I cento giorni
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Stupendo
Joseph Roth potrebbe romanzare il verbale di un'assemblea condominiale e farlo con un lirismo e una profondità tale da renderlo appassionante.
L'autore austriaco è uno splendido cantore del crepuscolo , nella Cripta dei Cappuccini fu il crepuscolo di un regno, di una struttura sociale, nei Cento giorni, periodo che va dal ritorno di Napoleone Bonaparte dalla fuga dall'Elba all'esilio a Sant'Elena, si narra del crepuscolo di un imperatore ma anche di un sogno, il sogno di uomo e il sogno del suo popolo. Quell' imperatore che ha incarnato l'ambizione e la grandeur di conquista della Francia , la Francia stessa si è rispecchiata nella potenza e nella grandezza del suo imperatore in una sorta di scambio di sguardi in cui nessuna delle due parti accetta l'essenza dell'altra oltre la necessità .
Roth mette come sempre in secondo piano l'analisi accurata degli avvenimenti storici , lo scorrere tumultuoso degli eventi è il contesto nel quale avvengono i tumulti dell'anima dei protagonisti ,Napoleone Bonaparte ma anche una umile servetta segretamente innamorata della figura dell'imperatore oltre le miserie dell'uomo. E' proprio dei dubbi, dei tormenti e delle miserie dell'uomo Napoleone che si occupa Roth in un racconto che narra dei primi giorni dal rientro a corte in cui l'imperatore sembra silenziosamente consapevole che, per quanto sia temuto, gli stessi membri di un certo grado del suo esercito lo considerano semplicemente un uomo fortunato che ha raggiunto sua gloria grazie
a loro. Napoleone pare scivolare lentamente verso un declino che lui stesso sente ma a cui non riesce a dare forma quasi presago della sconfitta in arrivo.
Parallelamente alle sue vicende c'è la vita dei semplici, dei piccoli, di tutte quelle persone che vedono nell'imperatore colui che anima il loro orgoglio, una figura più grande dell'uomo che la porta sulle spalle forse troppo fragile e umano per un peso così grande.
Vediamo la vita della giovanissima Angelina Pietri, serva di corte, amante di un bifolco maresciallo dell'esercito, madre di un tamburino ma soprattutto donna sola, con la solitudine dei suoi sogni scritti sulla sabbia.
Nelle parole di un calzolaio polacco che ha servito l'imperatore e perso una gamba al fronte sta la grande verità che rimane a chi serve e ammira i grandi della storia :"Noi piccoli non dovremmo far dipendere la nostra vita dai grandi. Se vincono soffriamo e se perdono soffriamo anche di più."
Mentre a corte tra i domestici e la gente comune circolano voci più o meno infondate sulle gesta dell'imperatore in battaglia tutte sostenute da una indistruttibile fiducia nelle capacità di Bonaparte quasi che fosse un essere invincibile perchè parte dei loro sogni e i sogni non muoiono mai.
Negli stessi momenti sul campo di battaglia, l'Imperatore viene amaramente sconfitto dall'esercito nemico prima e dal destino poi, che gli nega anche l'agognata e secondo lui più dignitosa morte.
Napoleone Bonaparte rientra a Parigi affranto e stordito e si espone al giudizio di chi lo aveva sostenuto in nome della sua potenza.
A corte la giovane Angelina riceve la notizia di aver perso il figlio, giovanissimo tamburino dell'esercito, nella battaglia di Waterloo : "Il cuore era pesante, ma i suoi occhi rimasero asciutti.
Piangeva suo figlio, ma nello stesso tempo lo invidiava. Morto era, morto! Ma a seppellirlo erano state le mani dell'imperatore".
Roth descrive i giorni seguenti in cui la corte dell'imperatore, fatta di lacchè, militari, ministri e varia umanità che lo aveva sostenuto ed ora è più preoccupata dei propri privilegi o diritti
che della sorte della Francia . Bonaparte ha un ultimo impeto di orgoglio prima di capire che tutto è perduto e trovare conforto nella rassegnazione " L'ascoltavano, ma ascoltavano soltanto
la voce, il suono delle parole, non il loro significato. Anche l'imperatore sapeva benissimo che parlava invano. Di colpo si interruppe. Ogni parola era inutile. Non aveva nemmeno più voglia
di lottare per il trono. Per la prima volta nella sua vita, da quando era salito al potere, provava la beatitudine che viene dalla rinunzia. Così, nel bel mezzo del discorso, la grazia dell'umiltà scese su di lui.
