Fu sera e fu mattina
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Recensione della Redazione QLibri
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Sentieri di vita medievale
A cavallo dell’anno Mille l’Inghilterra non si è ancora sollevata dal degrado in cui era scivolata con la fine dell’impero romano. La gente per lo più si trascina faticosamente in un regime di mera sussistenza e la vita è una continua lotta contro la fame e le incursioni vichinghe o le razzie gallesi e britanne.
In questa età dura e complicata vive Edgar, ultimogenito di un abile costruttore di barche nella città di mare di Combe. Il ragazzo, appena diciottenne, vorrebbe farsi una vita altrove assieme all’adorata Sunni, la moglie maltrattata del lattaio Cyneric, che lui ama teneramente. Ma la notte in cui i due vorrebbero fuggire è funestata da un assalto vichingo. Sunni muore per mano di un predone e pure il padre di Edgar cade sotto i colpi dei razziatori. Ora che il cantiere navale è distrutto, Edgar e la sua famiglia, privati pure della casa, temono di dover affrontare un futuro disperato, forse, addirittura, di schiavitù.
Per rifuggire a questo destino la madre, donna di grande razionalità e pragmatismo, costringe i tre figli ad accettare la proposta del subdolo e corrotto vescovo di Shiring, Wynstan: diventare contadini e trasferirsi nel misero borgo di Dreng’s Ferry, per occuparsi, come fittavoli, di un misero terreno alluvionale di proprietà della locale collegiata religiosa. Il posto è trascurato e dà loro a malapena da vivere, ma Edgar è intelligente, industrioso e tenace. Lentamente, a fatica, e superando innumerevoli dolori e ingiustizie, riuscirà a farsi strada.
La sua storia si intreccia con quella di Ragna, figlia del conte normanno di Cherbourg, andata in sposa (per amore) a Wilwulf, aldremanno di Shiring e fratello del vescovo Wynstan. La ragazza, colta, intelligente e volitiva ama teneramente il marito, il quale pur ricambiando, inizialmente, i sentimenti della sposa, è uomo falso, incostante e amante solo del potere. Così Ragna si trova ben presto costretta a difendersi dagli intrighi di quella piccola corte e dai continui agguati che, in essa, le provengono dalla matrigna del marito, Gytha e dai due fratellastri, Wynstan e Wigelm.
Unico alleato dei due giovani è il monaco Aldred, uomo pio e amante delle lettere, tra i pochi a voler far rispettare la giustizia e il rispetto per il prossimo in una comunità ove la sopraffazione e la lotta per il predominio sembrano essere gli unici stili di vita ammessi. Ma anche lui deve subire la viltà dell’abate Osmond, l’ostilità del vescovo, il nepotismo di Wilwulf e la sostanziale impotenza del re Etelredo e del cardinale di Cantherbury, troppo lontani per poter influire sulla piccola, malsana comunità.
“Fu sera e fu mattina” rappresenta il prologo alla trilogia di Follett dedicata al fittizio paese di Kingsbridge e alla sua comunità, iniziato oltre trent’anni fa, con il grande best seller de “I pilastri della Terra”.
In questo romanzo la storia retroagisce di un secolo e mezzo, rispetto alla narrazione di quel primo libro e ci fa comprendere come sia nata Kingsbridge (qui King’s Bridge) e come si vivesse nell’Inghilterra dell’alto medioevo.
È indubbia l’abilità di Ken Follett di inventarsi storie, anzi di dar proprio vita a personaggi i quali rapidamente assumono consistenza e tridimensionalità e dei quali il lettore può seguire il loro percorso sui sentieri della vita, tra fatti memorabili e piccoli accadimenti quotidiani, con una concretezza tale da renderli credibili e verisimili.
Anche in questo nuovo romanzo le figure di Edgar, Ragna (suppongo da leggersi con la “g” dura), Aldred e tutti gli altri sono ottimamente delineate e si fa presto a entrare in sintonia con essi, a parteggiare per loro, a soffrire, per empatia, delle loro sventure o gioire per i loro successi.
