Bollettino di guerra
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Senza infamia e senza lode
Comprendo che l’editore, a fini pubblicitari, cerchi di osannare il suo libro, ma, almeno in questo caso, accostarlo a quel grande capolavoro che è Niente di nuovo sul fronte occidentale mi sembra francamente un po’ troppo. Intendiamoci, non è che Bollettino di guerra sia un’opera pessima o mediocre, perché se si vuole comprendere quello che fu la Grande Guerra per chi vi prese parte va più che bene, ma manca di indispensabili qualità per poterlo definire uno dei migliori resoconti letterari su quel conflitto. Koppen fu uno dei milioni di protagonisti di quell’immane macello e della sua esperienza ne parla diffusamente e con dovizia di particolari; quello di cui è carente è il talento letterario, così che Bollettino di guerra finisce con il diventare uno dei tanti scritti, interessanti senz’altro, ma di poca caratura, che non pochi reduci pensarono di stilare, per ricordare a se stessi e per far conoscere ad altri. Al fine di dargli la parvenza di un romanzo e non di un’autobiografia l’autore si è inventato un personaggio, un volontario in quella guerra nell’arma dell’artiglieria: Adolf Reisiger. Costui, giovane studente imbevuto di retorici concetti e naturalmente ardimentoso data la sua età, decide di arruolarsi e viene assegnato a un reggimento di artiglieria leggera, il che gli consentirà di non provare le angoscianti sensazioni del povero fante immerso nel fango delle trincee, limitandogli anche i pericoli, rivenienti per lo più dai tiri di controbatteria. Agli inizi sembra quasi un gioco, ma con il trascorrere del tempo finirà con l’accorgersi che onore e patria, per come gli sono stati inculcati, sono parole vuote e che lì, sul fronte occidentale, non si è altro che dei numeri, della carne fresca da avviare al macello. È evidente, pertanto, il motivo per il cui libro, pubblicato nel 1930, fu ben presto proibito dai nazisti, guerrafondai per natura e che perciò non potevano consentire che la loro retorica venisse smascherata dalla realtà. Di tanto in tanto, nella narrazione, ci sono degli intercalati costituiti da bollettini di guerra, da comunicati ufficiali, da articoli di alcuni giornali tedeschi, tutte notizie che presumo possano essere autentiche e che servono soprattutto a rendere più stridente la discrasia fra il roboante linguaggio dei sostenitori della guerra e la tragica realtà della stessa. Tuttavia, a volte l’inserimento non è così felice e fa calare un ritmo già di per sé un po’ troppo blando. Sarebbe stato meglio, forse, che Koppen avesse provveduto a degli approfondimenti sugli stati d’animo, su quell’ancora di salvezza che è il cameratismo che si instaura quasi obbligatoriamente fra i compagni di sventura, magari accompagnandoli da riflessioni sulla condizione umana, in particolare quando di fatto si è obbligati a uccidere. La lettura è comunque abbastanza piacevole e non mancano episodi di interesse, come una bella descrizione di un assalto francese alle trincee tedesche. Nel complesso, tuttavia, benché non ci sia un’esaltazione della guerra, ma una sua decisa condanna, il libro, per come è scritto, appare più come un articolo giornalistico che come un’opera letteraria e ciò è indubbiamente un limite, perché, dato l’argomento, si sarebbe potuto e dovuto fare di più, ma è evidente che il talento letterario è qualche cosa di innato e che comunque non rientra fra le caratteristiche di Koppen, che è solo un onesto e corretto memorialista di quella fu una sua devastante esperienza personale.