Non odierò
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Palestinese, Izzeldin Abuelaish è nato nel 1955 a Jabalia, il più grande campo profughi della Striscia di Gaza, dove risiede. Medico, ginecologo, esercita la sua professione sui due versanti della “frontiera”, in Israele e in Palestina, per ideale di pace. Nemmeno dopo la tragedia che lo ha colpito ha smesso di credere che la pace tra israeliani e palestinesi sia possibile, né di prestare la sua opera sia a Gaza che in Israele. Nell’ottobre 2009 ha ricevuto il Common Ground Award per il suo contributo in favore della riconciliazione fra palestinesi e israeliani. È stato candidato al premio Nobel per la pace. Ha istituito la fondazione Daughters for Life, che si occupa di programmi di scolarizzazione, formazione universitaria e salute per le giovani donne in Medio Oriente.
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Non odierò
Nell’opera l’autore si racconta. Izzeldin Abuelaish è un medico, specializzato in ginecologia. Si è laureato in medicina all’Università del Cairo e successivamente ha lavorato in ospedali e seguito corsi di specializzazione in Arabia Saudita, Italia, Belgio, Stati Uniti, Afganistan, Israele. La sua specializzazione è nello studio dei casi di infertilità delle coppie. Che abbia lavorato in Israele è veramente un evento speciale, perché il Dr. Abuelaish è uno dei pochissimi palestinesi tutt’ora ammessi a lavorare in un ospedale israeliano.
L’autore è nato infatti nel 1955 a Gaza, dove la sua famiglia si era rifugiata dal 1948 quando i soldati israeliani avevano confiscato tutte le terre e i possedimenti degli Abuelaish nel paese di origine, Houg, vicino a Sderot, nella parte meridionale di Israele. Nel libro il medico racconta per filo e per segno i molteplici episodi della sua infanzia, fatta solo di miseria e assenza di beni materiali ma ricca di amore da parte dei suoi genitori e dei suoi tanti fratelli.
Grazie ad una forza di volontà non comune, sostenuta da una sincera fede in Dio e nella bontà dell’animo umano, Abuelaish con fatiche inimmaginabili per i nostri figli, riesce a diplomarsi e ad ottenere una borsa di studio per frequentare la facoltà di medicina al Cairo. Il sogno della sua gioventù si sta avverando.
Sullo sfondo del racconto ci sono oltre quarant’anni di conflitto medio orientale e la storia di un popolo, quello palestinese, di fatto abbandonato ad un destino che sembra non interessare a nessuno.
Dopo la laurea in medicina, l’autore inizia un percorso fortunato di carriera che lo porta a lavorare in diverse parti del mondo. A casa, a Gaza, rimane sempre la moglie Nadia che nel tempo arricchisce la famiglia con otto figli.
Il desiderio di Abuelaish è duplice: da un lato quello di migliorare le condizioni sanitarie del popolo palestinese che a Gaza vive in condizioni igienico sanitarie disperate. Dall’altro cercare tramite la medicina e la scienza di tendere un ponte con l’altra parte, gli israeliani, soprattutto medici e uomini di cultura che Abuelaish ha nel tempo conosciuto e apprezzato ricevendone stima reciproca.
Tutto sembrava andare nella giusta direzione anche se vivere a Gaza rimaneva molto difficoltoso soprattutto per la sua famiglia sino a quando nel giro di pochi mesi accadono due eventi che segnano la vita dell’autore: il 16 settembre 2008 muore di leucemia fulminante la moglie Nadia. Infine il 16 gennaio 2009, in pieno attacco Israeliano – operazione Piombo Fuso – un carro armato israeliano spara per errore un colpo di cannone contro la casa del medico uccidendo contemporaneamente le prime tre figlie oltre ad una nipotina. Altri figli e familiari rimasero gravemente feriti. Abuelaish praticamente non venne colpito neanche da una scheggia. Perché? Si chiede da allora l’autore a me niente e alle mie figlie la morte?