Dunque, sotto il profilo narrativo anche questo nuovo romanzo è da considerarsi un successo e fonte di piacevoli momenti di lettura e distrazione se ciò che si desidera sono soprattutto passioni, azione, intrighi, amore, un po’ di sesso e l’eterna lotta del bene contro il male dove quest’ultimo, alla fine (ma proprio alla fine!), viene sconfitto.
Tuttavia chi ha già avuto modo di apprezzare i romanzi del ciclo di Kingsbridge, non faticherà a notare le evidenti analogie delle trame, il ripetersi dei medesimi schemi già abilmente sfruttati ne “I Pilastri della Terra” e nei volumi che a questo hanno fatto seguito. Come nella commedia dell’arte avveniva che gli attori riproponessero sempre gli stessi caratteri e, pur in canovacci lievemente modificati, alla fine si assistesse sempre alle stesse situazioni, alle medesime contrapposizioni, così anche in questo libro le attinenze sono prevalenti sulle novità e ciò spoglia il racconto di originalità e, in parte, di attrattiva.
Il lettore attento non faticherà a notare le innumerevoli affinità tra i protagonisti. La figura di Edgar il costruttore ricorda, a grandi linee, quelle di Tom e Jack (ne “I Pilastri”) o Merthin (ne “Anni senza fine”) guarda caso anch’essi costruttori. Ragna assomiglia agli altri personaggi femminili volitivi, in primis Aliena, ma anche Caris di “Anni senza fine”. Aldred richiama sin troppo il buon priore Philip. L’arrogante aldermanno Wilfwulf e suo fratello Wigelm risultano essere discreti antesignani del crudele conte William. Il cattivo vescovo Wynstan non si discosta dal carattere del parigrado Waleran Bigod (o dal priore Godwyn di “Anni senza fine”). Le vicende di cui sono protagonisti, ovviamente, sono diverse, ma non così tanto e, alla fine, lo schema generale della trama risulta assai simile, una sorta di “per aspera ad astra” che, in conclusione, conduce al trionfo della tenacia nel perseguire le buone intenzioni contro la perseverante malvagità dei cattivi.
La sensazione finale è di trovarsi di fronte a un abile clone degli altri romanzi, soprattutto se questi sono stati letti molto tempo addietro e il ricordo dei singoli particolari si è annebbiato e stemperato.
Ciò di cui ho sentito maggiormente la mancanza è l’assenza, per contestualizzare le vicende dei protagonisti, di un consistente apporto della grande storia: qui è presente solo come sfumato sottofondo alle vite dei personaggi principali.
È pur vero che, a cavallo tra il X e l’XI secolo, l’Inghilterra era ancora un luogo turbolento, ma, sostanzialmente, una nazione in via di formazione dove non accaddero eventi memorabili sino all’arrivo di William di Normandia, il futuro Guglielmo I il Conquistatore. Tuttavia, proprio perché la narrazione risulta focalizzata soprattutto sui protagonisti, si perde in parte quella essenziale caratteristica che contraddistingue il romanzo storico e lo impreziosisce: la fusione tra eventi reali e invenzioni letterarie. Il medioevo di Follett è curato e rispettoso dello spirito, dei comportamenti e delle condizioni sociali dell’epoca, ma forse non così incisivo e vivido come mi sarei aspettato e avrei gradito.
In conclusione il romanzo è una buona fonte di svago, ma decisamente inferiore a “I Pilastri della Terra”. Poi, magari, duecento, duecentocinquanta pagine in meno non avrebbero guastato, perché il "brodo" alla fine diviene davvero lungo e difficile da sorbire tutto con lo stesso piacere..
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SULLA STRADA VERSO KINGSBRIDGE
17 giugno 997.
