Un'odissea. Un padre, un figlio e un'epopea
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Recensione della Redazione QLibri
un lungo viaggio alla ricerca della propria identi
Daniel Mendelsohn è un docente universitario, studioso di lettere classiche, critico e traduttore. Ha scritto: Gli scomparsi, un libro lettera aperta al proprio nonno. Ora pubblica Un’odissea. Un padre un figlio e un’epopea: un testo che intreccia la storia del suo defunto padre Jay con riflessioni colte ed erudite sull’Odissea di Omero. Moltissimi sono i temi trattati, presi a spunto sempre dall’Odissea e trasposti, quali le relazioni padre e figlio, l’educazione e l’indentità. E’ una mescolanza tra memorie personali e critica letteraria, come ben precisato sin dal prologo:
“probabilmente anche chi non ha letto l’Odissea conosce la leggenda dell’uomo che impiega dieci anni a tornare a casa dalla moglie; ma, come si apprende nelle scene iniziali, quando è partito per Troia Odisseo si è lasciato alle spalle anche un figlio appena nato e un padre nel fiore degli anni. La struttura del poema sottolinea l’importanza di questi due personaggi: l’epopea inizia col figlio ormai adulto che parte alla ricerca del genitore perduto (…)e si conclude non col trionfante ricongiungimento dell’eroe con sua moglie, ma col lacrimoso ricongiungimento di quell’uomo con suo padre, ormai anziano e deperito. L’Odissea non è dunque solo una storia di mariti e mogli, è anche, e forse ancor di più, una storia di padri e figli.”.
L’autore è un brillante docente capace di ammaliare schiere di studenti con un seminario sull’Odissea, l’idillio però sembra rompersi quando tra le matricole spunta anche il volto di suo padre, Jay, che è un matematico, ricercatore scientifico, carattere ruvido, ottant’anni, la lingua fin troppo aguzza dell’uomo che si è fatto da solo. Davvero un inferno, Jay non riesce neanche a capire perché Ulisse debba essere considerato un eroe, e poi si susseguono le lezioni e i racconti, finchè arriva la proposta spiazzante del figlio: un viaggio in Grecia per ripercorrere i passi dell’uomo dal multiforme ingegno. Così i due partono per una crociera, denominata “Sulle tracce dell’Odissea”, in cui:
“La crociera seguiva il tortuoso, decennale itinerario del mitico eroe nel suo arduo ritorno a casa dopo la guerra di Troia, funestato da mostri e naufragi. Iniziava nella stessa Troia, il cui sito si trova oggi in Turchia, e terminava a Ithaki, una piccola isola del mar Ionio che si presume corrisponda a Itaca, il luogo che Odisseo chiama casa. E così, (…) partimmo per la crociera che durava in tutto dieci giorni, uno per ogni anno del lungo ritorno a casa di Odisseo. “.
Il rapporto padre-figlio è scandagliato in tutti i suoi possibili aspetti sempre in parallelo e in riferimento con il poema omerico. Per cui, oltre il prologo il cui testo prende un terzo dell’intera narrazione, e ha una importanza fondamentale, il libro è suddiviso in cinque grandi capitoli: Telemachia, è il primo capitolo in cui si parla di istruzione, suddiviso in due sottocapitoli: Paideusis e Homophrosyne, ovvero padri e figli e mariti e mogli. Il secondo è Apologoi, ovvero Avventure, dove il viaggio compiuto da Odisse è esaminato nei minimi particolari. E poi c’è Nostos, ovvero il ritorno a casa, a cui fa seguito Anagnorisis: il riconoscimento di Odisseo da parte di tutta la famiglia. Per ultimo c’è Sema, ovvero Il segno dove si parla della tomba vuota, presagio di future disgrazie, che conduce al racconto della dipartita del padre dell’autore.
La conclusione è un memoir raffinato e struggente,
“capace di dare corpo e forma all’universalità dei classici. Omero ha una definizione per coloro che si sanno esprimere in modo tanto ammaliante: hanno parole alate. Mendelsohn ha parole alate.”
Il libro è certamente incentrato sulla necessità di conoscere di più il proprio padre, un uomo di indubbio fascino, di granitiche certezze, matematico che esaminava ogni cosa scientificamente, nel dettaglio. Quest’ultimo particolare è determinante perché l’autore è un classicista. Ma questo invece di allontanarli, li unisce nel profondo, in un connubio di rara intensità.
Un altro tema espresso nel testo è la ricerca spasmodica di stabilire in che cosa consiste la vera identità dell’uomo. L’autore si domanda quante identità può assumere l’essere uomo. La risposta è che lui ha imparato che il padre, come tutti, di identità ne ha tante e l’autore lo comprende quando parlano insieme della sua omosessualità, che i suoi genitori hanno vissuto nella più totale normalità. Poiché: “La prima cosa che Dio ha creato è l’amore”, una frase citata da Seferis, che è una poesia immortale. Ma questo verso è da mettere assieme al successivo: “la prima cosa che Dio ha creato è il viaggio.”. Come è possibile che Dio abbia creato due prime cose? La risposta è nella divinità e in secondo luogo nel fatto che chi parla è un poeta. E riflettendo infatti le due creazioni sono l’essenza della stessa Odissea.