Egli sentì di colpo il bene della sconfitta e una segreta, segretissima soddisfazione al pensiero che in ogni istante, purché volesse, poteva allontanare, imprigionare, persino far decapitare o fucilare i ministri ai quali adesso parlava,
quei parlamentari che aspettavano soltanto di rovesciarlo. Purché volesse!... Ma il fatto è che non voleva."
" ...Per la prima volta nella sua vita forte e superba intuiva la nobile letizia dei deboli, degli sconfitti, di coloro che rinunciano."
Dopo anni passati ad essere l'imperatore perchè fortte e potente ora, sconfitto e provato, si sente per la prima. volta imperatore di fronte alle grida di qualche cittadino che ancora lo
acclama in strada mentre Napoleone Bonaparte, di fronte al grande nemico Fouché firma la sua abdicazione e si accommiata così da un giovane domestico che piange "Ora finalmente
voglio tentare di vivere".
Di fronte alla possibilità di sfuggire al suo destino Bonaparte non si tira indietro "«Sei in pericolo» osservò il fratello. «Ti possono uccidere».«Vuol dire che perderò un'altra vita» rispose l'imperatore.
«Ne ho già perdute tante!». Per la prima volta la sua vita non vale un soldo di più di quella di uno dei suoi soldati.
La caduta dell'imperatore viene celebrata dalle parole recitate dal Papa in un sogno di Bonaparte : «Tu sei transeunte,» disse il vecchio «effimero come una cometa. Tu brilli di troppa luce.
La tua luce si consuma mentre brilla, il suo brillare la consuma. Tu vieni dal grembo di una madre terrena».
E mentre Bonaparte per evitare ritorsioni al suo popolo si consegna al nemico e va incontro alla sua fine chi , come la giovane Angelina, lo ha amato incontra a sua volta il proprio destino .
Roth è una di quelle penne toccate dal dono di saper raccontare l'anima dei personaggi e fargli rivivere attorno il loro tempo e i loro luoghi mentre la Storia gli scorre accanto lasciando
però ai loro umani tormenti il ruolo da protagonista. Semplicemente stupendo.
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'Il mare, il mare'
Pubblicato nel '35, questo libro rappresenta il periodo di Napoleone tra la fuga dall'Isola d'Elba alla disfatta di Waterloo e all'imbarco definitivo verso Sant'Elena.
J. Roth non intende però proporci un libro di Storia. A lui interessa sondare la 'verità poetica' nella figura storica di Napoleone, ora finalmente 'umano' .
Parallelamente racconta il destino di un oscuro personaggio femminile, Angelina Pietri, una delle tante donne 'innamorate' dell'imperatore.
Napoleone giunge al castello fra le acclamazioni del popolo; "tutto gli dava gioia e insieme brividi di sgomento. Gli pareva di essere finalmente ritornato e, nello stesso tempo, portato via da qualche bufera". "Ora si trova solo in mezzo a molta gente".
Una scrittura magnifica, maestosa e talvolta quasi solenne; a volte teneramente evocativa, come avviene per la prima comparsa di Angelina Pietri, quasi evocata dalla pioggia cadente, nel folto del parco, al cospetto dell'imperatore.
Poi Napoleone, che ora pare un rivisitato Adelchi manzoniano, "per la prima volta (...), da quando era salito al potere, provava la beatitudine della rinuncia", "provava oggi un primo barlume di quella felicità che viene dalla debolezza ed è donata dalla rassegnazione". Intanto "gli uccelli inneggiano al mattino trionfale" e "il sole (..) sorgeva da tempi immemorabili, come se nulla fosse accaduto".
Il compimento di una vita : "Ma il mare, signori, almeno quello vorrei rivederlo, perché ogni mare mi rammenta la Corsica" .
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romanzi a sfondo storico
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Il tramonto di un mito
I cento giorni sono un periodo storico compreso fra il ritorno di Napoleone a Parigi dall’esilio all’isola d’Elba (20 marzo 1815) e la restaurazione della dinastia borbonica con Luigi XVIII (8 luglio 1815); in questo lasso di tempo il 18 giugno si svolse la celebre battaglia di Waterloo che vide la definitiva e irrimediabile sconfitta dell’Imperatore dei Francesi. Lo scopo di Roth, però, come egli stesso dice non è di scrivere una saggio storico e anche l’attribuzione generica di romanzo storico gli andrebbe stretta perché in effetti ha inteso mostrare il crepuscolo di un quasi onnipotente, spogliandolo delle vesti ufficiali affinché restasse solo l’uomo, con i suoi dubbi, le sue incertezze, le sue paure e la stanchezza che aggredisce chi ha ormai imboccato velocemente il tratto di discesa della sua parabola. E’ un tramonto senza gloria, la fine di un mito di cui piano piano lo stesso Napoleone prende coscienza; é il grande generale che ha sempre cercato la battaglia, ma che ora, che gli viene imposta, lo trova riluttante, con un presagio di sconfitta che lo assillerà fino alle battute finali.