Dopo quell’episodio Abuelaish scrisse il libro: Non odierò. Cito a pag. 218: “La vendetta, una malattia endemica in Medio Oriente, non me le restituirà (le figlie, n.d.r.). E’ importante provare rabbia dopo eventi del genere, rabbia che segnala che non accetti quello che è accaduto, che ti incita a fare la differenza. Ma bisogna stare attenti a non cadere nell’odio. Il desiderio di vendetta e di inimicizia servono solo ad allontanare il buon senso, accrescere sofferenze e prolungare il conflitto. “ E verso la fine del libro ancora l’autore: “Ho perso tre splendide figlie ma ho la fortuna di avere altri cinque figli e possiedo il futuro. Credo che Einstein avesse ragione quando diceva che la vita è come andare in bicicletta: per restare in equilibrio bisogna continuare a pedalare. Io continuerò a pedalare ma ho bisogno che voi vi uniate a me in questo lungo viaggio.”
Non conoscevo la storia del Dr. Abuelaish, ma quando l’ho ascoltato raccontarla di persona e poi ho visto su YouTube i video dell’attentato alle figlie, sono rimasto veramente commosso dall’ umanità di quest’uomo che merita di essere conosciuto in tutto il mondo. Il libro vale una lettura attenta e meditata e sicuramente ci aiuterà a meglio comprendere il mondo nel quale viviamo.
Indicazioni utili
LIBRO INDISPENSABILE ( E BELLISSIMO)
Il libro racconta in autobiografia una straordinaria testimonianza di vita e di pace, tutta racchiusa in questa frase:” Ho perso le mie figlie, e nonostante la rabbia e lo sconcerto so che non odierò. ” Sulla figura di Izzeldin Abuelaish, medico ginecologo nato a Jabalia, il più grande campo profughi della Striscia di Gaza, ci sarebbe tantissimo da dire, mi limito qui a ricordare che è stato proposto come premio Nobel per la pace e che, nemmeno dopo la tragedia che lo ha colpito, ha smesso di credere che la pace tra israeliani e palestinesi sia possibile, né di prestare la sua opera di medico sia a Gaza che in Israele, primo medico a esercitare la sua professione sui due versanti della “frontiera”. Il libro è molto forte, coinvolgente, fa arrabbiare e commuovere, ma, soprattutto, devo dire che fa riflettere. Lasciandomi, insieme all’infinita tristezza di tante morti di innocenti, assurde da una parte e dall’altra, la meravigliosa testimonianza di questo grandissimo uomo, che propone ai politici di “costruire ponti di pace, non muri” e alle persone di” non giudicarsi senza sapere nulla l’uno dell’altro, ma di essere mentalmente aperti da volersi conoscere, cominciando a rispettare le reciproche differenze e, soprattutto, cominciando a rendersi conto di quanto si è simili.” Quanto c'è bisogno di queste parole, di queste storie... Oggi ognuno guarda male chiunque sia diverso da sè, solo per il fatto che è diverso, ma in realtà siamo tutti un po' meno "diversi" di quanto crediamo. Si vede bene nelle disgrazie, quando si superano tutte le barriere per aiutarsi a vicenda. Izzeldin ha visto, in quanto medico, che negli ospedali i pazienti, israeliani e palestinesi, imparano a conoscersi e ad apprezzarsi a vicenda, superando le iniziali diffidenze . E se succede in ospedale.... Perchè non può succedere nella vita? Questo il magnifico interrogativo che lo scrittore si pone e ci pone, arrivando a compiere una scelta fondamentale per quanto riguarda il suo percorso di vita: ha perso le figlie, è un uomo distrutto, ma sceglie di non abbandonarsi a odio e vendetta perchè vuole che la morte delle sue figlie sia come un sacrificio per evitare che queste cose succedano ancora. Il capitolo in cui Izzeldin fa questa scelta, solo, in mezzo alle macerie e con l'animo devastato è veramente toccante, non nascondo che la commozione ha avuto a volte il sopravvento sulla lettura. Questo è un libro "vivo", attuale, struggente, problematico e tremendamente umano. Mi sento fortunata per averlo letto , mi ha arricchito moltissimo e lo consiglio vivamente a tutti.