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Una storia di amore e di tenebra Una storia di amore e di tenebra

Una storia di amore e di tenebra

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La presentazione e le recensioni di Una storia di amore e di tenebra, opera di Amos Oz edita da Feltrinelli. Amore e tenebra sono due delle forze che agiscono in questo libro, un'autobiografia in forma di romanzo, un'opera letteraria complessa che comprende le origini della famiglia di Oz, la storia della sua infanzia e giovinezza prima a Gerusalemme e poi nel kibbutz di Hulda, l'esistenza tragica dei suoi genitori, e una descrizione epica della Gerusalemme di quegli anni, di Tel Aviv che ne è il contrasto, della vita in kibbutz, negli anni trenta, quaranta e cinquanta. Al centro di questo romanzo autobiografico sta il grande tabù di Oz: il suicidio della madre, nel 1952.



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Una storia di amore e di tenebra 2023-10-09 16:52:22 camillaru
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camillaru Opinione inserita da camillaru    09 Ottobre, 2023
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Un viaggio lungo 20 secoli (o forse solo una vita

ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER

Il libro inizia in modo difficile: ci si immerge così, senza aver preso fiato, nella Gerusalemme degli anni ‘40, con tutte le contraddizioni e le difficoltà che la città viveva in quegli anni. Sin dal primo momento fanno capolino personaggi importanti della letteratura israeliana (pressoché sconosciuti ai lettori europei, come il poeta Cernicowskij); il primo membro della famiglia Klausner che viene presentato è l’ingombrante zio Yosef, con il salotto culturale che ruota intorno alla sua tavola, la silenziosa e servizievole zia Zipporah sempre un passo indietro a lui, le aspirazioni fallite del padre di Amos (imputate a un eccesso di zelo dello zio accademico, che taglia le gambe al meritevole nipote pur di non essere accusato di nepotismo).

Il libro, quindi, inizia con difficoltà. Ma, superato lo scoglio iniziale, Oz mette in fila una serie di personaggi della sua famiglia, paterna e materna, che meriterebbero ognuno un romanzo a sè. C’è l’adorabile nonno Alexander, che sopravvive a tutta la sua famiglia, instancabile amatore, appassionato ascoltatore delle donne, irrimediabilmente attaccato alla vita. Sua moglie Shlomit, che muore per “troppa pulizia” dopo aver sentenziato l’iconica frase “il Levante è pieno di microbi”. La temibile nonna mame, bambina viziata fino alla fine dei suoi giorni, e il laborioso nonno pape, quasi contento di aver perso tutte le sue ricchezze, per potersi finalmente dedicare alla vita da semplice operaio che ha sempre perseguito.

La storia prosegue in modo lineare, in linea cronologica, prima per parte di padre e poi per parte di madre, fino ad arrivare alla nascita di Amos. Da qui, il racconto prosegue diseguale, a passi di gambero, estremamente sbilanciato verso i primi anni della giovinezza, con un capitolo squarciato sul presente, nel momento in cui l’autore sta scrivendo il libro, seduto alla scrivania ereditata dal padre, in una torbida mattina di luglio del 2001.

Amos, che descrive con dovizia di particolari ogni singolo momento della vita dei suoi avi, non pronuncia una parola su come si sono incontrati i suoi genitori, come si sono innamorati, quando si sono sposati. L’unione dei due è presentata come un dato di fatto, descritta attraverso gli occhi di un figlio chiacchierone e magrolino, troppo attento per la sua età. La storia della giovinezza della madre, però, risulta fon dal primo momento diversa da quella degli altri personaggi: Oz la racconta attraverso la voce della zia Sonia, sorella della madre, non parlando quasi mai in prima persona. Come se non ci riuscisse, come se parlare della madre fosse ancora un tabù. La storia di Fania resta così appesa, dice che si è suicidata senza spiegare come, quando, perché. Il libro procede raccontando la vita di Amos bambino in tutte le sue tappe, il rapporto con il padre, le favole “fantasiose” della madre, l’incontro con la scrittura, l’accettazione di essere uno scrittore. Eppure la vita non si snocciola fino alla fine dei suoi giorni: alla sua vita nel kibbutz Hulda (che è durata ben 30 anni) sono dedicati pochi capitoli; alle guerre combattute in trincea, neanche una riga. Tutto è concentrato in quei primi anni di vita, e la storia della madre, della sua malattia, del lutto, fa capolino tra i capitoli, alternandosi alle vicende del giovane Oz. Fino alle ultime pagine, quando finalmente l’autore racconta il momento della morte. Parla prima della malattia, poi del lutto, e l’ultimissima pagina è dedicata a quella notte tra il 6 e il 7 gennaio del 1952, quando la madre assunse una dose eccessiva di sonniferi nella stanza degli ospiti a casa della zia Haya. Allora è chiaro che tutto il libro, tutte le storie in esso raccontate, non sia altro che l’ultimo tentativo di un figlio di fare pace col passato, di elaborare quel lutto taciuto e illacrimato (per stessa ammissione di Oz) per oltre 50 anni. Il lutto che lo aveva portato ad allontanarsi dal padre, a cambiare cognome, a vivere lontano da Gerusalemme alla sola età di 14 anni. Un lutto che ancora oggi gli impedisce di lasciare oggetti sparpagliati per casa: il disordine fu il modo in cui lui e suo padre manifestarono il dolore. L’incuria della casa fu l’unico modo in cui i due uomini, che non ne parlarono mai, esternarono il dolore immenso per quella perdita che non sarà mai rimpiazzata.

