Ai piani bassi Ai piani bassi

Ai piani bassi

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Il libro che ha ispirato la serie tv Downton Abbey. Il mondo diviso tra i saloni sfolgoranti e i piani bassi della servitú, la lotta di classe a colpi di tazze di tè, i pettegolezzi e le tragedie nel racconto sulfureo di una cuoca a servizio dell'aristocrazia inglese negli anni Trenta. Ai piani bassi è un documento unico, e un libro coinvolgente, diventato subito un caso editoriale. La voce ironica e acutissima di Margaret, già aiuto-cuoca a soli quindici anni, racconta il mondo di «loro» e «noi». Dei ricchi aristocratici degli anni Trenta e dei domestici che lavorano nelle case dei facoltosi signori e i loro frivoli salotti e stanze da letto.



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Ai piani bassi 2015-10-15 09:41:38 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    15 Ottobre, 2015
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Mai credere a fascette pubblicitarie e copertine

Ispirata dal richiamo alla nota serie tv “Downton Abbey” riportato nella fascetta pubblicitaria e dalla bella magione inglese che campeggia in copertina, ho acquistato il libro aspettandomi una storia appassionante, ricca di vicende e intrighi familiari.

Aspettative disattese. Innanzitutto manca una storia. Si tratta infatti di un memoriale in cui Margaret Powell racconta la sua giovanile esperienza lavorativa “a servizio” presso famiglie aristocratiche, presentandoci di fatto una carrellata di episodi, aneddoti e personaggi tendenzialmente slegati tra loro, senza fluidità narrativa.

Manca poi la componente emotiva. Colpisce infatti come, pur trattandosi di esperienze vissute e raccontate in prima persona, lo sguardo della Powell rimanga lucido, oggettivo, quasi asettico direi. Non traspirano i suoi stati d’animo, le sue difficoltà interiori, le sue speranze. Eppure la sua è stata una vita difficile, di fatiche e rinunce, in primis quella della borsa di studio da ragazza che le avrebbe consentito l’accesso al tanto anelato mondo della cultura. Ciononostante non c’è amarezza o recriminazione nel descriverci i duri compiti cui era sottoposta come sguattera o le umiliazioni subite, nessun tono di supponenza nel raccontarci come si è improvvisata cuoca senza saper cucinare pur di salire nella scala sociale della servitù, nessun affetto particolare per le persone con cui ha lavorato. Nessuna emozione. Il lavoro è solo una forma di sopravvivenza e di retribuzione e in quanto tale viene presentato. La Powell non fa inoltre proprio nulla per suscitare la simpatia del lettore: è brusca, aggressiva e quasi cruda nei suoi resoconti di vita, non ammanta di etica professionale il proprio lavoro né di sentimenti il matrimonio, che risulta un mero mezzo di affrancamento dalla vita di servizio. Realistica? Sicuramente sì ma anche un po’ demoralizzante.

Il maggior pregio di questo memoriale è sicuramente quello di offrire, in modo schietto e diretto, un quadro autentico della società inglese di Inizio Novecento, permettendoci, grazie ai dettagli e agli aneddoti forniti, di immaginarla per come doveva essere, senza alcun abbellimento. Non mancano inoltre gli spunti di riflessione sui temi legati alle ingiustizie sociali e alle differenze di classe, sempre attuali (a maggior ragione negli anni Sessanta in cui è stato scritto). Il limite, a mio avviso, è una certa rozzezza di espressione e l’assenza della componente emotiva, che impedisce di appassionarsi appieno a queste vicende.

Non mi sento di sconsigliarlo del tutto, è necessario però affrontare la lettura settando correttamente le aspettative. E non credere a fascette pubblicitarie e copertine.

