Yoga
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Recensione della Redazione QLibri
I VORTICI DELLA MENTE
È il racconto di quattro anni della vita del noto scrittore, quelli che lo hanno impegnato nella stesura del suo ultimo libro, questo appunto, ma che lo hanno anche segnato dal punto di vista personale per una serie di eventi, primo fra tutti il suo ricadere in uno stato di melanconia tale da farlo virare rapidamente da depresso generico a persona che vive un “episodio depressivo maggiore, caratterizzato da elementi di malinconia e idee suicidarie in un quadro di disturbo bipolare di tipo II”. Eppure è al culmine della grazia, il suo ego profondamente narciso è appagato dal successo che la sua attività di scrittore gli ha concesso, apparentemente nulla osta a un grado di felicità apparente, è inoltre pronto a una nuova avventura letteraria: scrivere un libello sullo yoga, disciplina che ha praticato per tutta la vita e che sa essere poco conosciuta o perlomeno vittima di stereotipi conoscitivi per cui sente l’esigenza di dare il suo personale contributo divulgativo, nulla di più. In realtà, proprio la scrittura di questa opera che ricalca in fondo la sua tendenza autobiografica, presente in tutti i suoi romanzi, vira presto in una sorta di autobiografia sull’onda lunga del comun denominatore dei suoi anni, ovvero la ricerca di un equilibrio interiore tramite yoga, meditazione e tai chi. Insomma chi è a digiuno di entrambi, parlo della conoscenza delle discipline appena citate e dello stesso scrittore e delle sue opere, può cogliere l’occasione di abbeverarsi a entrambe le fonti, di contro, chi è invece edotto di tali materie, può trovare quel senso di riconoscimento identitario e di appagamento che si provano nel rispecchiarsi nei propri interessi.
Lo scritto in sé si apre con un impatto di grande fascino, è infatti la restituzione sotto forma di reportage di quattro giorni trascorsi all’interno del programma Vipassana: si tratta, in poche parole di un internamento volontario di dieci giorni - con il divieto assoluto di parlare con gli altri ospiti della struttura che li accoglie e di abbandonare il programma prima del tempo - da trascorrere solo nell’immersione totale in pratiche di meditazione, staccando la propria vita da qualsiasi filo relazionale con l’esterno per concentrare le energie al recupero dell’interiorità. Il racconto è fluido, di impatto, incuriosisce quasi quanto una distopia ma presto si interrompe per l’evento fortuito che porta lo stesso Carrère a lasciare la struttura in seguito all’attentato a “Charlie Hebdo”. Il suo rientro nella vita consuetudinaria coincide con un malessere interiore tale da necessitare cure specialistiche in una struttura sanitaria e con la difficoltà a portare a termine quello scritto che si prospettava così facile e immediato e, per sua stessa ammissione, in un certo senso confezionato ad hoc proprio tramite l’internamento volontario a Vipassana. La profezia del programma si è avverata: non è possibile interrompere un viaggio di introspezione così intenso senza gravi ricadute sull’equilibrio personale. In verità, dal racconto dello stesso Carrère si evince che la sua stabilità mentale è sempre stata labile, il malessere preesistente, lo yoga e le altre pratiche un tentativo o meglio una necessità di auto mutuo aiuto paradossale perché profondamente individuale. E così il racconto, mentre inanella una serie di definizioni sulle pratiche meditative che lo scandiscono e permettono di tenere il leit motiv della narrazione, diventa autobiografia episodica di ampio ventaglio a coprire gli anni necessari a ultimare lo scritto, a curarsi, ad aprire una nuova pagina della sua vita. In tutto questo il lettore partecipa di un universo iniziatico allo yoga, fatto di zafu e vritti, e di una fetta di vita altrui. Interessante.
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CENTRO DI GRAVITA’ IMPERMANENTE
Ho approcciato questo libro, con impressa nella memoria una vignetta che apparve anni fa su un noto quotidiano nazionale: Emmanuel Carrère seduto al bancone di un bar chiedeva al barman “dammi qualcosa di forte”.
La specialità dei libri di Carrère, in effetti, è rappresentata proprio dalle storie forti e Yoga, ad un primo sguardo, sembrava discostarsi da questo filone.