All'alba di questo giorno il paesino di Combe, sulla costa sudoccidentale dell'Inghilterra, viene invaso dai Vichinghi che, senza pietà, distruggono ogni cosa e uccidono chiunque capiti loro a tiro. Edgar, un giovane costruttore di barche deve rinunciare al sogno di fuggire con la sua amata, ma si prepara a ricominciare una nuova vita con i superstiti della sua famiglia nel piccolo villaggio di Dreng's Ferry. In terra normanna, a Cherbourg, la giovane contessa Ragna si innamora del nobile aldermanno inglese Wilwulf. Decide impulsivamente di sposarlo e seguirlo nella sua terra, nonostante il padre, il conte Hubert, si opponga fermamente. Si accorgerà ben presto che lo stile di vita a cui era abituata in Normandia è ben diverso da quello inglese e la nuova famiglia acquisita cercherà di ostacolarla in tutti i modi possibili. In questo contesto si inserisce Aldred, un monaco colto e idealista che sogna di trasformare la sua abbazia in un centro di insegnamento. Le sue azioni verranno spesso ostacolate dall'abile e spietato vescovo Wynstan, sempre pronto ad ogni mezzo pur di aumentare il suo potere. Le vite dei quattro personaggi principali sono abilmente mescolate dall'intelligente mente dello scrittore che crea una trama forte ed avvincente. Come per #ipilastridellaterra, assistiamo a guerre e sotterfugi per il potere, manipolazioni da parte della Chiesa, grandi fatiche dei personaggi a resistere alle durezze della vita e attimi di amore puro misti a forte passione.
È sempre un piacere per me leggere i romanzi di @kenfollettauthor, si percepisce un grande lavoro di ricerca e studio del periodo storico. Tutto è sapientemente ben documentato, tanto da essere perfettamente immersi in quegli anni, sicuramente difficili e bui ma di grande insegnamento per le generazioni successive.
Leggetelo, vi piacerà... Anche se non avete letto #ipilastridellaterra.
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Miseria e nobiltà tra Alto e Basso Medioevo
Inghilterra meridionale, anno 997. È l'alba del 17 Giugno, e la vita di Edgar, talentuoso figlio di un costruttore di barche che abita nella cittadina di Combe, sta per cambiare per sempre a causa di una delle tante razzie vichinghe che in quel periodo lasciano solo 'morte e distruzione' lungo l'intera costa britannica. Inizia da qui una seconda vita per il giovane, costretto a ripartire da zero in un nuovo villaggio desolato e a combattere l'immobilismo socio-culturale che caratterizza l'anno Mille: un percorso di lenta rinascita, nel quale incontrerà l'affascinante contessa normanna Ragna, innamorata dell'aldermanno inglese Wilwulf e desiderosa di attraversare la Manica per dare seguito ai suoi sentimenti, e il gentile e volenteroso monaco Aldred, la cui passione per i libri e l'erudizione risulterà perennemente in conflitto con le mire corrotte e prepotenti del vescovo Wynstan.
Un romanzo che racconta di un decennio parecchio controverso in piena età medievale, tra colline boscose, case con tetti di paglia, chiese di pietra chiara ed edifici dalle reminiscenze georgiane, in cui sete di potere, soprusi e tentativi estremi di emancipazione si intrecciano alla consueta paratassi della fiction storica follettiana.
L'inizio stenta a decollare, soprattutto a causa dei numerosi personaggi secondari da portare all'attenzione del lettore, anche se poi lo stile semplice permette alla narrazione di scorrere in maniera fluida e costante.
Uno standard qualitativo, tuttavia, intaccato dalla maggiore attenzione per gli intrighi amorosi a discapito della maniacale cura per la cornice storico-politica, da sempre vero punto di forza dei romanzi dell'autore: è per questo motivo che il testo, sebbene racconti della nascita dell'iconica Kingsbridge, rimanga qualitativamente un gradino sotto l'omonima serie e presenti dei protagonisti "doppioni" di Tom il costruttore ne 'I pilastri della terra' e di Caris e Merthin in 'Mondo senza fine'.
