Schegge
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Recensione della Redazione QLibri
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MACERIE INTERIORI
Ismet Prcic è emigrato dalla Bosnia in guerra e ora alle soglie del terzo millennio si trova nella California meridionale: ma chi è Ismet Prcic? E’qualcuno che è stato tradito proprio da se stesso, quando nel 1995 la BBC gli fa vedere da uno schermo televisivo in Inghilterra le immagini di un Paese il suo, la Jugoslavia, mentre viene soppresso dalla crudeltà della Storia. Nel momento in cui la sua città, Tuzla, la famiglia, il primo amore e il suo mondo tutto se ne sono andati in frantumi sotto le bombe e i colpi dei cetnici, lui ha voltato loro le spalle, rifiutandosi di assistere a un‘agonia irreversibile. Tuttavia andarsene non ha significato salvarsi ma semplicemente condannarsi a una condizione di esule in una terra dove persone e cose non riescono ad avere consistenza e stabilità. “Schegge” è lo sforzo forse vano di tornare indietro, di recuperare ciò che è perduto, di trasformare l’assenza in presenza: l’impresa sconfina nel delirio, nell’allucinazione, giacché il ricordo, il rimpianto di non esserci stati possono essere pagine scritta, rievocazione, diario intimo ma non vita reale. Questo processo di interiorizzazione di un evento bellico percepito sotto pelle più che vissuto rende originale la rappresentazione delle guerra: le macerie di cui si parla in “ Schegge” sono nell’intimo, sono i sensi e l’animo a essere ridotti a un cumulo di rovine, crolli di città e stragi restano sullo sfondo ridotti a pochi cenni essenziali. Ecco perché le memorie disordinate di Ismet si confondono con quelle di un suo alter ego, Mustafa, incarnazione del senso di colpa o ricordo di un soldato conosciuto per caso e mai dimenticato: Mustafa l’esperienza delle trincea l’ha vissuta, è stato costretto dai cetnici a tagliare la gola al fratello per non essere ucciso. Ismet e Mustafa siano o no la medesima persona fanno parte di un’umanità che intraprende “ viaggi epici dal nulla al nulla” nella speranza che “ ci sia qualcuno, qualcosa là fuori”, che quando sdraiati sulla schiena guardiamo il cielo quello sia il “volto di Dio”.