C'era una volta
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La porta falsa
“C’è un tipo di male che attacca dall’esterno, così che tutti possono vederlo… ma esiste anche un altro genere di corruzione, quella che si genera nell’intimo e che all’esterno non si nota. Giorno per giorno cresce, lentamente, finché l’intero frutto è marcio…”
Un’atmosfera unica e suggestiva: Tebe, nell’antico Egitto, circa 2000 a. C. Una famiglia attraversata da passioni, incomprensioni, odi, gelosie. Una donna giovane e bellissima. Un omicidio (in apparenza) fin troppo facile da spiegare. Una ricostruzione storica accurata e coinvolgente. Gli ingredienti per un giallo originale e assolutamente indimenticabile ci sono tutti.
Quando la giovane Renisenb torna a vivere nella casa paterna dopo la morte del marito, in cerca di un rifugio sicuro e tranquillo dove affrontare il dolore, spera di ritrovare tutto come era un tempo, quando era bambina, e che lei stessa possa tornare quella che era, quasi a voler cancellare e dimenticare tanto la lacerazione della perdita quanto gli anni felici trascorsi con il marito e ormai finiti per sempre. Le sue speranze sono presto deluse e Renisenb scopre che invece tutto è cambiato, a cominciare da suo padre Imhotep, sacerdote del Ka (il culto dei morti), diventato un omino anziano, severo, pignolo e costantemente impegnato a tiranneggiare i figli, servendosi di loro per mandare avanti le proprietà di famiglia, ma rifiutandosi di renderli indipendenti e continuando a rinfacciargli la loro condizione di mantenuti. Yamhose, il figlio maggiore, è debole, mite, sottomesso, e insieme alle prepotenze del padre subisce quelle della moglie, la forte e aggressiva Satipy, che gli rimprovera di continuo la sua incapacità di imporsi sugli altri. Poi ci sono lo sventato Sobek, il secondogenito, bello, spaccone e marito di Kait, più quieta e silenziosa, ma non meno ostinata di Satipy, e il sedicenne Ipy, il più giovane e il prediletto di Imhotep, viziato, sicuro di sé e ansioso di far valere i propri diritti in famiglia. Infine ci sono Esa, l’anziana madre di Imhotep, saggia, ironica e intelligente, ormai quasi cieca, eppure molto più capace degli altri di vedere la realtà delle cose e il vero volto delle persone, e la vecchia serva di famiglia Henet, che cela accuratamente invidia e rancori sotto una maschera di sacrificio e devozione, sempre impegnata a riferire pettegolezzi e rinfocolare liti e dissapori.
Tra i battibecchi nel gineceo e i continui attriti che dividono Imhotep e i suoi figli, l’atmosfera domestica è ben diversa da quella che Renisenb credeva di ritrovare. L’unica persona sulla quale la ragazza sente di poter contare è Hori, fidato scriba e attendente di Imhotep, e spesso lo raggiunge sull’alta collina della Tomba che il sacerdote del Ka ha il compito di custodire, dalla quale tutto – la tenuta, i campi, i membri della famiglia – appare piccolo, insignificante, e può essere osservato meglio.
La situazione precipita quando Imhotep torna da un viaggio d’affari portando con sé una giovane concubina, la splendida Nofret, tanto bella quanto avida e crudele. A Renisenb il suo arrivo sembra la scintilla che farà divampare le fiamme in un mucchio di sterpaglie, ma forse il fuoco già covava sotto la cenere da tempo e Nofret non ha fatto altro che rimestarla, portando alla luce rabbia repressa, rancori segreti, parole prima di allora soltanto sussurrate, fino all’inevitabile esito: il delitto. Inizia così una serie di morti a catena, forse opera della persecuzione di uno spirito maligno, come credono alcuni, o forse frutto di un piano ben preciso, orchestrato con abilità e intelligenza tra le stesse mura domestiche.
In tutte le tombe egizie c’è sempre una porta falsa, spiega Hori a Renisenb, per ingannare i ladri, ma anche nella famiglia di Imhotep c’è qualcuno che ha creato una “porta falsa” per ingannare gli altri e celare la sua vera natura. A Hori e Renisenb non resta che intraprendere una vera e propria corsa contro il tempo per fermare chi sta facendo terra bruciata intorno a loro fino a quando non resterà una sola persona… un unico erede.