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Ai piani bassi 2014-10-06 11:40:44 Virè
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Virè Opinione inserita da Virè    06 Ottobre, 2014
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Aspettavo qualcosa di diverso

Mi aveva incuriosito questo romanzo e dopo aver letto il primo capitolo, ho deciso di comprarlo; mi aspettavo una storia scorrevole, un po' romanzata, ma ispirata a fatti realmente accaduti, avente al centro le esperienze della protagonista, nel passaggio da una casa dell'alta aristocrazia inglese all'altra. Non so chi ha visto il film di Robert Altman "Gosford Park", ma ecco, immaginavo qualcosa del genere, magari ristretto ai soli "piani bassi", ancor di più dopo aver saputo che questo libro ha ispirato una serie televisiva. Invece mi sono trovata a leggere qualcosa di completamente differente; il primo capitolo inganna, per il suo contenuto e per la sua forma, facendoti illudere che quello che stai per leggere sia un romanzo,mentre non lo è. Andando avanti nella lettura, infatti, ci si trova dinnanzi ad una scarna descrizione di episodi di cui è stata protagonista l'autrice, nel passare da una casa all'altra; una sorta di diario, nel quale entrano altri personaggi, ma solo di contorno per quell'avvenimento piuttosto che quell'altro. Non si può definire romanzo, ma neanche vero e proprio diario, dal momento che non c'è alcun allusione, se nn quelle d'obbligo, alla parte emozionale e sentimentale, non c'è alcun approfondimento, se non un vacuo riferimento, alla sua vita al di fuori della casa di turno in cui lavora. Diventa quindi una scarna descrizione della sua vita lavorativa, quando a volerla romanzare un po' si sarebbe potuto tirar fuori una buona caratterizzazione dei personaggi incontrati, oppure, volendene fare un vero e proprio diario, si sarebbe potuto descrivere il tutto con l'aggiunta di un'opinione personale, il che in entrambi i casi avrebbe sucitato una maggiore empatia nel lettore, coinvolgendolo di più. Chi sceglie di leggere un libro come questo sicuramente è attratto dalla vita dell'epoca, anche dallo stesso contrasto tra nobiltà e servitù e parte già predisposto per immaginare l'ambientazione, i personaggi; pertanto basta poco per trascinarlo dentro la narrazione e farlo appassionare. In questo modo, invece, senz'altro si legge e ci si può rendere conto delle condizioni di vita dell'epoca, ma nulla di più; tutto resta allo stato descrittivo, senza che l'autrice, nonchè protagonista, ci metta nulla di suo. Pertanto dopo un po' rischia di annoiare e l'unica cosa che salva dal lasciarlo a metà è lo stile scorrevole e tutto sommato piacevole. A livello di contenuto, come già detto da qualcuno, l'ultima parte sembra scritta di corsa, descrivendo ben poco, così da un certo punto in poi, il libro diventa completamente piatto ed anche quel minimo di curiosità che può aver suscitato resta insoddisfatta. Insomma non mi ha convinto, non ne posso dare un giudizio completamente negativo, perchè, come detto, si fa leggere, ma di certo non sento di consigliarlo più di tanto, se non a chi ricerca una descrizione della vita dell'epoca per capirne e apprenderne qualcosa in più.

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Ai piani bassi 2013-10-05 13:44:48 Cathy
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Cathy Opinione inserita da Cathy    05 Ottobre, 2013
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Memorie di una cuoca