La mia predisposizione alla lettura ha così seguito il doppio binario della curiosità per la variazione sul tema e dell’aspettativa di una storia comunque a tinte forti. E dato che i binari sono rette parallele che non si incontrano mai, mi sono chiesta se alla fine avrebbe prevalso l’una (la variazione su un tema zen) o l’altra (la storia a tinte forti), ritenendo che le due tematiche non si potessero incontrare e accordare.
E invece, alla fine, mi sono dovuta ricredere almeno per ciò che concerne l’accordo. Perché sì, un’altra specialità di Carrère è quella di riuscire a fare sintesi tra le tante contraddizioni delle storie, delle idee, della vita, anche e soprattutto della sua.
Una sintesi, tuttavia, irrisolta, nel senso che non rappresenta una unità, una fusione di due poli contrapposti, bensì ha la forma di un pendolo che oscilla da un capo all’altro del proprio campo di azione, in uno stato di equilibrio stabilmente instabile che trova la propria summa nel disturbo bipolare che affligge l‘autore e che solo nella scrittura sembra trovare un centro di gravità permanente.
In tal senso, appaiono sintomatiche le tante definizioni congegnate attorno alla disciplina dello Yoga, ognuna con una sua verità originale e intrinseca e che pure Carrère nello scorrere del libro sembra tradire e scartare a una a una, come se nessuna di esse fosse mai quella assoluta, definitiva.
Emblematico, ad esempio, è lo stare qui e ora, che Carrère prima professa e poco dopo smentisce. Nel bel mezzo di un ritiro presso un centro di meditazione, difatti, il nostro d'un tratto leva le chiappe e corre a Parigi in soccorso a una sua amica colpita negli affetti dall’attentato terroristico a Charlie Hebdo. Da quel momento in poi, lo Yoga, seppur continui a innervare la narrazione, diviene meno pregnante e lascia il campo al divagare erratico della penna di Carrère e alla precarietà della sua condizione.
E così ci troviamo di fronte ad un continuo oscillare tra un intellettuale affermato, risolto, grato alla vita, e un uomo sull’orlo del baratro, in procinto di perdere tutto per puro spirito di auto sabotaggio. Uno scrittore sincero, disarmato e nudo di fronte al lettore, e altresì un personaggio un po’ costruito, che presta la propria storia all’utilità della narrazione.
Una storia a tinte forti, si sa, come non poteva essere altrimenti.
IL SORRISO DI MARTA
non lo avessi ricevuto in regalo, non avrei probabilmente mai letto questo libro.
Temevo un evanescente pamphlet new-age, un acritico elogio alla salvifica via della meditazione ayurvedica. Con sorpresa ho scoperto uno scrittore disincantato e profondo capace di indagare la propria fragilità con sincerità e schiettezza.
Nelle intenzioni originali, oggetto del libro avrebbe dovuto essere lo Yoga e l’influenza della meditazione sulla vita dell’autore. I primi capitoli raccontano una esperienza di ritiro spirituale in cui, scandite dal suono del gong, le giornate scorrono tra prolungate meditazioni, riti di sapore orientale e serene passeggiate nei boschi nei dintorni di Laroche-Migennes. Eppure fin da subito appare chiaro come né le atmosfere rarefatte, né l’estraniamento un pò artificiale molto possa nel placare la crisi personale dell’autore ed il vorticoso turbine delle “vritti” che lo tormentano. Carrere osserva con sottile ironia i suoi compagni di meditazione i quali, per libera associazione, mi han ricordato le anime perse vaganti tra i viottoli dello stabilimento termale in 8 e 1/2 di Fellini.
Ad interrompere bruscamente la forzata quiete è la notizia dell’attentato a Charlie Hebdo col conseguente brusco richiamo alla realtà. Da qui ha inizio la lunga descrizione del processo degenerativo in cui la depressione spinge Carrere fino a concepire propositi suicidi.
"Tutto quello di cui mi accingevo a parlare con il tono pacato di chi procede fiducioso verso lo stato di meraviglia e serenità mi appare oggi in una luce cruda e crudele, la luce livida dell’alba di un’esecuzione capitale che non posso fare a meno di considerare vera, più vera di quella del pieno giorno che scaccia i brutti sogni."
Quelli centrali, caratterizzati dalla disarmante sincerità con cui Carrere riesce a mettersi a nudo e dalla cruda incisività con cui descrive l'avanzata del male oscuro, sono senz'altro i capitoli migliori.
