Mio fratello
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Recensione della Redazione QLibri
Gradisci un Bartleby?
"Non è semplice diventare uno spettatore" scrive Daniel Pennac nel suo ultimo libro, "Mio fratello". Pennac si riferisce al teatro, ma forse implicitamente anche alla vita: non è facile stare a guardare la vita, nel su bene e nel suo male.
"Mio fratello" è un brillante racconto divisi in tre macrotemi perfettamente alternati:
1. L'adattamento teatrale che Pennac ha portato in scena, pochi mesi dopo la morte del fratello Bernard, del "Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street" di Melville: opera riadattata in una lettura per un singolo interprete - Pennac stesso - e raccontata seguendo il flusso di pensieri del notaio che assume il famoso Bartleby.
2. Le "reazioni" del pubblico in sala. Dall'inizio alla fine, seguendo il ritmo della storia, Pennac analizza e sorride ai suoi spettatori: è uno spaccato molto bello dell'atmosfera che si respira a teatro, del pubblico che si immerge a tal punto nella storia da non riuscire a staccarcisi una volta usciti dallo spettacolo.
3. I ricordi, "che erano sensazioni", del fratello Bernard, della vita passata insieme, soprattutto delle cose dette - pochissime - e delle cose non dette - talmente tante da chiedersi "chi ho perso?".
Il filo rosso che unisce queste anime è proprio il personaggio di Bartleby, tanto particolare quanto impossibile da non amare: protagonista della piece teatrale, il preferito dai fratelli Pennac, tanto simile proprio a Bernard e quindi idea da portare in scena per una sorta di "continuità": portando in scena Bartleby Pennac sta ancora parlando con il fratello. La somiglianza tra i due appare sempre più chiara man mano si prosegue la lettura, e arrivarci così piano, accarezzando quasi i due uomini, penso sia la perla più bella dell'autore.
Soprattutto perché Pennac riconosce di parlare di un fratello che conosceva ma forse no: del quale ricorda alla perfezione gesti e sfumature, ma con cui non ha mai condiviso segreti, confessioni. Un fratello che ha vissuto la propria solitudine in silenzio, senza disturbare, lasciandosi dare l'etichetta più comoda per gli altri.
Devo ammettere che mi sono avvicinata a questo libro, per la sua peculiare composizione, un po' scettica. Nel giro di poche pagine mi sono ricreduta: lo stile brillante e al contempo delicato di Daniel Pennac trasporta in una storia di profondo amore tra fratelli, mai pienamente espresso. E insieme la storia dell'"umanità", con gli schemi e le domande e le curiosità da soddisfare sempre.
Mentre a volte "fin dall'inizio non succede quasi niente e non succederà più niente fino alla fine." E questa è la vita.
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Mio fratello
Un doppio omaggio al Bartleby di Melville e al fratello Bernard, la persona di famiglia migliore e più capace ma non quella che ha avuto più successo, sempre protettivo e tenero con il fratello Daniel , accomunato a Bartleby da una certa ritrosia. oltre che da reciproca simpatia. Un uomo Preferire di no di fronte al successo agli occhi di Daniel. Una figura mite e piena di fascino come Bartleby, che con Bartleby ora riposa tra re e consiglieri.
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"Gradisci un Bartleby?"
Perdere un fratello, insostituibile compagno e complice di un'intera vita. Come celebrare la persona che ti ha accompagnato e sostenuto lungo tutto il tuo cammino? Come riempire l'abissale vuoto e ritrovarne l'invisibile presenza?
"Passati sedici mesi, mi mancava ancora, ogni giorno. Lui però veniva spesso a trovarmi. Con garbo, devo dire. Discreto, si intrufolava dentro di me. Il cuore non accusava più il colpo. Le lacrime non c’erano più. Mio fratello arrivava all’improvviso e adesso il mio magone non lo cacciava più via".
