Augustus Augustus

Augustus

Letteratura straniera

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Ottaviano, nipote di Giulio Cesare, ha appena diciotto anni quando viene informato dell'assassinio del condottiero. Gli ideali che avevano fatto grande l'epoca repubblicana sono ora ridotti a maschere grottesche, mentre sul Senato regnano indisturbati la corruzione e il caos. Circondato da uomini che tramano alle sue spalle per il potere, il giovane Ottaviano dovrà ricorrere alla forza delle spade e a tutte le seduzioni della politica per trasformare in realtà il proprio destino: quello di essere proclamato Augusto e salutato come il padre dell'Impero.



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Augustus 2018-02-18 03:41:48 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    18 Febbraio, 2018
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Quell’ordine di cui siamo meri strumenti

Biografia romanzata ed epistolarizzata del primo imperatore di Roma, Augustus di John Williams muove l’azione dalla notizia dell’assassinio di Giulio Cesare, che raggiunge il figlio adottivo Ottaviano in Grecia, ove il giovane si trova con gli amici Agrippa e Mecenate (“Faremo come dice Mecenate… salperemo per l’Italia il più in fretta possibile”).

Nei primi due libri dell’opera, le lettere di molteplici mittenti delineano giudizi (Cicerone: “Il ragazzo non vale nulla, e non dobbiamo temere alcunché”) sulla figura dell’imperatore, espressi da antagonisti (Antonio: “Comunque, almeno in parte, è idiota per davvero: perché si dà delle arie dannatamente presuntuose per essere un ragazzo, per giunta nipote di uno strozzino e con un cognome preso in prestito… Non capirò mai cosa abbia spinto il grande Cesare a fare di quel giovane l’erede del suo nome, del suo potere e della sua fortuna”), amici e letterati.

Nelle stesse epistole, vengono delineati gli eventi (“La posizione di Antonio… è troppo ambigua. Vuole vendicare il delitto, come noi? O vuole solo prendere il potere?”) che dal triumvirato di Ottaviano-Antonio-Lepido (“So che non agisce mai per passione o per capriccio. Ha il sangue freddo di un rettile, e per questo dovrei quasi ammirarlo”), attraverso le battaglie di Filippi e Azio contro la flotta di Cleopatra, vedono Augusto divenire il signore di un impero che ebbe un precedente pari forse soltanto in quello conquistato da Alessandro Magno.

Introverso (“Non hai trovato la felicità… pur avendola data agli altri”), dotato di grande senso della politica, della diplomazia e del compromesso, Ottaviano concepisce anche la vita privata al servizio di quella pubblica, al punto da congegnare i matrimoni suoi (con Scribonia e Livia) e della figlia Giulia (con Marcello, Agrippa e Tiberio) in funzione della ragion di stato (la sorella Ottavia: “Ciò che chiamiamo matrimonio, tu m’insegni, è solo una schiavitù necessaria”). Particolarmente intenso, il profilo di Giulia si staglia dall’esilio sull’isola di Pandataria (“Io, Giulia, figlia dell’imperatore, venni accusata di adulterio al cospetto del senato, nonché di aver violato le leggi sul matrimonio che mio padre aveva promulgato con un editto quindici anni. Addietro. Ad accusarmi fu mio padre stesso…”), ove Ottaviano la confina (“Non verrai processata per alto tradimento. Ho scritto una lettera che leggerò in Senato. Sarai accusata di adulterio in base alle mie leggi, e verrai esiliata da Roma e dalle sue province. È l’unico modo. L’unico modo per salvare te e Roma”) a scontare la sua pena d’amore per il cospiratore Iullo Antonio (“Venni condannata all’esilio: e in tal modo mi fu risparmiata l’accusa di alto tradimento nei confronti dello Stato, che avrei pagato con la morte”).

Il profilo di Ottaviano rimane in controluce nei primi due libri, con il suo amore per le lettere (di Tito Livio, Orazio, Tibullo, Virgilio, Ovidio) e per Roma, ma poi si afferma nel terzo libro (“L’imperatore soffrirà come si conviene a un imperatore. Ma cosa ne sarà del dolore dell’uomo?”) nella lunga lettera che l’imperatore scrive a Nicola di Damasco durante l’ultimo viaggio verso Capri (“Quando leggo quelle opere e scrivo di me stesso, mi pare di leggere e di scrivere di un uomo che portava il mio nome ma che quasi non conosco”) per delineare “la caricatura di se stesso in cui ogni uomo finisce col trasformarsi”.

