Il bambino in cima alla montagna
Editore
Recensione della Redazione QLibri
"Non dire mai a te stesso che non sapevi"
Il nuovo scritto di John Boyne , l’autore de “Il bambino con il pigiama a righe”, è un romanzo per ragazzi a contenuto storico. Vi si narra la vicenda di Pierrot, madre francese e padre tedesco, negli anni tra il 1936 e il ’42 e si conclude in lenta dissolvenza in quelli successivi .
Il bambino ha una vita difficile: il padre è un reduce della Grande guerra , alcolizzato e tormentato psichicamente sparisce ben presto di scena; la madre si prende cura di lui fin quando non viene uccisa dalla tisi. Orfano di entrambi i genitori non può essere accolto dalla famiglia ebrea del suo amico sordomuto e finisce in un orfanotrofio fino a quando non si riesce a contattare la zia paterna che è disposta ad accoglierlo. La donna è la governante del Berghof, la residenza di vacanza di Adolf Hitler, nelle Alpi bavaresi.
Inizia per Pierrot una nuova vita, entrando in contatto col Führer verrà “educato” e accolto sotto la sua ala protettrice rendendosi progressivamente plasmabile e asservito ai nuovi “valori”. La sua lenta decadenza e la sua trasformazione da ingenuo e sensibile bambino al prototipo del perfetto nazista rendono a tratti indigesto lo scritto che ha però un chiaro intento pedagogico il quale si rivela nel giusto epilogo.
Lo stile di scrittura è semplice e lineare, l’approfondimento storico minimo, la lettura agevole e sul finire coinvolgente. Le tematiche affrontate sono veicolari di riflessioni importanti adatte a ragazzi preadolescenti: amicizia, tradimento, rispetto, lealtà, amore. Lo sfondo storico può essere utile per anticipare lo studio del periodo in modo coinvolgente, ma non mira ad alcun approfondimento, relegherei la lettura alla scuola secondaria di primo grado.
L’adulto che vorrà leggere l’opera vi potrà trovare una buona storia con la quale trascorrere alcune ore senza alcuna pretesa.
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Il lavaggio del cervello
In questo libro conosciamo Pierrot/Pieter. Che è lo stesso bambino. Nasce come Pierrot, in Francia, ma le vicissitudini della sua famiglia ed il contesto storico in cui nasce gli cambiano poco alla volta la vita e pagina dopo pagina, dopo che si trasferisce in un’altra casa con la zia, che è altro non è che una delle figure della servitù di Hitler, si trasforma in Pieter. Sempre lo stesso bambino, che aveva l’amore ed il rispetto nel cuore, ma che si ritrova corrotto dal potere, fino a diventare un perfetto nazista giocattolo in miniatura. Il doppio nome è un simbolo che nel libro porta a identificare com’era, come diventa, e come anche ritorna. Perché se è vero che Pierrot è un nome che già di suo invoca tenerezza (e questo bimbo con la sua storia te ne fa provare tanta), Pieter è giù un nome più duro, più forte, ma altro non è che la stessa persona. Il libro ha sullo sfondo temi storici scottanti. Ha una buona storia, ma non ben sfruttata a mio avviso, in quanto molti passaggi sono troppo veloci e bruschi. Un altro tema importante è quello dell’educazione, ovvero quanto un’educazione può influenzare un’indole e cambiare una persona, ma è un tema che poteva essere sviluppato in modo più articolato, anche con l’aiuto di personaggi secondari che qui sono proprio solo veloci comparse. Buono è il finale, che chiude il cerchio con la prima parte della storia che era quella con cui ti eri affezionato a Pierrot. Ritrovarlo, in fondo, è stato il miglior modo di chiudere il libro.