Nessuna parola sulla matrigna, poche righe sull’amatissima moglie, solo qualche accenno ai figli nati da quella longeva unione. L’intero libro è il racconto di dolore di quel figlio che a 12 anni si sentì così impotente e arrabbiato per quella madre che non era riuscito ad aiutare.

Nel frattempo Oz ci insegna la letteratura ebraica, le correnti politiche interne al sionismo, la difficile convivenza con i vicini arabi, la gioia per la creazione del nuovo stato di Israele, le contraddizioni legate a questo delicato momento storico.

È un libro potente, colto, difficile, estremamente umano. Ti tocca l’anima, e si può dire solo grazie.

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Consigliato a chi ha letto...
Consigliato a chi ha letto “Cent’anni di solitudine” e, in generale, apprezza le saghe familiari
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Una storia di amore e di tenebra 2013-10-19 14:15:03 dames
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dames Opinione inserita da dames    19 Ottobre, 2013
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La Storia della famiglia Klausner

Amos Oz ci regala la storia della sua famiglia, dei nonnni materni e paterni, arrivati in Israele dall’Europa dell’Est nei primi anni del 900 e insieme le vicissitudini delle 2 guerre mondiali,della Shoa,della nascita dello Stato di Israele e del conflitto Palestinese. 120 anni di storia vissuta attraverso gli anni della sua infanzia, insieme ai ricordi, alle fantasticherie, ai suoi giochi.
Romanzo autobiografico: ricco, complesso, colto, articolato, di non facile lettura. Confesso che all’inizio ho stentato molto; il racconto risultava essere un po’ caotico per i continui sbalzi temporali, persino noioso dove si dilungava in elenchi di personaggi per me sconosciuti. Ma poi sono stata catturata da questo bambino esile, pallido, gran chiacchierone, un bimbo troppo solo in un mondo di adulti problematici. Finché mi sono arresa e ho compreso che sarei arrivata fino alla fine, conquistata dalla frase: “quand’ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come le formiche. Anche uno scrittore, non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand’anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita di scaffale, una vita eterna, muta, su un ripiano dimenticato in qualche sperduta biblioteca.”
Ci sono pagine così intense, così belle che scorrono velocemente, descrizioni così vivide e particolareggiate che sembra di assistere ad una proiezione cinematografica. Che ricchezza di vocaboli!
Come non rimanere affascinati dalla descrizione della nonna Shlomit che appena arrivata in Israele da Vilna proferì la fatidica frase: “Il Levante è pieno di microbi” Che personaggio! Oppure il nonno Alexander che a più di novant’anni fa una spassosa e lucidissima dissertazione su quanto sia difficile morire dopo che si è fatta l’abitudine a vivere!
Come non leggere tutto d’un fiato il racconto della notte del 29 novembre 1947 in cui fu votata la decisione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la creazione di uno stato indipendente ebraico!
Ma insieme a tutte queste descrizioni ci sono anche dei passaggi molto personali, intimi, commoventi.
Diventiamo così partecipi della sua scelta di diventare scrittore, o meglio della presa di coscienza di “essere” uno scrittore perché come lui stesso ci confida: “ E in fondo, questo strano impulso che avevo da bambino – il desiderio cioè di offrire una nuova opportunità a ciò che non esisteva più né mai più avrebbe avuto una opportunità – è ancora fra le cose che mi muovono la mano, ogni volta che mi accingo a scrivere una storia.”
E diventiamo anche partecipi di un grande evento che ha segnato il corso della sua vita, quella “tenebra” citata nel titolo che ci riporta agli episodi luttuosi della guerra, della Shoa, ma soprattutto all’immenso, atroce dolore per il suicidio della madre. Un dolore talmente forte da essere rimasto chiuso nel suo cuore per 50 anni : “ Di mia madre non ho parlato quasi mai, per tutta la mia vita fino a ora, che scrivo queste pagine. Né con mio padre, né con mia moglie né con i miei figli né con nessun altro. Dopo la morte di mio padre, nemmeno di lui ho quasi mai parlato. Come fossi stato un trovatello” e che lo ha spinto a soli 14 anni a decidere di lasciare la casa paterna ,andare a vivere in un kibbutz, e cambiare nome.
Un dolore che ha avuto bisogna di una lunghissima elaborazione, passando attraverso il rifiuto, la rabbia, il senso di colpa, ma che alla fine ha trovato consolazione nell’unico modo possibile, nella scrittura.

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