Un giorno scriverò di questo posto
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Come NON pensare l'Africa.
Binyawanga Wainaina è un autore del tutto sconosciuto in Italia e “Un giorno scriverò di questo posto” è uno dei suoi primi lavori pubblicati nel nostro Paese. Ammetto per prima di non averne mai sentito parlare e, per gusto personale, non avrei mai acquistato un libro del genere, ma dopo l’ultima pagina mi posso ritenere contenta e ringrazio colui che me lo ha indicato per avermi iniziata ad un nuovo tipo di visione.
Generalmente non mi piacciono i romanzi che parlano o sono ambientati nelle ex-colonie. Non ho mai voluto leggere nemmeno uno di quei titoli, ho sempre trovato la loro trama un po’ troppo razzista di base e pensato che alla fine il protagonista non è un vero “uomo”, visto che appena può torna alla sua amata civiltà dopo la spericolata “gita”. La trovo una concezione un po’ troppo bigotta per i miei gusti, decisamente sulla linea del “noi siamo i bianchi buoni e civilizzatori, voi siete i selvaggi di colore variegato”. Non voglio negare che all’epoca fosse ritenuta una concezione giusta, ma per il mondo nel quale viviamo noi comincia ad essere un po’ leziosa. Ma come ho detto, è solo una questione di gusti e opinioni personali.
Quest’opera invece è stata in grado di sorprendermi. In primis perché è scritta da un autore del luogo (e non dall’europeo di passaggio); secondo, è incredibilmente recente e, terzo, è stata in grado di demolire con le sue 250 pagine un milione di pubblicità sugli aiuti umanitari e immagini collettive. Questo romanzo autobiografico non ha certamente la solita trama di un uomo che vive in Africa e racconta una storia sulla vita in capanna, circondato da molti bambini che non sa come sfamare o istruire. No, Binyawanga racconta la sua storia ed il suo Kenya da un punto di vista del tutto inaspettato per la nostra visione. L’Africa non è il Sahara, non è la savana, non sono i Maasai, la mancanza di acqua corrente nelle case, il sottosviluppo o la sottonutrizione: la realtà che egli ha conosciuto è quella di una bella casa piena di ogni comfort, una famiglia (di soli 6 membri) amorevole e multiculturale, di un ottimo livello d’istruzione per lui e tutti i suoi fratelli. L’Africa, o meglio, il Kenya è uno Stato del tutto simile ad un qualsiasi altro Paese dell’emisfero Nord, con le sue grandi città e le sue aree di povertà; le sue zone industriali e quelle rurali. La differenza? Probabilmente nessuna, forse si potrebbero citare le rivalità politiche tra varie tribù, ma la storia della corruzione dilagante nella classe politica e quella delle lotte per la stabilità del Paese sono praticamente identiche anche alle nostre. Il tutto contornato dalle battaglie quotidiane dell'autore con se stesso, le vicende personali e la finale decisione di diventare uno scrittore.
Non vorrei dilungarmi oltre sul contenuto perché da solo meriterebbe di essere letto.
Ad essere sincera, lo stile non è stato del tutto di mio gradimento perché ricco di parole in Kiswahili che a volte non vengono spiegate o tradotte e quindi si perde un po’ della magia. Secondo perché, in certi punti, c’è abbastanza confusione tra le vicende interiori o quotidiane dell’autore e le vicende politiche e vorrei cogliere l’occasione l’occasione per sconsigliarvi l’acquisto dell’opera in lingua originale. Inoltre non nego che è stata un po’ dura continuare a sfogliare il libro per una persona che ha solamente un’infarinatura generale su questo Paese. Comunque sono ancora convinta che le parti più piacevoli, profonde ed anche divertenti si trovino specialmente nei capitoli nei quali l’autore parla del proprio passato, raccontato attraverso gli occhi di se stesso bambino che scopre ed interpreta il mondo con l’innocenza di un piccolo uomo.
Non è un vero e proprio consiglio di lettura. Credo sia più che altro un invito a rivedere l’Africa da come viene proposta dalle pubblicità o come l’abbiamo dipinta noi nell’immaginario collettivo.