Ne emerge una personalità bipolare (“Yoga per bipolari” avrebbe dovuto essere il titolo) in cui alla tensione verso l’unità e l'empatia si contrappone una pulsione disgregatrice ed autolesionista che lo induce alla solitudine.
Di questo conflitto senza sosta Carrere è al contempo spettatore e vittima. La malattia lo conduce progressivamente verso l'auto annientamento fino al ricovero forzoso in una clinica psichiatrica.
Appena la morsa della depressione si fa meno opprimente, Carrere decide di intraprendere un viaggio confidando nel suo possibile valore terapeutico.
La terza parte del romanzo è ambientata in un campo profughi di un isola greca dove lo scrittore conosce ragazzi afgani e siriani fuggiti dall'orrore della guerra. Il loro attaccamento alla vita è se non proprio linfa vitale cui attingere, perlomeno antidoto e lenitivo alla propria crisi esistenziale. Un invito a relativizzare insomma:
"Ho detto spesso che bisogna rispettare il proprio dolore, che non bisogna relativizzarlo, che la sofferenza nevrotica non è meno atroce della normale sofferenza umana, ma paragonare allo strazio che hanno vissuto e che stanno vivendo questi ragazzi di sedici o diciassette anni la storia di uno che ha tutto, assolutamente tutto per essere felice, e che fa in modo di sabotare la propria felicità e quella della sua famiglia, è un’oscenità che trovo inconcepibile chiedere loro di capire e che dà ragione ai miei genitori, quando dicono che, durante la guerra, non ci si poteva permettere il lusso di essere nevrotici."
Yoga è un libro rapsodico che raccoglie esperienze personali dell'autore completamente scollegate tra loro. Carrere sente il dovere di concluderlo con un frettoloso finale che chiosa le molteplici storie e ci informa sui destini riservati ai vari personaggi incontrati nel cammino.
Pur nella caotica costruzione narrativa lo stile rimane asciutto e piacevole. Carrere è sempre credibile e della sua sincerità non si dubita mai ed è forse lo stesso disordinato flusso di pensieri e situazioni che contribuisce a questa sensazione di veridicità.
Un bel libro che non manca di originalità e profondità, che "doveva essere sullo yoga e che, a conti fatti, dopo varie vicissitudini forse lo è." A ciò aggiungo il merito di avermi fatto scoprire quel fuggevole sorriso di Marta Argerich mentre suona la polacca di Chopin.
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Tra vivere e sopravvivere
Con “Yoga” Emmanuel Carrère propone ai suoi lettori uno scritto focalizzato su quattro anni di vita che lo vedono quale protagonista. Lo scrittore, eterogeneo e pungente, torna a parlare di un tema che lo ha coinvolto personalmente: la depressione. Una melanconia sopraggiunta ma tale da trasportarlo in una dimensione di depressione generica di poi confluita in un “episodio depressivo maggiore, caratterizzato da elementi di malinconia e idee suicidarie in un quadro di disturbo bipolare di tipo II”. Da qui lo scritto vira inevitabilmente su quella che è una autobiografia all’interno della quale lo yoga, disciplina da sempre praticata dal narratore narciso, si rivela essere lo strumento con cui avviene e si manifesta la ricerca dell’io interiore. A ciò si aggiungono discipline quali il tai chi e ancora la meditazione.
Ed è proprio da quest’ultima che ha inizio l’opera. Lo scritto, infatti, prende forma e campo, dopo rapidi passaggi, dall’auto-internamento all’interno nel programma Vipassana per la durata di dieci giorni. Durante questo il soggetto protagonista si dedica interamente alla meditazione, al silenzio e stacca la propria vita da ogni legame e relazione con il mondo esterno. Il fascino è immediato, la scrittura fluida e curiosa. Al momento del rientro nella vita canonica, il ritorno del malessere. Dopo un siffatto periodo di estraneità dal tutto, non è semplice tornare al caos, all’evidenza di un mondo che sembra piegarsi su se stesso. Un malessere che sopravviene e che è dettato dal reinserirsi dopo un siffatto percorso nel vivere quotidiano, nel costante e comune rievocare tra attualità, sofferenza, insofferenza e costanza. In uno scenario del vivere quotidiano che viene qui descritto e delineato con forza ripercorrendo, oltre all’esistenza del romanziere, anche quella del nostro vivere.