E' il 1920 e Margaret Langley ha solo tredici anni quando è costretta a lasciare la scuola per trovare un lavoro. Nata in una famiglia povera di Hove (Inghilterra), con molti fratelli e sorelle più giovani, sa che i suoi genitori non possono permettersi di continuare a mantenerla. Margaret decide di andare a servizio, come sua madre prima di lei; ma odia cucire, pur sapendo benissimo che il cucito rientra tra le principali attività di una domestica. La sua unica possibilità, allora, è fare la sguattera di cucina: è il gradino più basso nella scala di importanza della servitù, ma se Margaret riuscirà a farsi conoscere e ad acquisire i segreti del mestiere, diventerà cuoca, colei che invece gode di maggior considerazione tra i domestici. A quindici anni, dunque, Margaret viene assunta da una ricca famiglia borghese dopo aver sperimentato alcuni impieghi saltuari come badante e lavandaia.
Ai piani bassi è un romanzo autobiografico pubblicato nel 1968. Margaret descrive il duro lavoro quotidiano, la vita nella grande casa di una famiglia benestante, i rapporti con gli altri domestici (le piccole rivalità, le inaspettate amicizie, il complesso ordine di importanza) e con i padroni, detti "quelli del piano di sopra" (cioè coloro che abitano ai piani alti, mentre i domestici vivono nei seminterrati) o anche "Loro". Buona parte dei racconti di Margaret si incentra proprio sugli incontri e scontri tra "Noi", i domestici, e "Loro", a volte snob e dispotici, altre gentili e comprensivi.
Lo stile è estremamente semplice, scorrevole e di facile lettura, ma non annoia, perchè alcuni episodi narrati sono spesso divertenti o ricchi di informazioni sulla vita dell'epoca. Margaret si dimostra una narratrice intelligente e brillante, capace di suscitare il sorriso descrivendo con piccoli tocchi di ironia anche gli aspetti più ingrati del proprio mestiere, e allo stesso tempo di evocare importanti riflessioni sulle condizioni di vita e di lavoro delle classi povere in quel periodo storico. Come afferma lei stessa, "ora cose del genere non succedono più. Ma credo valga la pena di non dimenticare che accadevano."
Pare che questo romanzo sia stato tra le fonti di ispirazione per la serie tv "Downton Abbey". In verità, a parte la dicotomia tra "upstairs" e "downstairs" ("quelli di sopra" e "quelli di sotto", appunto), due mondi all'apparenza vicini, ma in realtà lontanissimi e impossibili da unire, non c'è altro in comune con la serie tv. Nel romanzo, infatti, le storie dei domestici di cui la stessa Margaret è protagonista sono al centro della narrazione, mentre le vicende dei piani alti ne restano ai margini, e per lo più sempre ben distinte dalla vita dei padroni. Nella serie tv, invece, talvolta i due mondi si mescolano e gli eventi "del piano di sopra" hanno la stessa rilevanza, nella trama, di quelli "del piano di sotto". In ogni caso, chi ama l'atmosfera di "Downton Abbey" ed è incuriosito dalla vita quotidiana di inizio Novecento, adorerà questo romanzo.

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Ai piani bassi 2013-07-01 17:58:32 Carlo Turco
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Carlo Turco Opinione inserita da Carlo Turco    01 Luglio, 2013
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Coraggio e determinazione

