intermezzi di Calliope, l'unica a rivolgersi direttamente al lettore, con un tono affatto formale. L'obiettivo è lampante: mostrare un lato in ombra di una storia universalmente conosciuta, nella quale però sono quasi esclusivamente i personaggi maschili a risaltare, e trattare il tema della guerra dal punto di vista delle vittime collaterali e delle persone che rimangono a casa, aspettando il ritorno di chi combatte al fronte.
Un'idea niente male sulla quale basare un libro: non sarà del tutto inedita, ma ho apprezzato l'intenzione e la scelta di dare spazio anche a figure misconosciute, oltre alle prevedibili Elena, Cassandra o Briseide. Tra i meriti di questo titolo rientra poi l'ottimo lavoro di ricerca svolto dall'autrice che, in concerto con le frequenti ripetizioni di nomi e ruoli, permette anche ad un neofita della mitologia classica di avere un quadro degli eventi principali che vanno da ben prima del matrimonio tra Teti e Peleo fino alle battute conclusive dell'Odissea.
Ho apprezzato anche la decisione di portare in scena i ritratti di così tante donne, in modo da poter mostrare dei lati della femminilità meno convenzionali: Haynes cerca di includere punti di vista diversi andando oltre i prototipi della madre e della figlia, ma anche mostrando alcuni pensieri decisamente negativi -perfino brutali- che di solito non verrebbero associati a delle figure femminili.
Essendo un testo così vario, ho delle opinioni contrastanti sulle diverse parti, ad esempio ho trovato molto divertenti le lettere di Penelope per il tono ironico con cui parla degli ostacoli che hanno impedito il ritorno a casa di Odisseo. Per contro, i capitoli POV delle divinità mi hanno trasmesso un forte senso di disagio perché la cara Natalie descrive questi individui onnipotenti ed immortali come dei ragazzini privi di qualsivoglia profondità e coerenza; nella postfazione precisa che si tratta di una scelta intenzionale, ma io non sono riuscita a farmela piacere.
Un altro difetto riguarda la disomogeneità nel tono e nel contesto: da un lato si passa da battute informali (neanche i personaggi si trovassero al bar sotto casa) a dialoghi che nessuno mai farebbe in modo spontaneo, dall'altro l'autrice sembra indecisa se tenere in considerazione l'elemento fantastico o puntare su una narrazione più verosimile. Questo effetto si percepisce anche nelle scene in cui Ecabe e le altre troiane vanno a presentare i capitoli dedicati alle singole personnagge, perché i loro dialoghi risultano forzati, per nulla naturali: si capisce chiaramente che sono del tutto funzionali alla narrazione.
In generale, ritengo che sarebbe stato meglio puntare su un saggio, visto qual era l'intento dell'autrice, perché questa accozzaglia di biografie romanzate risulta inutilmente ostica da seguire. A dispetto delle tante ricerche condotte da Haynes poi, questa Grecia dell'età del bronzo (per quanto mitica) mi è sembrata molto "americana", con tante parole ed espressioni tipiche della lingua inglese, oltre alla presenza di animali che fino al Sedicesimo secolo gli europei non avevano mai visto.