Tuttavia, anche se l’opera ha un carattere arguto e una struttura piacevole, tende un poco a perdersi nel suo evolversi e per questo anche a perdere di quell’empatia e di quella capacità evocativa e tale da incuriosire che si riscontra al contrario al suo inizio. Il risultato è quello di un titolo piacevole e interessante ma non indimenticabile. Ancora una volta un Carrère che divide.
«Si può dire che abbiamo incominciato a fare l'amore facendo yoga, e che abbiamo continuato a fare yoga facendo l'amore [...] restavo sospeso sull'orlo, entrambi facevamo durare questo momento il più a lungo possibile, poi mi rituffavo dentro di lei, sempre più lentamente, sempre più profondamente, proprio come quando, meditando, la respirazione diventa sempre più lenta e profonda, più lunga l'inspirazione, più lunga l'espirazione, e più lunghe le pause fra l'una e l'altra, più dilatati anche i momenti in cui viene da pensare che il movimento è ormai terminato, che è arrivato a fine corsa, che sta per ripartire nell'altro senso, e invece no, si prolunga ancora, si intensifica, si affina, mentre tutte le sensazioni sono concentrare in un unico punto.»
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Tra meditazione e attualità
“Quello che chiamo yoga non è soltanto la ginnastica benefica che pratichiamo in tanti, ma un insieme di discipline che mirano ad ampliare e unificare la coscienza. Lo yoga afferma che siamo qualcosa di diverso dal nostro piccolo io confuso, frammentato, spaurito, e che a questo qualcosa possiamo avere accesso”.
Questa definizione di Yoga (che Carrère ha pensato per la quarta di copertina dell’edizione francese) avrebbe dovuto rendere l’idea dell’obiettivo che questo libro si proponeva di comunicare alla platea dei potenziali lettori. Realizzare un “libretto arguto e accattivante” sul significato profondo di questa disciplina in un momento della vita che sorrideva all’autore conscio di non avere problemi se non quello che lo stesso Carrère riconosce da sempre: “un ego ingombrante, dispotico, di cui aspiravo a ridurre il potere, e la meditazione è fatta appunto per questo”. Tuttavia i cosiddetti imprevisti della vita hanno portato l’autore a doversi riconfrontare con i propri mostri interiori che ciclicamente tornano a trovarlo, mostri rappresentati dalla ricomparsa di una sindrome depressiva, questa volta anche accompagnata da un disturbo bipolare, e che hanno costretto lo scrittore ad essere ricoverato presso una clinica specializzata. Conseguentemente anche la struttura del libro inizialmente pensata da Carrère è cambiata, perché la malattia ha quindi influito pesantemente sul contenuto finale dell’opera permettendo di consegnare cosi alle stampe un prodotto in cui traspare il pensiero, la sofferenza ma anche la ricerca di riscatto. Qui dentro di fatto è possibile riconoscere Carrère con tutti i pregi e difetti, con la propria personalità spesso debordante ma comunque sincera, con tutti i limiti confessati senza timore, che in qualche modo rendono l’autore francese più simpatico e umano rispetto a come spesso viene percepito.
Yoga può pertanto definirsi un’opera di “non fiction” stratificata, nella quale trovare innanzitutto riflessioni sul significato profondo della disciplina e sull’importanza assunta dalla meditazione come strumento per lasciare scorrere quelle che nel linguaggio tecnico orientale si definiscono come “Vritti”, i pensieri negativi, gli stati d’ansia che condizionano la vita – lungo l’intero libro i potranno infatti contare ben 14 significati differenti di meditazione dati dallo stesso autore, uno più interessante dell’altro-. Ma Yoga è al tempo stesso un libro di estrema attualità perché le difficoltà psicologiche dell’autore sono raccontate sullo sfondo di eventi tragici che conosciamo tutti come il tragico attentato terroristico alla sede del giornale francese “Charlie Hebdo”, con implicazioni personali che hanno riguardato lo stesso autore, o ancora il dramma dei migranti, raccontato da un’esperienza diretta vissuta sempre da Carrère sull’isola greca di Leros. Yoga rappresenta un salto in quella “zona sinistra” dell’animo umano in cui si annida l’ombra, la paura, il dolore ma contiene anche un messaggio di speranza perché “A sinistra c’è l’ombra, ma c’è anche la gioia pura, e forse non può esserci gioia pura senza l’Ombra”. Yoga infine può anche definirsi un’opera di “fiction” perché è lo stesso Carrère a confessare, verso la fine del libro, l’impiego di alcuni espedienti letterari comunque assolutamente funzionali al racconto e che in qualche modo ne costituiscono un valore aggiunto.