Un viaggio epico colto e raffinato, un saggio più che un romanzo di grande natura accademica, che non può che essere apprezzato. Una lettura non per tutti, però.
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“Non c’è niente che non puoi fare se hai il libro
L’autore, Daniel, racconta un episodio autobiografico della propria vita, vissuto insieme al padre, Jay, un matematico e ricercatore universitario ottantenne, il quale, un giorno, chiede sorprendentemente al figlio di poter assistere ad un seminario da lui tenuto sul poema di Omero, L’Odissea.
Il figlio acconsente pensando che il padre si sarebbe limitato ad assistere passivamente alle sue lezioni. Invece così non è, in quanto, da subito, il vecchio interviene e prende la parola (tra lo stupore ed il divertimento dei ragazzi, ma anche trovando vari consensi tra gli studenti) e contesta la figura di Odisseo/Ulisse, descritto da sempre come un eroe, astuto e coraggioso.
Jay, in particolare, ritiene il protagonista dell’Odissea, oltre che “un piagnucolone”, in primis un traditore, poiché nel corso del suo peregrinare lungo un decennio tradisce in più di un’occasione la moglie, devota fino alla fine, in secundis un mediocre condottiero, perché perde tutti i suoi uomini, tanto che sarà l’unico a sopravvivere alle varie sventure e agli accadimenti che lo riporteranno ad Itaca.
Jay sostiene, infine che, senza l’intervento benevolo degli Dei, Ulisse non sarebbe mai riuscito a tornare nella propria patria e neanche a riconquistare il proprio regno usurpato dai proci.
Da questo pensiero sulla figura di Ulisse, Daniel propone al padre, su suggerimento di una sua ex insegnante, di intraprendere una crociera a tema sulle orme di Odisseo.
Così i due partono per l’Europa ripercorrendo i luoghi cantati da Omero. E’ durante questo viaggio che a Daniel si rivelano degli aspetti del padre diversi da quelli conosciuti nell’ambiente domestico e lavorativo, tanto che il paragone con il poliedrico Ulisse viene spontaneo. Al rientro dal viaggio i protagonisti verranno colpiti da un evento nefasto che porterà l’autore a comprendere meglio molti atteggiamenti del padre che da giovane gli sembravano incomprensibili e che adesso gli appaiono chiari e sotto una nuova luce, soprattutto grazie al contributo di altre persone che gravitano intorno ai due.
Il romanzo, quindi, fondamentalmente parla del rapporto conflittuale e complesso, a tratti anche amorevole, sussistente tra lo scrittore ed il proprio padre e si incentra sul parallelismo sussistente tra l’Odissea e la vita reale di Daniel e Jay. Quest’ultimo viene in un primo momento paragonato ad Ulisse, mentre lo scrittore appare come Telemaco, il figlio alla ricerca di questo padre, sconosciuto, lontano ed irraggiungibile. In un secondo momento, invece, il paragone è tra Jay ed il vecchio Laerte; non più la figura austera, forte ed inarrivabile ma un anziano bisognoso di protezione, più debole e insicuro di quanto non sia apparso a Daniel nel corso della vita.
L’autore dal descrivere, con un linguaggio tra l’altro molto semplice, una grande opera come l’Odissea, narrando del rapporto tra padri e figli (Laerte e Ulisse e poi Ulisse e Telemaco) mette il lettore a conoscenza della propria realtà, delle sensazioni, dei turbamenti nati dal confronto con questo austero genitore, che fin da quando era piccolo appare invincibile ed inattaccabile, un muro invalicabile, che però poi si rivela più umano, più bisognoso di protezione di quanto anche lui stesso pensi.
Dal punto di vista formale è un libro che affronta temi importantissimi e complessi con un linguaggio semplice e comprensibile, soffermandosi spesso sull’etimologia di determinate parole.
La lettura di questo libro mi è apparsa veramente fluida, benché sicuramente non adatta a tutti, piana di nozioni, di vocaboli in greco antico, a tratti anche molto didascalica, ma per niente noiosa, né ridondante, anzi molto piacevole. Mi ha risvegliato i ricordi liceali: del poema classico, del pensiero dei greci, fornendomi nozioni nuove e molti spunti di riflessione. Particolarmente interessanti sono anche le varie traduzioni in inglese della parola “viaggio”, con le molteplici sfaccettature e diverse interpretazioni.
Il parallelismo tra questo romanzo e l’Odissea è singolare: Omero compie continui flashback, salti temporali e spaziali, così come anche l’autore che, dalla descrizione delle lezioni tenute durante il proprio seminario, arriva a parlarci del viaggio in Europa, e poi di nuovo del padre da giovane e poi rimanda ancora ad episodi della propria infanzia, fino a raccontarci dei giorni che seguono il rientro dal viaggio, delle interviste ai parenti (proprio come Telemaco parte da Itaca per conoscere e chiedere del padre a coloro che si erano imbattuti sul suo cammino).