Giudizio finale: epistolare, romanzato, celebrativo.

Bruno Elpis

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Augustus 2017-09-22 10:18:05 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    22 Settembre, 2017
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Il prezzo del potere

In attesa di poter leggere il ben più noto Stoner ho ripiegato (ma il termine è eccessivo, come emergerà con il mio giudizio) su Augustus, un romanzo storico sul primo degli imperatori romani, su quell’Ottaviano successore designato di Giulio Cesare. L’autore, molto opportunamente, riporta in una nota all’inizio dell’opera una precisazione con cui evidenzia che, per quanto abbia cercato di rispettare rigorosamente gli eventi e i personaggi, così come pervenutici dalla storia, ha dovuto, per esigenze letterarie, commettere errori voluti, inventare fatti, creare personaggi che forse non sono mai esistiti. In buona sostanza ha ritenuto doveroso evidenziare che non si tratta di un saggio, di una biografia, bensì, a tutti gli effetti, di un romanzo storico. La metodologia adottata per parlarci di Augusto è la più varia, ricorrendo a epistole di Cicerone, a brevi brani degli Atti di Augusto e al frammento di un libro perduto della Storia di Tito Livio conservato da Seneca il Vecchio. Comunque siano state le fonti quello che mi preme evidenziare è che Williams è riuscito a darci un ritratto realistico di quello che fu Augusto, inserito perfettamente nel suo contesto storico che ci consente anche di avere un’idea, non vaga, e nemmeno allo stato di ipotesi, di quella che doveva essere realmente la società romana, dei giochi di potere che fermentavano, che dividevano, che minacciavano l’esistenza stessa di Roma, una sorta di politica nefasta e corrotta che presenta straordinarie analogie anche con l’Italia d’oggi. Ottaviano, poi divenuto Augusto, è un uomo esile, dalla salute cagionevole, ma dalla fortissima e determinata personalità, un protagonista assoluto che saprà sbarazzarsi degli assassini di Cesare e poi del rivale Marco Antonio, assicurando a Roma un lungo periodo di quiete e di prosperità. L’uomo più potente della terra, un Dio in terra, è in realtà un abile e accorto politico, che, al di fuori di quella che è la gestione dello stato, ha solo due passioni: la moglie Livia e la figlia Giulia. Per quanto le ami dovrà sacrificarle alla ragion di stato così che questa stella di prima grandezza, che splende di fuori agli occhi di tutti, è in effetti un essere profondamente infelice, che resterà progressivamente solo con la dipartita degli amici fidati, da Agrippa a Mecenate, all’adorato Virgilio. Questa intima malinconia è resa in modio splendido dall’autore, che ha anche avuto l’idea accostare la solitudine della potenza con la serenità degli esseri umili. Al riguardo le pagine in cui descrivono l’incontro, per le vie di Roma, di Augusto con Irzia, che gli fu compagna di giochi e amica quando entrambi erano bimbi, ora una donna un po’ più anziana, non ricca, ma nemmeno povera, amata dai figli, baciata da una serenità contagiosa anche se avverte prossima la dipartita, sono forse le migliori del romanzo. Augusto riconosce l’amica, che lo chiama, come da bambina, Tavio; prova gioia, pur nella malinconia che lo permea, e i due parlano, prima del passato, poi del presente. “Ho dato a Roma una libertà di cui io solo non posso godere”. “Non hai trovato la felicità, dissi io (Irzia), nonostante tu l’abbia data.” .”Così è stata la mia vita”. Si scambiano altre parole e al momento del commiato Augusto poggia le labbra sulla guancia di lei. Credetemi, raramente mi è capitato di leggere pagine in cui il contrasto fra l’aridità del potere e la pace della vita semplice sono state rese così bene. Credo che Williams sia riuscito a carpire dopo tanti secoli la personalità di Ottaviano, e non solo quella, ma anche le altre di Mecenate, di Orazio, di Virgilio e della sua piccola cerchia di amici. Quando parlano sembrano vivi, non si ha cioè quella sensazione di parole messe in bocca a chi non può pronunciarle e forse accade questo perché ci siamo lasciati avvincere dall'opera e ora siamo in lei, camminiamo sul selciato del foro, ascoltiamo le gare poetiche di Orazio e di Virgilio, siamo accanto ad Augusto nei rari momenti di gioia con la moglie e la figlia, lo seguiamo in punta di piedi mentre con passo sempre più stanco si avvia verso la soglia dell’Ade.
Augustus non è stato di certo un ripiego, visto che lo considero un capolavoro.

