Shosha Shosha

Shosha

Letteratura straniera

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Shosha è la compagna di giochi del piccolo Aaron Greidinger, figlio del rabbino della via Krochmalna, a Varsavia. A Shosha, che lo ascolta con la meravigliosa stupefazione dei semplici, Aaron racconta storie fantastiche, fiabe, storie d'amore che non oserebbe raccontare a nessun altro. Ma l'incanto si spezza. "Shosha" può essere letto in molti modi: come la parabola dell'ebreo sradicato, come la storia di un'educazione sentimentale, come il viaggio iniziatico di un artista, ma forse il modo più giusto è proposto dallo stesso autore. Alla domanda "Che storia è quella narrata in Shosha?" Singer rispose: "Una storia d'amore".



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Shosha 2014-09-28 04:23:02 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    28 Settembre, 2014
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Nostalgia

Singer è uno scrittore abilissimo nel rendere vivi i personaggi e un maestro nel costruire dialoghi perfetti.
Dal punto di vista storico questo romanzo ci dà una testimonianza molto interessante. Rende quel clima di antisemitismo diffuso, le speranze infrante dei giovani ebrei stalinisti, l'incombere di Hitler, il senso di isolamento mondiale della comunità ebraica (tutte le porte sono chiuse per loro) stretta tra Hitler e Stalin, e l'abbandono di Dio ( se vuole che il suo popolo si moltiplichi perchè Hitler?). Interessante la capacità del giovane scrittore io narrante Aaron di comprendere e anticipare gli eventi.
Uno dei personaggi, lo scrittore-filosofo Feitelzohn, poco sviluppato in questo romanzo, assomiglia al mago di Lublino. La vicenda ha al centro Aaron e un gruppo di donne: la fidanzata marxista, la cameriera, l'attrice ebrea americana, l' intellettuale e una amica d'infanzia con il cervello e il candore di una bambina (Shosha), tutte quante in qualche modo innamorate di lui, benchè Aaron non sembri particolarmente intraprendente o affascinante. Questo aspetto del romanzo non mi è piaciuto particolarmente. Aaron non ha il fascino del mago di Lublino, in certi momenti sembra in balia dell'ultima donna che incontra. Fatica a dire di no.
L'ambiente intellettuale dei caffè di Varsavia mi è parso velenoso, cinico, realisticamente descritto e un po' respingente. Anche l'amore per l'amica Shosha è un po' strano in un romanzo realistico come questo. Anche la giustificazione che dà al mondo(è l'unica donna di cui possa fidarmi) è strana. Probabilmente Shosha esprime la nostalgia per un mondo che si è fermato nel tempo o che è stato fermato nel tempo nella sua crescita conservando nella memoria bellezza e candore delle cose incontaminate dell'infanzia.
Della storia la cosa più interessante non è la vicenda, la trama ma quello che sta tra le righe, i pensieri e le idee dei personaggi, il mondo che si intravede e la chiave di lettura che ne danno Aaron e i vari personaggi. Interessante l'ironia dei dialoghi con la fidanzata stalinista Dora e il suo compagno.
Una cosa che colpisce nei romanzi di Singer è come spesso i suoi personaggi vengano posti davanti al dilemma se lasciare la Polonia. Ad Aaron viene ripetutamente offerto di poter andare negli USA e lui rifiuta ogni volta per poi accettare alla fine ma portandosi dietro Shosha, la giovane moglie. E' come se Singer rimettesse ogni volta in discussione la sua scelta personale e in qualche modo desiderasse condividere il destino di chi è rimasto o portarsi dietro qualcosa di più di quel mondo. Questo è un'aspetto terribile e una ferita inguaribile della sua vicenda umana resa molto bene nella famiglia Moskat dove tutti i personaggi restano lì a Varsavia con Hitler alle porte. Al lettore immaginare che fine faranno. In Shosha, Aaron si porta dietro l'amica-moglie ma la perde nel viaggio verso gli USA. Chissà che il libro non sia una mano tesa attraverso il passato verso qualcuno lasciato a Varsavia, probabilmente verso tutto un mondo che è stato cancellato lasciando nei sopravvissuti, soprattutto in chi se ne è andato in tempo, un incolmabile senso di colpa.

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Di Singer consiglio La famiglia Moskat e Il mago di Lublino
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Shosha 2013-08-25 18:30:36 antonelladimartino
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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    25 Agosto, 2013
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HITLER NON È ANCORA ARRIVATO

Varsavia, primi decenni del novecento. Lo stile impeccabile dell’autore ci conduce dai cortili alle stanze del ghetto ebraico, dove prospera un’infinità di mondi diversamente poveri. Il piccolo Arele cresce tra libri e dottrina nella casa del rabbino, oppresso dal peccato che si nasconde ovunque: nei cibi, nei tessuti, nelle parole. I ragazzi del cortile lo prendono in giro, ma lui ha l’amicizia di Shosha, bambina dolcissima resa ingenua da una misteriosa malattia. In casa di Shosha, Arele scopre i giocattoli, le matite per disegnare, i colori dell’allegria e i profumi del buon cibo: per la prima volta, prova una vita che non è soltanto un corridoio verso l’aldilà.