A mo' di bussola morale che indichi una nuova e duratura alba, il mosaico di 768 pagine è riuscito (quasi) bene, ma non benissimo.
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'Mondo senza fine';
'La colonna di fuoco', dello stesso autore.
Mille e non più di mille
Direi che è un ottimo romanzo, una lunga e piacevole lettura, collocata ancora una volta negli anni bui del primo Medioevo. Trattasi infatti del prequel temporale della nota e fortunata trilogia delle “costruzioni di cattedrali”, tra i maggiori successi a firma dello scrittore gallese.
Ambientata principalmente sullo sfondo dei tipici paesaggi piovosi e uggiosi, con pochi grandi centri e molti piccoli villaggi, immense foreste e grandi possedimenti terrieri, nell’Inghilterra rozza e grossolana dell’epoca; e in piccola parte con gli scenari più solari, con edifici, città, porti e cittadinanze più progredite nella Normandia, sul finire dell’anno mille.
Un periodo storico questo del primo Medioevo certamente poco illuminato, carente di documentazione, a differenza di quello dell’Impero Romano immediatamente prima, e quello Rinascimentale subito dopo.
Tuttavia, un’età storica molto suggestiva, diremmo anche culturalmente e spiritualmente in “sospeso”, molti erano infatti convinti che fosse prossima la fine del mondo, suggestionati dall’avviso mistico “mille e non più di mille”.
Anni bui, quindi, che poi tanto bui in realtà non furono del tutto.
Perché furono certamente anni oscuri, di paure, superstizioni, ignoranza e palpitazioni, ma appunto erano timori alimentati dalle difficili condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione.
Imperavano infatti la trepidazione per la fine del mondo, ma anche le preoccupazioni più immediate, concrete e prosaiche della miseria, della fame, delle malattie, della lebbra.
Nonché il terrore delle invasioni e delle scorrerie dei bellicosi vicini stranieri, in particolare i vichinghi, che rappresentavano la criminalità organizzata dell’epoca, dediti com’erano a ruberie, saccheggi, violenze, stupri, ricatti e imposizione di vere e proprie tangenti ai governanti per evitare noie, identica ai moderni pagamenti ad un'organizzazione di stampo mafioso per ottenerne la protezione.
Il quotidiano di ciascuno, senza esclusione di nessuno, dal signore locale al taverniere, dal contadino all’artigiano era improntato nel segno di una esistenza difficile e tribolata, imprevedibile, rischiosa, chiunque da un giorno all’altro, per un semplice mutamento climatico poteva perdere i raccolti e finire in miseria, oppure essere ucciso a scopo di rapina durante i difficoltosi e pericolosi spostamenti, magari anche durante una rissa nelle taverne per futili motivi, o ancora tradotto come schiavo o per debiti o perché costrettovi a seguito di rapimento come bottino di guerra da parte dei nemici.
Le condizioni di vita erano quindi miserevoli per tutti e per gli ultimi assai di più, eppure, malgrado tutte queste traversie, quegli anni furono giorni non di sole ombre, ma di chiarore, e neanche a sprazzi, ma di luce piena.
Perché proprio l’effimero dell’ esistenza spesso breve e aleatoria creò i presupposti per la concezione unitaria della vita, riconosciuta come totalmente determinata dall'appartenenza alla Chiesa, e per essa a Dio. A torto o a ragione, nel bene e nel male, tra monaci virtuosi e vescovi scandalosi, laici di sani e santi principi morali accanto ed ecclesiastici dediti invece ai più lerci vizi e peccati capitali che sempre si accompagnano alla gestione del potere e dell’arricchimento personale, il primo millennio del Medioevo era improntato alla Cristianità.
Solo per questo, non fu periodo di sola Ombre, ma anche di Luce, fu Sera e fu Mattina, come sempre succede quando sussiste, a torto o a ragione, una profonda religiosità.