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Augustus 2015-10-01 14:20:00 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    01 Ottobre, 2015
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OTtaviano AUgusto

Premetto che il romanzo storico non mi attira molto e ho letto Augustus solo perche l’ha scritto J. Williams, autore di Stoner, uno dei più bei romanzi che mi è capitato di leggere.
La prima pagina, la lettera di Cesare ad Attia, madre di Gaio Ottaviano, è un capolavoro di arguzia e di ironia. E’ bellissima e invoglia ad addentrarsi nella lettura, fa capire come Gaio Ottaviano possa essere così affezionato a Cesare da voler vendicare la sua morte soprattutto per affetto e non solo per sete di potere.
La prima parte del romanzo è la più bella perché l’amicizia ha più importanza del potere e l’affetto prevale sul tornaconto. Con il tempo, i complotti, le astuzie, le meschinità dei personaggi mi hanno un po’ stancato. Certo, Ottaviano anche se non è messo su un piedistallo è sempre un gradino sopra gli uomini del suo tempo come intelligenza, lungimiranza e anche dal punto di vista umano. Però anche la sua vita è in lento declino nel senso che si avverte anche in lui una certa stanchezza per il potere e per la schiavitù che ne deriva che comporta tutta una serie di scelte, di frequentazioni, di guerre, di matrimoni quasi obbligata come nel gioco degli scacchi. Emerge dalle pagine la condizione chiaramente subalterna della donna, evidente nelle donne più intelligenti che sono la sorella di Ottaviano Ottavia, la figlia Giulia e la terribile moglie Livia, più sveglia, scaltra e intrigante di un uomo che alla fine riesce a imporre a Ottaviano come successore il figlio Tiberio Nerone. Nerone è un personaggio ambiguo e crudele, di scarsa intelligenza la cui migliore qualità è poter ricorrere alla testa di sua madre oltre che dell’amico Pisone.
Curiosa la figura di Cicerone che complotta contro Cesare, complotta contro Ottaviano ma lo fa sempre sapere a tutti e che zio e nipote amano nonostante complotti contro di loro senza sosta ma lo fa come una vecchia zia pettegola. Cicerone è un curioso personaggio: parla a tutti delle sue congiure perché ama più il discorso sulla congiura dell’esito della stessa, e quello che non scrive nelle sue lettere lo dice ai servi.
Questo libro è fatto di lettere, atti, documenti vari, molti dei quali inventati. Leggendo il romanzo ho sentito il peso della mia ignoranza perché avrei voluto riconoscere i documenti veri e falsi e in quelli veri gli input dell’autore se ce ne sono. Attraversano il romanzo tutti i personaggi più interessanti della letteratura latina: Livio, Cicerone, Virgilio, Ovidio, Orazio. Il libro è interessante per tutti e imperdibile per gli amanti del romanzo storico.

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Memorie di ADriano
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Augustus 2015-08-18 09:26:25 Anna_Reads
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Anna_Reads Opinione inserita da Anna_Reads    18 Agosto, 2015
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Un Titano Dolente, mai "suo malgrado".

