Murata viva. Prigioniera della legge degli uomini
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Subire la tradizione...per vincerla
Accadono ancora cose simili nel nostro tempo?
Questa la domanda che spontaneamente è nata e si è sempre più affermata nella mia mente pagina dopo pagina durante la lettura di questo toccante libro.
Ho scritto libro in senso generale, non ho scritto romanzo, perché appunto non è un romanzo ma un’autobiografia che potrebbe anche sembrare irreale per quanto crudele.
Leila (nome di fantasia) è magrebina ma vive in Francia con la famiglia. Ma della Francia ha solo il clima perché la libertà, l’educazione, la disciplina, i diritti, le speranze, le tradizioni non sono quelle occidentali ma quelle del suo Paese cui la famiglia la sottopone con rigorosa attenzione.
Al punto che già da piccola viene data in matrimonio ad uno sconosciuto “per volere della famiglia”.
Questo sarà solo il proseguimento di una vita da incubo, incubo iniziato già tra le pareti della sua casa natale. Vita caratterizzata dalla predominazione dell’autorità maschile nella persona del padre, dei fratelli, del marito al punto da annientarne i diritti, la dignità, la donna, l’essere umano.
Il libro scorre molto veloce ma gli aspetti che vengono narrati fanno riflettere sulla condizione della donna musulmana molto ma molto distante da quella che potremmo immaginare con una mente occidentale.
Ho provato un grande senso di rabbia perché avrei voluto fare qualcosa ma ovviamente è rimasto solo il disagio, aggravato anche dalla totale (comprensibile) indifferenza di chi invece avrebbe dovuto (leggasi la madre).
Ma a differenza di molti altri libri letti sull’argomento, questa volta non c’è rassegnazione, non c’è un continuo e inesorabile assorbimento della propria infelice situazione assumendone il ruolo di vittima.
Questa volta no.
Non per Leila.
Leila reagisce con tutte le sue forze.
Reagisce con la forza di una bambina contro i dettami del padre e dei suoi numerosi fratelli.
Reagisce con la forza di una ragazza contro i sopprusi di un marito imposto e di una suocera invadente e devastante.
Reagisce con la forza di una donna che vuol far di tutto affinché questa situazione non possa in alcun modo ripetersi nel suo bambino ne come vittima ne sopratutto come artefice.
E vince.
La sua straordinaria caparbietà e voglia di vivere la porteranno a vincere la sua battaglia.
E alla fine anche a ritrovare, per la prima volta nella sua vita, la propria famiglia di origine.
Ma il prezzo da pagare è stato molto molto caro. E in fondo la sua famiglia non ha poi tutte le colpe perché vittima a sua volta delle tradizioni magrebine.
Oggi Leila, come si legge già dalla prefazione al libro, vive in una località segreta.
A Lei e a tutte le donne come lei va la mia più profonda ammirazione.
Indicazioni utili
Sposata a forza
Agghiacciata. Arrabbiata. Delusa. Questi i miei stati d’animo mentre leggevo l’autobiografia di Leila (il nome è di fantasia, ma la sua storia è tragicamente vera).
Agghiacciata, perché la vita di Leila (nata in Francia da una famiglia marocchina) diventa un inferno sin da quando è piccolissima, non appena le nasce il primo di tanti fratelli maschi. Da quel momento Leila, pur essendo ancora una bambina, diviene l’aiutante della madre, la seconda donna di casa destinata a fare praticamente tutto. Perché i maschi (e sono tanti in famiglia, tra padre e fratelli) non devono fare nulla, quella è la legge. Che sia il riordinare dopo aver giocato, versarsi il caffè alla mattina (se Leila si attarda, i fratelli si siedono semplicemente a tavola e aspettano che sia lei a portare la colazione), lavare le tazze prima di partire, svuotare il portacicche dopo che loro hanno passato ore a fumare in soggiorno, e a conversare (mentre Leila, oltre a studiare, ha nel frattempo lavorato con la madre, e badato ai fratelli più piccoli). E le cose non peggiorano con il passare degli anni, anzi. E’ uno sprofondare in un girone sempre più nero, con crisi continue di Leila, che vorrebbe ribellarsi e viene risucchiata e annichilita.
Arrabbiata, perché non è possibile che nella Francia dei giorni nostri (ma queste cose potrebbero accadere anche tra le mura di un appartamento nel nostro stesso condominio)una giovane donna, una volta sviluppata, divenga per la sua famiglia e per la società che la circonda semplicemente una “membrana” che deve rimanere chiusa (scusate la crudezza, ma così è: finché Leila rimarrà vergine, avrà un valore; se no, sarà solo carne adulterata di cui disfarsi…); e così la verginità diviene l’ossessione di Leila, ogni contatto con estranei diviene sospetto, ogni conversazione con maschi che non siano padre/fratello diviene proibito, e basta che Leila si metta una gonna un po’ più corta o un filo di trucco per uscire perché i vicini mormorino, e i genitori siano costretti a portarla di corsa dal ginecologo, per avere il “certificato di imene intatto” da esibire a difesa del suo onore.
Delusa, perché (incredibile a dirsi) nella vita di Leila il ruolo peggiore lo giocano le donne. A cominciare dalla madre, che pure ricorda di avere avuto una vita-inferno identica e non fa nulla per risparmiarla alla figlia (tutte le sofferenze sono ripagate, se si ottiene la benedizione di avere tanti figli maschi!), fino alla suocera, orrenda figura di matriarca la cui vita ruota tutta intorno all’adorazione del figlio e per cui la nuora, una volta entrata in casa, diviene una sorta di serva personale, senza diritti e senza considerazione.
E purtroppo non è una storia di vittoria, perché Leila (forse) reagisce, ma l’inferno brucia ancora tutto intorno.