Il viaggio prosegue nell’età adulta di Shosha e Arele, che nonostante le amanti di lui e la diversità di lei si ritrovano, intrecciando un amore molto più che insolito. L’autore narra la storia d’amore e di morte con passione e mestiere. Le sue parole ci guidano nelle tre dimensioni dello spazio, ci restituiscono sensazioni ed emozioni già vissute, ci avvolgono nelle paure e nelle bellezze del tempo, ci trascinano all’interno nelle letture e intorno alle tavole imbandite.

Tra i suoi amici e le sue amanti, ricchi di mezzi economici e/o di spirito, Arele è soprannominato Tsutsick. Insieme a loro, spaziamo tra i frutti maturi del pensiero e della spiritualità di un popolo che attende la catastrofe. Insieme a loro conosciamo meglio il protagonista, alter ego dell’autore. Tsutsick deve affrontare un periodo storico terribile senza fede, senza ideologie, senza illusioni sulla bontà del genere umano. Tsutsick non crede più in Dio, non ha mai creduto in Stalin, non spera nei dissidenti comunisti e non riconosce nemmeno la bontà delle masse: l’uomo, anche quando è povero e debole, può essere più feroce d’una belva.

Tsutsick non si stupisce nel vedere il disprezzo iniziale di amici e parenti nei confronti di Shosha, la sua sposa, la giovane donna che ha conservato il candore e la generosità dell’infanzia, incapace di tradire e di odiare. Lei, che racchiude il lato buono dell’umanità, gli dona l’ultima fede possibile. Lei è tutto ciò che gli rimane. Per lei, Tsutsick arriva a rinunciare alla salvezza.

I personaggi di questo romanzo sono gestiti con l’astuzia d’un artista burattinaio: nei loro racconti, nei loro sogni e nelle loro paure incontriamo la filosofia del grande ebreo eretico Spinoza, i paradossi della morte, le contraddizioni della religione. Insieme a loro, stretti tra Hitler e Stalin, assaporiamo l’attesa della catastrofe, e comprendiamo un popolo che non può abbandonare i suoi affetti, che non ha mai combattuto prima. Ritroviamo anche un vasto assortimento di scelte e di pratiche religiose, la suggestione dei racconti popolari, la forza di una tradizione sempre viva.

Isaac Bashevis Singer, Premio Nobel per la Letteratura nel 1978, scriveva in yiddish. La sua scrittura è arte: colta e complessa, piacevole e sorprendente. Il mondo degli ebrei polacchi “prima di Hitler” è narrato con la grazia precisa di un miniaturista, ma anche con la sintesi di pennellate rapide e incisive, ma morbide anche nella tragedia. La storia di allora, ricostruita con tale sapienza, riesce a illuminare il presente.

Un capolavoro. Non perdetelo.

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classici, grandi romanzi, grandi storie.
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Shosha 2013-04-08 16:13:49 petra
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petra Opinione inserita da petra    08 Aprile, 2013
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SHOSHA


Sono rimasta letteralmente ammaliata da questo romanzo di Isaac Singer: una narrazione che sa coinvolgere e incantare come poche.

Shosha è un romanzo che ti rimane sottopelle, una vicenda che sa parlare di sensazioni e di mondi contrastanti, di miseria e nobiltà, di passioni e tenerezza. La vita di via Krochmalna, strada del ghetto ebraico di Varsavia dove il protagonista è nato, rappresenta il cuore di un’infanzia lontana e mai dimenticata, culla di un sentimento sorto nei primi anni di vita e che di quel passato porta con sé la freschezza e la purezza. E davvero via Krochmalna è un mondo a sé, pulsante di suoni e dicolori, ove convivono pacificamente scuole religiose ebraiche, mercanti, prostitute e religiosi : un grande affresco, variopinto e poetico di una vita caotica ma genuina, lontana dall’erudizione letteraria che forse ha inaridito il cuore del protagonista, lo scrittore Aaron Greidenger.

Per Aaron, che ha viaggiato e studiato molto, che ha avuto numerose donne e che ha conosciuto tanti intellettuali, il ritorno verso il mondo delle proprie origini, verso via Krochmalna, e verso Shosha, l' indimenticata amica d'infanzia, è sicuramente una follia, ma una follia necessaria. Egli infatti troverà nell'affettività immediata e spontanea di Shosha un rifugio sicuro all'inquietudine e al senso di profonda instabilità che lo attanagliano da sempre. Nessuno all'infuori di lei, giovane donna rimasta bambina nel corpo e nello spirito, e niente come l’ambiente di via Krochmalna possono restituirgli quella sensazione di pienezza e di armonia con la realtà esterna, di amalgama con l'universo intero e con la storia, tormentata, degli anni antecedenti la seconda guerra mondiale.

-Non sei pazza
-Che cosa sono?
-Un'anima dolce.

Una narrazione davvero magistrale, suggestiva e accattivante, che mi ha fatto immediatamente amare questo autore.

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