«Un famoso storico latino dichiarò che sarebbe stato disposto a far vincere a Pompeo la battaglia di Farsalo, se lo avesse richiesto un giro di frase più efficace.
Nonostante io non mi sia spinto fin qui, alcuni errori di fatto, in questo libro, sono voluti. Ho modificato l'ordine di numerosi avvenimenti. Ho inventato là dove i dati storici erano incerti o incompleti (…).
Ma, se in questo libro sono presenti delle verità, sono le verità della narrativa più che della Storia. Sarò grato a quei lettori che lo accoglieranno per ciò che vuole essere: un'opera dell'immaginazione.»
Cosa mi ricordo di Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto da Liceo ed Università?
Agosto, pax romana, chiusura del tempio di Giano, "Varo Varo rendimi le mie legioni", adottato da Cesare, Azio, Filippi, Virgilio, Orazio, l'esilio di Ovidio, la Damnatio Memoriae di Cornelio Gallo, Mecenate, Agrippa.
Per molti Ottaviano è il primo imperatore romano.
Io l'ho sempre visto un po' schiacciato dalle figure che lo hanno preceduto e seguito.
Lo smagliante Giulio Cesare e il gotico Tiberio (tutte le mie simpatie al primo, ovviamente).
Williams sceglie proprio Augusto per cimentarsi con il suo terzo romanzo (dopo Butcher's Crossing e Stoner). E sceglie anche la forma epistolare. Mi ci è voluta qualche pagina ad abituarmi a questo stile narrativo, ma poi i fatti incalzano e la narrazione scorre via veloce.
A parte le pagine finali, non sentiamo mai la "voce" di Augusto e non leggiamo mai le sue parole.
La figura emerge dagli scritti della madre e dello zio Cesare, del patrigno, degli amici, dei nemici (fra cui Cicerone), dei generali. E successivamente della moglie, della figlia, dell'amata sorella. E, detto fra parentesi, gli amici sono Mecenate, Agrippa, Orazio. Abbiamo lettere di Ovidio a Properzio.