Religiosità vissuta come spiritualità e certo come credo e come conforto, ma anche come mezzo di sostentamento, cura, cultura: mezzo di sostentamento perché spesso erano vescovi gli amministratori di terre, beni e ricchezze; mezzo di cura e sostegno sanitario, perché furono le monache a impegnarsi con dedizione, rinuncia e sacrificio di sé come crocerossine nelle periodiche disastrose epidemie; infine a salvaguardia della cultura perché furono i monaci impegnati a recuperare, conservare e tramandare con cura certosina i testi scritti reperibili frutto dell’ingegno umano.
Tutto quanto espresso significava in sintesi piena appartenenza alla Chiesa, prima ancora che al Re e ai principi locali, quindi tutte le manifestazioni culturali, sociali e politiche ne furono partecipi, e gli archetipi della cultura medievale erano certamente il Re, che amministrava il regno tramite i cavalieri, i feudatari, gli aldremanni, che dir si voglia, ma ancora di più la Chiesa, il Papa, ed i Vescovi per suo conto, e poi via a seguire fino all’ultimo diacono.
Ne consegue, che più che villaggi, castelli, fortezze, i centri di prestigio furono le cattedrali, nei secoli bui del primo millennio la luce fu assicurata dalle costruzioni delle grandi cattedrali, centri di potere, di ricchezza, di sfarzo. Non fu solo sera, fu anche mattina, saranno stati anni oscuri di sottosviluppo,
ma fu allora che iniziò la costruzione delle grandi cattedrali, con la fama che ne conseguì, e la luce riflessa di conseguenza per i mastri costruttori impegnati nelle sfide dell’edificazione di tali magnificenze.
Tutto questo non è sfuggito a Follett, che si è cimentato nello scrivere di cattedrali, di quanti li edificarono e di tutto il contorno umano attorno a queste vicende edificatorie, e poi è stato il suo talento a decretarne la fortuna.
Perciò non a caso l’autore ha intrecciato anche questa storia attorno alle figure guida dell’epoca: Wilwulf, un aldremanno, sarebbe a dire un nobile gestore di un potere locale, in teoria per conto del Sovrano, che si rivela essere un uomo di potere tipico dell’epoca, falso, bugiardo, brutale, e però attraente e sensuale, un guerriero molto rozzo e crudele e assai poco cavaliere; Wynstan, un Vescovo malvagio, corrotto e dissoluto; Aldred, un umile frate dedito allo studio, all’erudizione, alla preghiera e alla povertà, che non comprende però la povertà intellettuale; ed infine Ragna, figlia del conte normanno di Cherbourg, una giovane nobildonna che rappresenta la dolcezza, la delicatezza, la moralità e la rettitudine dell’esistenza, prerogative inscalfibili dell’animo femminile, che risaltano nei momenti più drammatici dell’esistenza di una persona.
Ragna è la figura che si impone maggiormente in questa storia, è detta Debora o la Saggia per la sua intelligenza, pacatezza, onestà e lo spiccato senso della giustizia e dell’equità, è l’emblema della donna innamorata e leale nei suoi sentimenti, e disgraziatamente per lei proprio per questo vittima predestinata delle nefandezze umane. Allo stesso tempo, Ragna rappresenta anche il futuro dei tempi a venire: verrà dalla sua terra, infatti, quel conquistatore deputato a cambiare i destini dell’isola oltremanica. Al centro di queste quattro figure memorabili ciascuno a suo modo, la quinta stella è il maestro artigiano, Edgar, l’emblema dell’uomo d’ingegno, industrioso, laborioso, pronto, intraprendente ed instancabile, geniale nella sua concretezza.