Nella pubblicazione di questo memoir in Italia, così come nella sua riedizione in Inghilterra (l’originale è del 1968), non si manca di ricordare che ad esso si ispira la fortunata serie televisiva "Downton Abbey", cui non a caso rinvia l’immagine della magione ritratta sulla copertina del libro.
In realtà le fonti ispiratrici della serie TV – e di altre assai meno fortunate – non si limitano a quest’opera della Powell. Ciò che è più importante, tuttavia, è di non lasciarsi fuorviare dal lancio pubblicitario. In "Ai piani bassi" - il titolo originale è "Below Stairs" – non si trova certamente, né dovrebbe esservi ricercata, la ricchezza di intrecci caratteristica della serie TV e neppure, tanto meno, una narrazione pariteticamente divisa tra vicende, passioni e punti di vista degli abitanti dei “piani alti” e di quelli dei “piani bassi” (per non parlare di improbabili commistioni).
Il memoir narra specificamente la dura storia della Powell – allora Margaret Langley - che, avendo rinunciato a una borsa di studio per le condizioni di indigenza della famiglia, comincia a lavorare poco più che tredicenne: prima domestica-badante, quindi lavorante nella lavanderia e stireria d’un albergo, e infine a servizio. Un pesante apprendistato di sguattera, dal quale la protagonista riesce a saltare, audacemente, al rango di cuoca, presso famiglie della ricca borghesia di campagna dapprima e, in seguito, di famiglie abbienti, ma talvolta in declino, di Londra.
La narrazione rispecchia rigorosamente il punto di vista della protagonista, in cui non di rado l’identità individuale si espande a comprendere una coscienza di classe, e illustra con crudo realismo l’indigenza d’origine che spinge lei, come tanti altri, a cercare di sopravvivere e di emanciparsi attraverso le dure condizioni di lavoro e di vita della servitù dei redditieri. Nessuna inclinazione a sentimentalismi e autocommiserazione, ma la lucida consapevolezza delle barriere esistenti tra “noi”, poveri, e “loro”, i ricchi; del fatto che i padroni, persino nel momento in cui propendono ad atteggiamenti appena più aperti (o forse ancor più in queste circostanze), non riconoscono al personale di servizio la condizione piena di esseri umani. Non di rado, per converso, emerge l’orgoglioso riconoscimento di autenticità essenziali del proprio vissuto a fronte delle sfarzose superfluità delle classi privilegiate.
“Ai figli dei ricchi non era mai permesso giocare con bambini di basso ceto come noi. […] Non andavano mai in nessun posto senza tata. […] Noi, comunque, provavamo per loro un sorta di disprezzo. Non potevano fare le cose che facevamo noi […] Non potevano fare niente di emozionante. Non era colpa loro.”
Gli episodi di umiliazione assumono spesso connotati cocenti. Per aver osato di porgere dei giornali, che stava per posare su di un tavolo, al padrone di casa, nell’intento di fargli una cortesia, Margaret si guadagna un pesante, altezzoso rimbrotto: “Langley, non deve mai, in nessuna occasione, porgermi qualcosa a mani nude; usi sempre un vassoio d’argento. Dovrebbe avere un po’ più di giudizio. Sua madre è stata a servizio, non le ha insegnato niente?”
Indifferenti alle condizioni di lavoro dei sottoposti, i datori di lavoro erano invece estremamente solleciti per quanto ne riguardava i buoni costumi: “Del benessere fisico gli importava meno di niente: fintanto che eri in grado di lavorare, pazienza se avevi mal di schiena, mal di stomaco o mal di chissà che, ma si preoccupavano della tua moralità sotto tutti gli aspetti.”
La scrittura di Margaret Langley, nonostante i temi trattati, non è affatto pesante o cupa. Al contrario, essa è estremamente scorrevole e piacevole, certo anche per l’umorismo, non di rado salace, che ne è una costante permanente, e perché risulta avvincente la determinazione della protagonista a non farsi sommergere dalle condizioni avverse. Non siamo, però, nemmeno di fronte ai toni recriminatori e didascalici di un pamphlet politico. La Langley vede chiaramente come e quanto le condizioni di lavoro e di vita si siano evolute rispetto a quelle dominanti ai tempi della sua infanzia e giovinezza; non ha remore nel riconoscere, apprezzare, talora rimpiangere, senza alcun sentimento di invidia deteriore, la raffinatezza di oggetti, consuetudini, belle maniere consentiti dalla ricchezza; non è animata da spirito revanscista nei confronti dei ricchi, ma dalla volontà di riuscire nella sua lotta individuale sulla via dell’emancipazione, della conquista del benessere, dell’arricchimento culturale.
“Non sono particolarmente invidiosa dei ricchi, ma non li biasimo: cercano di tenersi stretti i loro soldi e lo farei anch’io, se ne avessi. L’idea che i ricchi dovrebbero condividere ciò che hanno è una corbelleria: solo chi non ha un soldo può pensarla così. A me, di condividere i miei a destra e a manca non passerebbe nemmeno per la testa.”
Una lettura, in conclusione, senz’altro consigliabile (e sicuramente istruttiva per tutti i negazionisti dei progressi conseguiti rispetto a tempi relativamente recenti dalle classi più indigenti).
Unico appunto che mi sembra si possa muovere all’autobiografia è che nelle ultime parti della narrazione fa capolino una certa ripetitività di vicende e considerazioni, mentre – per converso – le ultime tappe della scalata dell’autrice-protagonista appaiono riferite piuttosto frettolosamente, in termini privi dello spessore e della vivezza che caratterizza la parte antecedente della storia.

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