Quello che emerge è la figura di un titano dolente.
Nelle lettere che si susseguono e descrivono la storia di Roma, Augusto appare come un uomo votato – suo malgrado – alla ragion di stato. Un giovane che avrebbe voluto essere uno studioso e che fu costretto ad essere un soldato, un uomo che avrebbe trovato gioia in una dimessa vita domestica con la moglie e l'amata figlioletta Giulia, a che invece fu costretto a mettere il suo potere, la sua saggezza e la sua ricchezza al servizio dello stato per la grandezza di Roma.
Un uomo sempre generoso e – potendolo essere – clemente.
Dal punto di vista narrativo, questa parte è estremamente godibile.
La scrittura di Williams non ha bisogno di essere presentata e descritta. È lo scorrere fluido di una mente lucida; molto difficile da descrivere, somiglia un po' ai suoi protagonisti: fa alla perfezione quello che deve fare per arrivare a veicolare il suo messaggio al lettore. Non di più, non di meno.
Non è ridondante, non è asciutta.
È "giusta così" verrebbe banalmente da dire.
Orazio scrive a Mecenate, in occasione della morte di Virgilio:
«Scrissi una volta che Virgilio era la metà della mia anima. Ora sento che quella ritenuta da me un tempo un'esagerazione era invece una sottovalutazione. Infatti, a Brindisi, giace una metà dell'anima di Roma. Ci è stato tolto molto più di quanto sappiamo… Eppure i miei pensieri tornano alle cose più insignificanti, a cose che soltanto tu ed io, forse potremo mai capire. A Brindisi, giace. Quand'è che noi tre viaggiammo così felicemente attraverso l'Italia, da Roma a Brindisi?
Vent'anni fa…
Sembra ieri. Sento ancora gli occhi bruciarmi per il fumo della legna verde che i proprietari di locande accendevano nei loro caminetti, e sento le tue risate simili a quelle dei fanciulli lasciati liberi dalla scuola. E la contadinella pescata a Trivicus, che promise di venire nella mia stanza e non venne. Sento Virgilio burlarsi di me e ricordo i giochi sfrenati. E le conversazioni pacate. E gli agi lussuosi di Brindisi, dopo la campagna. Non tornerò mai più a Brindisi.»
Dalle lettere emergono le guerre civili, le lotte, gli intrighi, le manovre e la ragion di stato. Veniamo a conoscenza delle decisioni di Augusto senza sentirne mai la voce. Apprendiamo dell'esilio dell'amata figlia Giulia, dalla scritta "Pandataria" in alto, accanto all'indicazione "diario di Giulia".
Come un complicato mosaico corale, i piccoli frammenti vanno lentamente a posto e restituiscono la storia di Roma.
Non quella di Augusto.
Almeno non completamente.
Il nostro si concede il lusso della chiusa del libro (e della propria esistenza) per dire – per la prima e unica volta - la sua opinione.
Devo ammettere che questa "Parte Terza" è decisamente la mia preferita.
Ne emerge – in modo non completamente inaspettato – una figura forte e lucida, e diversamente da quanto emerso dagli sguardi esterni, mai "suo malgrado".
«Quando ero giovane, avrei detto che la solitudine e la segretezza mi erano state imposte. E sarei stato in errore. Come quasi tutti gli uomini, scelsi allora la mia vita. Decisi di rinchiudermi nel sogno formato in parte da un destino che nessuno avrebbe potuto condividere, e rinunciai così alla possibilità di quel genere di amicizia umana tanto comune da non essere mai nominata, e per conseguenza apprezzata di rado (…) eppure quei giovani erano miei amici, mi erano carissimi nel preciso momento in cui, in cuor mio, rinunciavo a loro.
Quale perverso animale è l'uomo, che ha caro soprattutto quanto rifiuta o abbandona.»
Alla fine della vita, Augusto "mette a posto" le cose che non tornano dalla mera elencazione delle sue gesta: la sua scelta è la prima cosa.
Poi tocca alla motivazione di tale scelta:
«Ho vissuto di gran lunga più dei miei amici, nelle cui vite esistevo più pienamente che nella mia. Quei miei primi amici sono tutti morti. Giulio Cesare morì a cinquantotto anni, quasi vent'anni più giovane di me adesso. E io sono sempre stato convinto che la sua morte sia stata determinata tanto da quella noia preannuncio di noncuranza, quanto dalle spade degli assassini.»
Augusto sa che il suo tentativo di pacificare i confini e rendere sicura Roma è destinato a fallire. Non subito né presto.
Ma sa che accadrà.
Ma «ci sarà stato un momento di Roma, e non morirà del tutto.»
E questo basterà.
«Il barbaro diverrà la Roma che avrà conquistato, il nostro latino scioglierà la sua lingua rozza, e la visione di quanto ha distrutto gli scorrerà nel sangue. E, nel tempo che è incessante come so, il costo non è nulla, è meno di nulla.»
Per questo momento, il nostro ha rinunciato ad amicizia, famiglia, amore, studi ed arte, senza mai un accenno di rimpianto. Trovo particolarmente significativo il passaggio dell'incontro casuale con la vecchia nutrice Irzia, mentre si sta recando in Senato per condannare Giulia all'esilio. Augusto sa che se fosse dipeso dalla donna, Giulia sarebbe stata salva e Roma distrutta. Lui ovviamente sceglie il contrario.
Congedandosi, Augusto parla lungamente dell'amore, partendo da quello più vituperato: «Contrariamente a quanto possiamo credere, l'amore erotico è la più altruista fra tutte le manifestazioni dell'amore: cerca di fondere l'uno nell'altra e quindi di sottrarsi all'Io. Questo genere di amore è il primo a morire, naturalmente, in quanto viene meno con il venir meno del corpo. E per questa ragione, senza dubbio, molti l'hanno ritenuto la più spregevole fra le manifestazioni dell'amore. Ma il fatto che si spegnerà, e che noi sappiamo che sia destinato a spegnersi, lo rende più prezioso. E, dopo averlo conosciuto, non siamo più irrimediabilmente intrappolati ed esiliati nell'Io.»
Tocca poi all'amicizia e all'amore omosessuale, fino a che non troviamo un altro amore:
«È l'amore del poeta per le sue parole. Così Ovidio non è solo nel nordico esilio a Tomis, né tu sei solo nella tua remota Damasco, dove hai deciso di dedicare gli anni che ti rimangono ai libri. Non occorre alcuna creatura vivente per un amore così puro, e di conseguenza viene universalmente riconosciuto che è questa la forma d'amore suprema, in quanto va ad un oggetto che si avvicina all'assoluto.»
Ma Williams non fa mai sconti «Eppure, sotto certi aspetti, può essere la forma di amore più vile. Poiché (…) questo si rivela né più né meno come un amore del potere. È il potere di cui dispone il filosofo sulla mente disincantata del lettore, il potere che ha il poeta sulla mente viva e sul cuore dell'ascoltatore. E se la mente, il cuore e lo spirito di chi viene a trovarsi sotto l'incantesimo di questo potere ne sono innalzati, è un fatto accidentale non essenziale ai fini dell'amore, o anche del suo scopo.
Ho cominciato a rendermi conto che è stato questo genere d'amore ad avermi spronato nel corso degli anni.»
E mentre si legge tutto assume un senso e una compiutezza rara e preziosa.
Tuttavia, a lettura finita e dopo qualche giorno si riflessione, non posso fare a meno di chiedermi…
Quando Stoner c'è, in questo Augustus?

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Stoner, Graves (e anche Orazio, Virgilio e Properzio).
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