È l’uomo nuovo dei tempi nuovi a venire, colui che non si ferma alla sera, ma va verso il mattino, con coraggio, dedizione, intelligenza. Dapprima costruttore di barche scampato casualmente all’eccidio del suo villaggio da parte dei vichinghi, perché impegnato in una fuga d’amore, che poi da falegname si evolverà in traghettatore, pescatore, cavatore di pietre, costruttore di case, di ponti, di canali, ed infine maestro muratore per la edificazione di una cattedrale, contemporaneamente alla felice conclusione della sua storia d’amore.
Ken Follett con questa sua ultima pubblicazione si conferma unanimemente, per l’ennesima volta dopo quaranta anni dai suoi esordi, quello che in effetti è: un grande narratore.
Non un romanziere, e nemmeno uno scrittore che tout court scrive racconti le cui vicende si evolvono in ben delineato contesto storico, descritto con il rigore dello storico e l’ accuratezza del letterato.
Follett è anche questo, certamente, ma soprattutto è ben altro: appunto un narratore, una voce narrante. Non è un affabulatore, non favoleggia mai o nemmeno slitta nella pura invenzione di fantasia, allo scopo di adornare trama e creature per ingraziarsi il pubblico dei lettori, è invece un descrittore preciso di fatti e vicende reali, dotati della stessa concretezza della realtà temporale in cui si svolgono.
È un costruttore, un cesellatore, un orafo, egli stesso come Edgar un mastro falegname o muratore, un valente artigiano alla pari con quelli che ritroviamo spesso in molti dei suoi libri.
Lo scrittore gallese presenta ai suoi lettori, in uno scenario storico ben delineato, protagonisti che nascono, vivono, pensano, parlano, muoiono, amano, sognano, esattamente come farebbero le persone reali di quell’epoca in cui li ha situati.
Certamente crea intrighi, sviluppi, colpi di scena, intrecci, e però fa agire, pensare, dialogare i suoi personaggi fedelmente come avrebbero reagito le persone di quell’epoca, in quello scenario, con quella cultura e quelle credenze.
Nulla è rivisto con il senno di poi; non si ricostruiscono qui solo i modi di vivere, di costruire dimore, di coltivare campi e di interagire socialmente, Follett letteralmente conduce il lettore dentro la storia e dentro la Historia, compenetra completamente la personalità dell’umanità in quel frangente, la espone tramite il comune dialogare dei protagonisti, le loro credenze, il loro modo di essere e di porsi davanti ai fatti dell’esistenza, in quei luoghi e in quelle date.
Ken Follett è un narratore, è la voce narrante, ma con un timbro di voce personalissimo, unico, la sua maestria sta in questo: non lui, ma è quanto espone che narra e gli presta la voce, è quello che scrive che parla con mille sonorità tutte riconducibili ad una sola voce, la sua, una voce che dice, che indica, che spiega, che avvince, che fa tribolare ed emozionare il lettore, quasi che il lettore in persona fosse vestito con i panni richiesti dalla scena, ed ascolta, ed osserva, e si lega, si unisce e si confonde tra i comprimari, si immedesima e si immerge in quella realtà, e poi una volta tornato al suo presente rievoca l’esperienza vissuta, si ritrova più ricco di nozioni e di particolari, riconsidera la storia appena letta e i fatti storici salienti di quell’epoca, ed è grato all’autore per la piacevole prosperità pervenutagli.
Ne consegue che i fatti perché storici e storicamente attendibili vanno nella direzione in cui volgono, non in quella che si desidererebbe; perciò, abbondano le ingiustizie, le violenze a carico degli innocenti, le meschinerie, trionfa spesso l’arroganza e la protervia dei potenti a discapito dei puri e dei retti: esattamente come più spesso accade nella vita reale, ora come allora.
La giustizia spesso latita o è terribilmente in ritardo, è quasi prassi comune, corsi e ricorsi storici.
Da notare che le cose della vita, l’esistenza delle persone, anche le caratteristiche dei personaggi di una storia, non sono mai semplici e lineari, più spesso gli intrecci sono lunghi, articolati, complicati.
