Gli Effinger
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Una saga berlinese da scoprire
Grande saga familiare di Gabriele Tergit (pseudonimo di Elise Hirschmann) che ambisce di eguagliare i Buddenbrook (che rimane però un capolavoro ineguagliato nel suo genere).
La storia si svolge in Germania in un arco di tempo che va dal periodo di Bismarck alla seconda guerra mondiale e all’interno del mondo ebraico dell’epoca.
Coinvolge due famiglie, essenzialmente però la famiglia Effinger il cui capostipite è orologiaio a Kragsheim. Tra i tanti figli i due protagonisti, Paul e Karl, che si imparentano con la famiglia Goldschmidt, storici banchieri, sposandone due delle figlie, Annette e Klara. Entrambe le famiglie, gli Effinger e i Goldschmidt sono comunque piuttosto numerose, come usava all’epoca. I destini di entrambe le famiglie a partire dai due matrimoni sono uniti per sempre.
Intraprendenti e con fiuto per gli affari, Paul e Karl si trasferiscono a Berlino e fondano una fortunata fabbrica di automobili.
La lunga storia raccontata dal libro attraversa periodi diversi, dalla ricchezza del periodo di Bismark, alla crisi economica che colpirà la Germania fino a sfociare nelle perdita di tutto dovuta all’ascesa al potere di Hitler.
Diversi sono gli atteggiamenti di partenza delle due famiglie: la ricchezza da generazioni dei Goldschmidt e l’oculatezza e la propensione al risparmio degli Effinger, artigiani commercianti.
E così l’autrice ci conduce tra ricche dimore e feste di famiglia, dalla nascita di nuovi amori ai matrimoni alle nascite di figli e, talvolta, alla loro morte date le conoscenze mediche dell’epoca.
La famiglia si allarga ed in questo è utile l’albero genealogico riportato all’inizio benché la storia non sia complicata da seguire perché i personaggi hanno tutti un’identità e un sentire ben preciso. Tante le sfumature e le differenze anche profonde tra i personaggi che riescono però a dare il senso di un’unica famiglia che guarda al futuro con sguardi diversi ma comuni nella direzione.
Ho apprezzato molto le differenze tra i personaggi, e seguire l’incrocio dei loro destini all’interno della storia della Germania e della famiglia è stato coinvolgente..
I tempi però cambiano progressivamente e “Gli Effinger” ci conducono per mano attraverso nuovi modi di considersi parte dello stato, di praticare la politica e la vita civile, soprattutto nel contrasto tra il pensiero liberale del vecchio Waldemar, dei Goldschmidt, al pensiero nazista e all’antisemitismo ormai dilagante. E in mezzo la prima guerra mondiale e i giovani chiamati e vivere gli orrori di una guerra insensata e poi, molto più terribile, la persecuzione degli ebrei.
La storia non ha momenti di cedimento, è ben strutturata e organizzata, ha ritmo, le vicende si susseguono una all’altra senza indugiare troppo e senza autocompiacimenti dell’autrice che rinuncia ad una facile retorica anche quando il racconto lo consentirebbe. E’ proprio questa caratteristica che dà al lettore la sensazione che gli eventi siano concatenati come la vita che va avanti sempre, senza soste. E’ come se un filo fosse tirato dalla prima all’ultima pagina e porta chi segue la storia al finale senza che le quasi 1000 pagine pesino.
Certo sarebbe stato facile cadere nel vittimismo, nella descrizione di eventi tanto tragici, eppure l’autrice rimane salda nel principio che comunque c’è un domani, sempre. E non è così necessario al lettore il racconto dettagliato di ciò che già si sa.
E il finale, nella sua delicatezza, è uno dei momenti più alti del libro.
Uno dei massimi capolavori di tutti i tempi? No. Un libro molto bello e consigliato? Sicuramente sì.
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Una saga berlinese
“Gli Effinger” è una saga familiare che copre le vicissitudini di tre generazioni di commercianti e banchieri ebrei nella cornice europea ma soprattutto in quella berlinese e da molti è stata accostata a “I Buddenbrook” di Thomas Mann, paragone azzardato a mio avviso. Certo, per certi versi ci si può avvicinare in quanto l’autrice stessa ha dichiarato di aver voluto riprodurre la storia dei suoi personaggi seguendo il grande Mann. Gabriele Tergit, pseudonimo di Elise Hirschmann, mette dentro il suo libro tutti gli ingredienti necessari: i tempi che furono con i personaggi pieni di ambizioni e che a costo di duro lavoro e impegno mettono su un impero, diventano ricchi e frequentano l’alta borghesia, si sposano, le generazioni si susseguono e assieme a loro si percepisce anche una decadenza della borghesia e l’avvicinamento a un tempo storico tumultuoso, a cavallo delle due guerre mondiali, che sconvolge qualsiasi certezza e rade al suolo qualsiasi ricchezza. Ciò che manca a mio parere è l’armonia del racconto, sia l’armonia descrittiva dei salotti, degli usi e dei costumi ma anche quella dei dialoghi. Spesso ho notato la difficoltà dell’autrice a rendere naturale e godibile la descrizione di un dialogo di più voci, come nel contesto di un ballo, ad esempio. Ci sono delle botte e risposte delle più disparate, infatti spesso mi perdevo perché si passa da un argomento a un altro senza uno stacco. Altra cosa che ho gradito meno è stata la quasi impossibilità ad entrare in empatia con i personaggi in quanto c’è poca introspezione. Conosciamo i personaggi attraverso ciò che dicono e ciò che fanno, mai attraverso ciò che pensano se non in rare eccezioni, tenendomi un po’ in disparte.
Sicuramente è un libro molto ambizioso e dal respiro classico e chi ama la lettura delle saghe familiari sono certa che troverà gradevole anche questa lettura. L’autrice inserisce diverse tematiche come il femminismo spesso presente e affianca al cambiamento storico e sociale determinato dal passare degli anni, il cambiamento e la trasformazione delle correnti artistiche, della letteratura o del teatro, nonché del progresso industriale. Ci sono dei frammenti davvero molto arguti e interessanti che denota l’intelligenza e la grande cultura dell’autrice e a parte le note meno positive che ho espresso sopra è stata davvero una ottima scoperta letteraria.
Concludo con un breve frammento, che mi è piaciuto particolarmente:
“Lo sai, Ludwing, quanto ti voglio bene, ma come può esserci una moralità che si fonda sull’ipocrisia? Come si può avere fiducia in qualcosa che è pura illusione? Il progresso che porta a una felicità sempre maggiore, la comprensione da parte dell’uomo di quale sia l’essenza della natura hanno preso il posto della religione. La nostra religione si chiama scienza della natura. Ciò che voi chiamate immortalità, noi la chiamiamo indistruttibilità della materia. E mi sembra più virile e dignitoso credere a cose dimostrabili piuttosto che perdersi in speculazioni. Dove ci hanno condotto la speculazione? Ai roghi delle streghe e alle persecuzioni degli ebrei e ai giudizi di Dio e alla tortura. Lo sapete, non c’è niente che io odi più di una falsa profondità di ciò che suona blu e romantico e solletica lettori e uditori.”