Ci son due temi a me molto cari, per i quali questo romanzo autobiografico mi ha coinvolto ancor più di quel che avrei immaginato: il viaggio come metafora della vita e la passione per la letteratura.
A proposito di quest’ultima, essendo una grande divoratrice di libri e romanzi di vario genere, una delle frasi che più mi hanno colpito, è stata quella pronunciata da Jay, il padre dello scrittore, anche lui grande lettore, e che ho scelto come titolo di questa recensione.
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Origine ed identità perdute
Che cosa veramente sia e rappresenti “ L’ Odissea “ vissuta e riproposta attraverso un parallelismo tra storia e personaggi in un romanzo che ridiscute l’ intricato rapporto padre-figlio ( Daniel-Jay, Telemaco-Ulisse ), ma che tratta anche di altro.
È questo l’ intento di Daniel Mendelsohn, che, servendosi della propria esperienza di studioso di lettere classiche, traduttore e docente universitario, rivisita e ridiscute le tappe di una vita al fine di una riscoperta personale e relazionale in un viaggio della conoscenza.
Si cerca un parallelismo tra idee e contenuti con un poema che è una storia di padri e figli oltre che di mariti e mogli. Ed allora, in un romanzo costruito su una trama esile, la partecipazione dell’ anziano padre Jay, matematico d’ eccellenza, ad un seminario tenuto dal protagonista e narratore della storia, il figlio Daniel, sui temi del grande poema omerico, è proprio la rivisitazione dell’ Odissea a suscitare un certo interesse e spunti di riflessione in un testo altrimenti fragile e balbettante.
L’ infinito peregrinare di Odisseo si traveste in viaggio della scoperta attraverso le stagioni della vita, dalla nascita alla morte, e lui è l’ uomo del dolore, versatile, fragile, riflessivo, enigmatico, dalla lacrima facile.
Un percorso accidentato nella magnificenza della cultura classica e di una lingua ( il greco antico) ricca di sfumature e dettagli filologici, un moto perpetuo che non segue una linea retta, un insieme concentrico e circolare di storie, una trama costruita su flashback, digressioni, artefatti.
L’ autore svela l’ iter omerico sfogliando ogni singolo libro del poema, che ha inizio con la ricerca del padre ed il processo di maturazione da parte di un figlio che non lo ha mai conosciuto realmente affermando che pochi figli sono uguali ai padri, i più sono peggiori e solo pochi migliori.
Durante la gioventù di Daniel Jay è stato assente, rigido, schematico, introverso, non ha mai pronunciato la parola amore, contrapponendosi ad una madre estroversa, piacevole, divertente.
Da sempre in casa si è vissuta una certa tensione attribuendo ( da parte di Jay ) una importanza maniacale all’ istruzione fino al fatale innamoramento per lo studio della lingua greca.
A Jay non è mai piaciuta la figura di Odisseo, un uomo da lui ritenuto debole ed inerme, un eroe antieroe, di continuo assistito dagli Dei, lacrimoso, ingannatore, bugiardo, baro.
Per contro di se’ dice di non avere mai barato ne’ mentito, ma quante facce possiede un padre e quale quella vera? In fondo i genitori ai nostri occhi si mostrano misteriosi quanto noi non lo siamo ai loro.
Proseguendo nel viaggio parallelo della scoperta e della conoscenza ( apologoi ), l’ Odissea affronta il tema della riconciliazione con il passato per aprirsi al futuro rivelando quanto il viaggio sia più importante della meta fino al tanto sospirato momento del ritorno ( nostos ).
I temi del poema riguardano anche identità e riconoscimento ed affrontano il cambiamento del proprio aspetto e del come ci si senta, che cosa si percepisce di se’ e che cosa vedono gli altri con un epilogo che sottolinea l’ importanza del linguaggio vista l’ inaffidabilità del corpo, il mutamento esteriore ed il mantenimento della sola identità.
Scopriamo come le piccole cose diano reale fondamento all’ intimità e come spesso consideriamo solo ciò che vogliamo senza accorgerci di quello che realmente abbiamo davanti.
Alla fine Daniel comprenderà che suo padre è stato veramente uno studente del suo corso intrattenendo sorprendenti relazioni amichevoli con gli altri studenti e che il suo passato va riletto alla luce del presente e grazie a testimonianze, interrogativi e ad un percorso a ritroso nel tempo ( come intraprese Telemaco ), che il suo matrimonio nel corso degli anni ha goduto di quella omophrosinee ( il pensare allo stesso modo ) che ha sconfitto il passare del tempo ( come il matrimonio tra Odissea e Penelope ), e quanto un padre conosca pienamente il figlio, mentre il figlio non può conoscere in tutto il padre.
Ed allora l’ Odissea non è che una biografia e che cosa è Odisseo se non il poeta della sua stessa vita? Nel poema omerico si narrano storie vere e presunte, ma così avviene anche nella quotidianità, in quella continua invenzione narrativa a cui tutti noi ci affidiamo per dare un senso al mondo che ci circonda.