I Watson e Emma Watson
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Uno shot per ogni "gentildonna"
"I Watson e Emma Watson" di Joan Aiken si basa sul celebre incompiuto di Jane Austen, che si prefigge di continuare e concludere -in modo fantasioso seppur discutibile. Sono rimasta turbata dalla scelta della TEA di inserire all'inizio il testo austeniano, seguito dal romanzo della Aiken: da un lato è stato piacevole ed utile rileggere il lavoro della Austen, dall'altro tutte le informazioni vengono comunque ribadite -a volte usando le stesse parole- e lo stacco (leggasi, scivolone) di stile tra le due autrici diventa ancor più evidente, anche perché la Aiken si è messa di impegno per stravolgere la storia originale ed inserire una sfilza di nuovi personaggi in un cast già ricco.
La storia è quella dei fratelli Watson, con il padre malato e i vecchi rancori che vengono facilmente a galla; il punto di vista spetta alla figlia minore, Emma, da poco tornata alla casa paterna dopo aver trascorso l'adolescenza presso una ricca zia. Da qui la Aiken prende le redini della trama con un solo obiettivo in mente: fornire a tutti i Watson un partner entro la fine del romanzo, non importa quanti deus ex machina devono saltar fuori per rendere questo possibile.
Voler completare un'opera della Austen è di certo un fine ambizioso, e purtroppo questa scrittrice non si dimostra all'altezza della (auto) sfida. La sua storia è arricchita da un numero spropositato di sottotrame che rendono il ritmo troppo veloce, tanto che alcuni passaggi tra una scena e l'altra sembrano essere stati tagliati, per non parlare dei quesiti disseminati lungo il romanzo e privi di una risoluzione, come le due luci che Emma vede a Clissock dalla finestra della camera... sapremo mai chi si è incontrato nel bosco?
Divisi in modo netto tra buoni e cattivi (come la stessa Aiken ci ricorda marcatamente ogni due pagine), i personaggi sono incapaci di trasmettere emozioni e si relazionano tra di loro con dei dialoghi davvero goffi ed innaturali. In generale lo stile è fastidioso ed infantile, specialmente nelle descrizioni dei personaggi; aggiungiamoci poi una sovrabbondanza di puntini di sospensione e aggettivi inseriti a gruppi di tre o più, in alcuni casi senza logica (ad esempio, dire "più alto e meno basso" è decisamente superfluo).
Anche la traduzione mi ha fatto storcere il naso, specie perché ci si ostina a tradurre il verbo cry solo come gridare. Ne consegue un libro in cui i personaggi sembrano costantemente incazzati. Un po' come i lettori.
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Quando si vuole concludere un romanzo
Mi piacerebbe dire che ho amato alla follia questo libro, ma non è così.
Il suo maggior difetto è quello di aver voluto concludere un'opera di Jane Austen.
La parte "Emma Watson", presa da sola è molto carina. Un romanzo ben fatto, anche se mi sembra che ci siano troppi stravolgimenti dei personaggi, situazioni rocambolesche e finali affrettati, il tutto con una protagonista che mantiene una calma impeccabile.. insomma, molto poco Jane Austen.
Ed è qui che il romanzo perde punti a mio avviso.
Questa parte, in confronto con I watson di Jane Austen, è spiccatamente diversa, non solo per lo stile, fatto piuttosto ovvio, ma anche per il carattere dei personaggi che assumono tendenze differenti rispetto a quanto inizialmente indicato.
La trama inoltre, va contro a quanto Jane Austen pensava per il suo romanzo e se, da un lato, questo ci consente di scoprire pian piano la storia, dall'altro un po' delude le aspettative iniziali.
Non c'è che dire Mr. Howard presenta un carattere molto similare a Edmund di Mansfield Park, pertanto mi è sorto un più che legittimo dubbio: che la scrittrice non nutra particolare simpatia per questo personaggio considerando l'evoluzione della trama così diversa da quanto Jane Austen aveva pensato per i suoi personaggi??
Una lettura che purtroppo non mi ha colpito particolarmente, ma che ha avuto comunque il pregio di avermi saputo trattenere per diverse ore.
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