Se sei Daniel Pennac, puoi provare a scrivere, a scrivere di lui. Ma è come se la memoria si rifiutasse, come se nulla di quel che affiora alla mente possa bastare per raccontarlo davvero, per farlo rivivere nelle parole, per ritrovarlo. La magrezza, l'ironia delicata, la pacata gentilezza, la disponibilità. Troppo poco di fronte alle sensazioni che i ricordi racchiudono.
In soccorso arriva allora il Bartleby di Melville, forse il personaggio più enigmatico e misterioso mai apparso sulla carta. Mite, solitario e taciturno, Bartleby non vuole niente, non fa niente, non soddisfa mai la curiosità di chi si interroga sui dettagli della sua vita e sulle motivazioni delle sue rinunce, dei suoi silenzi, dei suoi no. E così, con questo libro, Daniel Pennac non vuole certo rispondere ad alcuna domanda su chi fosse suo fratello Bernard bensì, attraverso la rilettura scenica di Bartleby intrecciata a brevi aneddoti e ricordi affettuosi, recitare la sua assenza, evocarne una sfumatura, ritrovare un'emozione, abbracciare una malinconia.
Per una vita, Bernard l'ha accompagnato con la sua presenza discreta e silenziosa, fatta di umorismo, di sostegno e poche confidenze. Andandosene, a Daniel rimane il vuoto della sua compagnia e del suo affetto, ma anche una domanda, destinata a galleggiare per sempre tra i non detti di una vita, tra quelle battute ironiche che hanno mascherato le rispettive solitudini. Chi ho perso? Come Bartleby, Bernard resterà per noi un mistero senza voce, capace però di arrivare al nostro cuore attraverso parole di amore sincero e rispettoso. Un romanzo intimo ed emozionante.
"Per tutta la vita avevamo recitato insieme. Salivo sul palcoscenico come se gli restituissi il biscotto allo zenzero che un giorno mi aveva offerto: Gradisci un Bartleby?".
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Bernad
«”Mi stai dicendo che hai sacrificato la tua morte per me? La resurrezione come sacrificio supremo? Grazie tante!”
“Puoi dirlo forte. Vivere non è mica uno scherzo”»
Dopo la morte di Bernard, il fratello più grande di cinque anni, Daniel ha cercato di scrivere, di elaborare con le parole il lutto, la sua prematura scomparsa a causa di un intervento chirurgico con complicazioni impreviste – e si scopre nella narrazione, anticipato da un tentativo di suicidio determinato da un disagio esistenziale dalle cause ancora ignote – , eppure non vi riesce. La sua mente, nei mesi successivi alla morte, è come paralizzata. Ha dei vuoti, non ricorda niente. Poi, a distanza di quasi dieci anni, durante la guida, un sorpasso inaspettato da una macchina terza rossa fiammeggiante alla sua vettura sulle autostrade nizzarde, rompe il blackout e Pennac sa che è giunto il momento, il momento di scrivere di questo legame, di questo bene così profondo. L’episodio, coincide, nemmeno a farlo di proposito con la messa in scena de “Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street”, un personaggio in cui lo scrittore rivede il fratello sentendolo nuovamente vicino seppur non fisicamente. Ed è tramite proprio questo personaggio che “Mio fratello” prende vita, forza e sostanza. Pennac, recitando la parte del notaio, ci trasporta nella Wall Street di Melville, osserva le reazioni del pubblico, e intervalla agli aneddoti della sua infanzia e età adulta con Bernard i passaggi più significativi della rappresentazione teatrale. Entriamo così nella mente di quest’ultimo, conosciamo la sua visione e il suo modo di affrontare la vita e le vicissitudini che questa riserva, le sue reazioni e la sua replica di fronte a reazioni eccessive e quindi inutili. E respiriamo ancora l’ammirazione e l’affetto incondizionato del minore verso quest’anima così singolare e eclettica, tanto che lui e il personaggio di Melville sono percepiti quali immuni e estranei alla quotidianità che li circonda. La loro dimensione, il loro essere è tale che non possono che vivere come vorrebbero tenendo conto dell’imprevedibilità che la vita stessa è.