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Vivere un senso insensato
Il viaggio di Emmanuel Carrere al ritmo di una vita mossa da presente e ricordi, euforia, depressione, perdite, amori, ritorni, tutto quello che da sempre lo ha definito alla ricerca di un senso per accedere all’ altro, un equilibrio precario, idea e solco lungo il cammino della propria esistenza.
Il racconto, secondo quanto ci dice l’autore, era stato pensato come testo sullo “ yoga “, una rappresentazione della meditazione come stile di vita, sviscerandone aspetti e contenuti.
Nel cammino della sua creazione lo scritto diviene creatura pulsante, plasmandosi e trasformandosi in un percorso interiore tra presente e ricordi, sbalzi temporali e flussi emozionali per tracciare un bilancio, prendendo i propri pensieri per quello che sono.
Una domanda incombe, quale relazione tra meditazione e scrittura, dieci giorni di ritiro monacale (uno stage di Vipassana tra zafu e thai chi) per osservarsi dentro, l’ inizio di un cammino diverso.
C’è una contraddizione evidente tra il narcisismo autoreferenziale dello scrittore e la pratica meditativa, rivolta all’altro, non giudicante, entrambe in fondo si prefiggono la stessa cosa, comprendere meglio l’attività mentale.
Carrere ha vissuto lunghi periodi di creatività alternati a inattività, benessere a depressione, da molti anni ha imboccato la via della meditazione e dello yoga, convertito a una ricerca interiore che stabilizzasse la propria vita. Nella immobilità apparente della meditazione tutto cambia, i pensieri, la postura, la respirazione, emozioni e sensazioni si affacciano alla coscienza fino a che è la vita a cambiare, distaccandosi un poco dal se’.
Amore, yoga, scrittura, meditazione sono i cardini che lo accompagneranno fino alla morte in una vita che si rivela, al contrario di quello che si potrebbe pensare, così esposta alla fragilità.
Carrere crede ai sacri principi dell’ alternanza tra opposti ( yang e yin ) ma rimane uno scrittore pieno di dubbi, ossessionato dall’ idea della propria grandezza, che ricerca nella vita e nella meditazione il modo di essere una persona migliore e quindi uno scrittore migliore.
In lui resta un ineluttabile senso di autodistruzione, presente e definente, un senso catastrofico che credeva guarito e che è scaturito dal se’, quell’ io frammentato e diviso che stenta a raggiungere l’ unità a cui tende lo yoga .
E allora dubbi incombono mentre le stagioni della vita annunciano perdite incalcolabili, si cerca una ricostruzione possibile in un lungo viaggio a stretto contatto con giovani vite strappate alla normalità, si incontrano altre storie che aiutano a vivere.
È dopo un lungo cammino che la vita risorge nella propria bellezza, oltre la meditazione e lo yoga, dentro se’ stessa, nel cuore di una scrittura ritrovata, nello sguardo d’ amore rivolto a una donna.
“ Yoga “ non è un romanzo, unisce e rimanda prolungati tratti autobiografici a un approccio teorico e olistico su yoga e meditazione, vita e filosofia, pervaso da un’ ossimorica presenza, un tono scherzoso e sorprendente tra pensieri cupi e solitudine autoimposta.
Un testo che fa riflettere sulla propria essenza, sulla strada intrapresa, sul reale senso delle cose, sul male di vivere, sulla connessione tra mondi apparentemente diversi, sulla scrittura, uniti dalla vivida intelligenza e da un senso che vorrebbe tralasciare un eccesso di teoria asfittica e poco includente così come una razionalità all’eccesso, travolti dalla vita in un semplice gesto, abbandonati al piacere e al giusto equilibrio di uno sguardo perso nell’oggi negli occhi innamorati di chi è “... pienamente felice di essere vivo...”