Il tempo inesorabile corre, ma non verso il sole di Austerlitz, verso le piogge, i terreni pantanosi di Waterloo e in questo susseguirsi veloce e implacabile di istanti si intreccia la storia dell’imperatore con quella di una sua lavandaia, Angelina. Lei, come tutte le donne di Francia, lo adora, è follemente infatuata di questo mito che va decomponendosi; c’è chi la dissuade di intestardirsi in un sentimento irragionevole, a maggior ragione ora che l’uomo Bonaparte è l’ombra di se stesso, ma inutilmente, e così entrambi saranno sconfitti. I cento giorni è un’opera dalla straordinaria potenza visiva, tanto da sembrare una pellicola cinematografica, ma questa caratteristica non è fine a se stessa, è semplicemente la cornice di un quadro di irresistibile bellezza, dove i cento giorni di un’epopea, in cui tutti credono illudendosi consapevolmente che i disegni del destino possano cambiare, scandiscono la fine di un’epoca, prima ancora dell’esito di Waterloo nell’animo dei due protagonisti, l’astro che si spegne di Napoleone e la donna con le ali di Icaro che inutilmente cerca di raggiungere il suo Sole.
Imperdibile.
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Al tramonto
Ecco l’ennesimo Roth, per me.
In quale dimensione siamo stavolta?
Il romanzo, apparso nel 1935, viene catalogato come romanzo storico e il titolo richiama subito l’epilogo della parabola napoleonica. Siamo lì, apparentemente, ma non dentro quel periodo storico, no, non totalmente. Dietro lo schermo del resoconto degli ultimi giorni da imperatore di Napoleone, dall’Elba a Waterloo, con focalizzazione quasi assoluta sull’uomo solo e vinto e debole alla quale fa da contraltare la vicenda parallela di un umile stiratrice della sua corte, Angelina Pietri, corsa come lui, si cela in realtà, netto, il fantasma di un altro imperatore, di un’altra guerra, di un altro soldato, di un altro periodo storico e per finire di un altro straniero dentro i confini di un impero che si sta dissolvendo.
Insomma, insieme ai suoi più noti “La marcia di Radetzky” e “La cripta dei cappuccini”, anche questo è, a suo modo, un libro sul finis Austriae e ci riporta a quella prosa nostalgica, necessaria per rendere il senso di smarrimento che accompagnò nei sudditi la fine dell’impero asburgico. Le atmosfere sono le stesse, cambiano i personaggi, Napoleone è come Francesco Giuseppe, smarrito e piccolo e ancora acclamato mentre abdica, Waterloo segna la fine di un mito fatto uomo come la resa austriaca la morte dell’impero austroungarico, il suolo della patria francese trema per il polacco Wokurka, ex soldato ora calzolaio che protegge Angelina quando durante il ritorno del re è estromessa dalla corte, come tremò per un povero galiziano con la disgregazione del mito asburgico e per ogni povero reduce della Grande Guerra.
Per chi conosce i temi più importanti della produzione dello scrittore i paralleli sorgono spontanei, e piacevolmente si gode di questa trasposizione della vicenda napoleonica; qui l’imperatore è restituito nella sua dimensione umana, sia nei momenti di gloria, come quest’ultimo colpo di coda, sia nel momento della sua caduta. Ad essa in particolare è dedicata la terza delle quattro sezioni di cui si compone il romanzo, Tramonto, la più intensa, la più bella, la più accorata, scandita dalla Preghiera alla morte, dalla caratterizzazione dell’imperatore sulla stregua del Giobbe biblico (e qui vi consiglio uno dei suoi romanzi più belli, Giobbe, appunto), dal ridimensionamento del delirio di onnipotenza che ci presenta ora un essere umano stanco e più conciliante, più vicino alla dimensione minima dell’esistenza, capace di far tramontare la sua stella, dopo aver dominato il mondo, a quarantasei anni appena. Votato infine ad un altruismo che gli consente di consolare gli altri: “Non curatevi di me, il mio destino si compie da solo”, per consegnarsi prigioniero al nemico.
Per me, bellissimo. Vi lascio però alle suggestioni infinite prodotte da questo uomo nella letteratura e sapientemente ripercorse da Giuseppe Scaraffia nell’ articolo di cui vi offro il link:
http://www.repubblica.it/venerdi/articoli/2017/10/25/news/napoleone_bonaparte_simon_scarrow_mostra_torino-179279123/
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"La cripta dei cappuccini"