Inoltre, i fatti e i principali protagonisti e comprimari sono molto ben descritti e minuziosamente dettagliati, oserei dire che sono offerti in dimensione tridimensionale: ne consegue che tutto il libro non può assolutamente esaurirsi in un numero contenuto di pagine. È lo stile di Follett, tutta la trilogia delle cattedrali comprende volumi corposi, e per qualcuno le storie possono apparire ripetitive, ridondanti: affatto, è solo una impressione, fatti, eventi, imprevisti e persone sono diversi e differenti, quello che non varia è semplicemente il buon scrivere dell’autore.
La ripetizione che potrebbe avvertirsi, altro non è che il ritrovare la bella consuetudine di una buona lettura. Colui che è considerato lo scrittore d’elezione dei romanzi storici, questa volta sembra indulgere di meno nei particolari storici: anche questa, a mio parere, è una falsa impressione, è la narrazione stessa che fa Storia, sono i fatti, i dialoghi, la struttura dei fatti a delineare il contesto temporale, quello giusto, l’unico.
Per un buon libro, si richiede spesso un lieto fine; ma questa è una narrazione nella storia umana, e in questa, se un lieto fine c’è, giunge, se giunge, proprio alla fine, molto alla fine, ed a caro prezzo. Però giunge, esattamente come al termine della notte deve per forza spuntare il mattino, in certe cose come l’amore oggi come allora, l’amore come la speranza persiste ad essere, ad esistere tutto malgrado, sempre, di sera e di mattina.
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Il Prequel.
«Era la verità. C’erano uomini in grado di prendere in mano uno strumento per la prima volta un flauto o una lira, e dopo qualche momento trarne una melodia. Edgar possedeva lo stesso istinto per le barche, e anche per le case. “Quella barca si inclinerà a dritta”, diceva, oppure: “Quel tetto farà passare l’acqua”, e aveva sempre ragione.»
Il suo nome è Edgar ed è in attesa in quella che è la notte più importante della sua vita: sta per scappare con il suo grande amore, Sunni. La ventunenne, di tre anni più grandi di lui, sposata con Cyneric è pronta a fuggire con il giovane e come da accordi i due si sarebbero incontrati nel luogo convenuto, sarebbero fuggiti in un altro paese dove egli aveva già trovato lavoro e si sarebbero presentati come già sposati. Eppure, qualcosa, non va come auspicato perché l’orizzonte non è più limpido, il nemico è pronto all’attacco.
«Dopo qualche attimo gli parve di scorgere la testa di un mostro e provò un brivido di paura. Contro il debole chiarore del cielo gli sembrò che si stagliassero delle orecchie appuntite, grandi fauci e un collo lungo. Un attimo dopo si rese conto che quello che aveva visto era ancor peggio di un mostro: era una nave vichinga, con una testa di drago sulla punta della prua ricurva. Ne apparve un’altra, poi una terza, e una quarta. […] Ora le navi erano dieci. Significava che c’erano almeno cinquecento vichinghi.»
Che fare? Come avvertire gli abitanti del villaggio del pericolo imminente? Come avvertire la sua Sunni e al contempo sua madre, suo padre e i suoi fratelli? Riuscire a suonare la campana è l’unica alternativa possibile, è l’unica possibilità che ha per avvertire tutti. Raggiunge la sua amata ma nonostante i suoi sforzi e nonostante la lotta che ha luogo ella perisce. Quel che resta del villaggio è un cumulo di macerie e cenere, un cumulo di niente. Tutto quel che la sua famiglia aveva ormai non esiste più; il cantiere è andato distrutto così come suo padre è deceduto probabilmente dissanguato da quel braccio destro amputato. Su Combe, sulla costa sudoccidentale dell’Inghilterra, ormai non c’è più spazio per il costruttore di barche e i suoi familiari. Lui e i suoi cari sono costretti a partire e a rimettersi in gioco. Si sposteranno nel desolato villaggio di Dreng’s Ferry dall’altra parte della manica. Nel mentre la contessa Ragna decide impulsivamente di sposare il nobile inglese Wilwulf e di seguirlo nel suo regno. Va contro il padre, il conte Hubert di Cherbourg, va contro ogni buon senso e ben presto si accorgerà di quanto questa sua scelta sia stata impulsiva ed errata. In Normandia, infatti, si troverà innanzi a un luogo ben diverso da quello in cui ha sempre vissuto, un contesto in cui la società è arretrata, la violenza è una costante e la lotta al potere è un qualcosa dal quale non potrà sottrarsi. Ed ancora vi è Aldred, il monaco idealista che confida di trasformare la sua abbazia in un centro di insegnamento ed erudizione. Questo lo porta in conflitto con quelle che sono le mire di Wynstan, il vescovo assetato di potere e disposto a tutto pur di tutelare i propri averi e incrementarli.
