Partenza e ritorno
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PiCCOLE REALTA' EDITORIALI
Ritengo doveroso prima di dire qualcosa del bel libro dello scrittore ungherese György Konrad fare un cenno al piccolo editore di Rovereto nel trentino Keller che ci consente di scoprire testi ed autori che altrimenti ci resterebbero preclusi.
Un esempio è proprio questo brevissimo libro autobiografico in cui György Konard parla dell’Olocausto, dunque di un argomento su cui, a torto, crediamo di sapere tutto. In “Partenza e ritorno” a rivivere e a raccontare in prima persona il tragico evento è lo scrittore bambino ebreo di undici anni: nella cittadina ungherese dove vive con i genitori benestanti egli vede suo padre varcare il cancello di casa portato via dalla Gestapo, sua madre scomparire, e tutta la comunità svanire nel nulla. Quanto a lui, grazie a una provvidenziale fuga da una zia a Budapest riesce a scampare alla sorte riservata a tutti i suoi compagni di classe, ovvero la camera a gas ad Auschiwits. Il campo di concentramento resta però sullo sfondo: al centro del racconto vi sono piuttosto gli effetti collaterali, anche molti anni dopo i fatti, della decimazione di un intero popolo sui sopravvissuti. Uno stile sobrio concentrato sui dettagli che riprende in istantanee folgoranti come in un quadro o nella scena di un film, lo stupore, l’orgoglio ferito, la sensazione di desolazione e di vuoto di chi ha vissuto sulla propria pelle, prima ancora di diventare adulto, quegli eventi. Emergono figure tragiche, dipinte in pochi tratti essenziali, e persino l’impossibilità introiettata di abbandonarsi al proprio dolore: ” In caso di pericolo l’essere umano diventa pragmatico e pensa alla morte solo se si presenta concretamente, come quando gli viene puntata una pistola alla tempia. In quell’istante si rende conto che è possibile morire. Poiché si diventa adulti nel momento in cui ci si confronta con la propria morte, io sono adulto dall’età di undici anni. Può succedere anche prima, o più avanti con l’età, o anche mai”