«Il suo pensiero andò a Aldred. Era dispiaciuto per il monaco, un uomo che voleva solo fare del bene. Era stato coraggioso a mettersi contro un vescovo. Forse troppo coraggioso: la giustizia non era di questo mondo, ma dell’altro.»
Con “Fu sera e fu mattina” Ken Follett torna in libreria con quello che rappresenta il prequel del suo romanzo più venduto e complesso. Siamo nel 997 d.C. a più di cento anni da “I pilastri della Terra” e tutto il componimento, a differenza delle altre opere, tocca l’asse temporale di un decennio giungendo alla sua conclusione nel 1007. L’incursione vichinga porta violenza, povertà, arretratezza in quelli che sono i secoli bui dell’età di mezzo. E tanto è il lavoro di ricerca fatto dall’autore, un lavoro durato due anni e seguito da un ulteriore anno di quella che è stata la stesura.
Il risultato finale è quello di un componimento ricco di colpi di scena, dove non manca l’amore, non manca il riscatto, non manca il desiderio di rivalsa, non mancano i giochi di potere, non manca la passione, non manca l’odio, non mancano i tradimenti, non manca la vendetta. Il lettore viene trasportato dalle vicende, entra in sintonia con ognuno dei personaggi, si sente in empatia con Edgar e la sua indole al costruire, è rapito dai sentimenti di Ragna e con lei spera e sogna, ammira Alfred ed è pervaso da sentimenti di antipatia per personaggi quali Wynstan e il fratello. Ogni pagina è un colpo al cuore, ogni pagina è avvincente e trascinante nonché rapida e fluida nella lettura.
Il narratore non solo riesce in quel che è la ricostruzione di un mondo, non solo riesce a porre i fatti in un periodo antecedente a quella che sarà la futura Kingsbridge, non solo rievoca lo scontro tra gli Anglo-Sassoni che abitano il paese da dopo l’addio dei romani, non solo descrive alla perfezione usi e costumi dei Vichinghi, i pirati del nord che non esitano a distruggere e razziare, non solo delinea i Normanni a nord della Francia che rappresentano la civiltà più sofisticata ed evoluta del tempo e che alla fine vinceranno su tutti gli altri con Guglielmo il Conquistatore sino a quella che sarà l’instaurazione della monarchia, ma ci riporta in una epoca fatta di cambiamenti e trasformazioni che ci fa riflettere su quella costante di un mondo che cambia a discapito di quel mondo che altri non vogliono far cambiare. Inevitabile è il riferimento all’epoca moderna, alla Brexit e a tutte le riflessioni sottese.
Un componimento corposo, che scivola sulla pelle, che si divora senza difficoltà, che si assapora pagina dopo pagina e che resta. Un libro semplicemente completo su ogni fronte e da ogni prospettiva. Da leggere e rileggere.
«Ma non distolse lo sguardo. Era profondamente commosso. Ripetendo le ultime parole della promessa, mormorò: “Per il resto dei miei giorni”.
Vide gli occhi di lei velarsi di lacrime. “E per il resto dei miei, amore mio, dei miei.»