«Era ingegnere aeronautico, specialista delle vibrazioni. Avrebbe preferito l’Ente forestale nazionale, gli alberi e gli animali. Sarebbe stato un bravo etologo. I concorsi di ammissione decisero diversamente. Così è la vita, a volte, nelle famiglia che accedono alle Grandes Écoles; non sei ammesso qui, ma sei ammesso lì, avresti voluto occuparti di uccelli e invece ti occupi di aerei. Una preferenza? Ma cosa sono questi capricci di fronte al prestigio da salvaguardare? […] Il concetto di probabilità aveva un grande ruolo nella sua vita: poiché al peggio non c’è scampo – una questione i probabilità – , non era il caso di drammatizzare. Facevamo molte battute, lui e io, sul gioco delle probabilità. Il giorno prima del mio esame per la patente mi consigliò di convincere l’esaminatore che era molto meglio attraversare gli incroci a centottanta che a venti chilometri allora. “Nove probabilità in meno di scontrarsi con un altro veicolo, signor esaminatore”.»
Un testo ricco di spunti di riflessione, ricco di emozioni e sensazioni, che parla da solo per restare per sempre. Si respira la forza del legame, si respira l’autenticità, si respira l’amore, senza mai cadere nel melenso e dove lo scontato e il prevedibile sono lontani anni luce.
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Bernard il fratello, Bartleby lo scrivano.
L’ultimo libro di Daniel Pennac vuole essere soprattutto un commovente ricordo dell’amatissimo fratello Bernard, più anziano di 5 anni, deceduto dopo un intervento chirurgico mal riuscito. Nel fratello Pennac vede una straordinaria somiglianza con Bartleby, impiegato in uno studio notarile newyorkese e personaggio protagonista del racconto di Herman Melville (“Bartleby lo scrivano”), considerato con il suo ossessionante e pacato “Preferisco di no” (“I would prefer not to”) una sorta di emblema o addirittura di eroe della resistenza passiva di fronte ad ordini banali od utilitaristici. Siamo nella Wall Street dell’Ottocento, e l’idea di Melville apparve quanto mai originale, tanto da indurre la critica a ritenerlo un precursore dell’esistenzialismo e della letteratura dell’assurdo. La vicinanza caratteriale tra Bernard e l’umile scrivano/copista Bartleby induce Pennac a mettere in scena, recitando la parte del notaio, il racconto di Melville, alternando capitoli in cui l’autore legge parti salienti del racconto a capitoli in cui analizza le reazioni degli spettatori e soprattutto ricorda lucidamente, con affetto ed ironia, episodi della vita del fratello, le sue reazioni, il suo modo di affrontare le realtà della vita, la sua rassegnazione di fronte all’inutilità di reazioni fuorvianti. Traspare dal libro di Pennac la profonda stima per il fratello, l’ammirazione per la sua singolarità, per la serenità e la pacatezza dei giudizi, per il suo affetto incondizionato. Accostandolo allo straordinario personaggio di Melville, Pennac coglie in entrambi un’affinità che li rende unici, estranei alle condizionanti vicissitudini di tutti i giorni, quasi imploranti, pur in umiltà e silenzio, di lasciarli vivere come vorrebbero, timorosi di alterare una loro conquistata entropia. E Pennac sottolinea come il mondo sia stato crudele con entrambi: il fratello morto in ospedale a seguito di un banale intervento eseguito da un giovane maldestro chirurgo, Bartleby lo scrivano rinchiuso in carcere per occupazione indebita dello studio notarile e ritrovato morto in un angolo di un cortile per rifiuto sistematico del cibo. Pennac è stato sempre uno dei miei autori preferiti, ma questa volta trovo veramente straordinaria la sua abilità nel raccontarci le storie parallele di Bernard e Bartleby: l’affetto sincero e tenero maturato negli anni per il fratello maggiore e la simpatia per il personaggio di Melville non lo esimono alla fine del libro di chiedersi CHI fossero in definitiva i due, quali personalità avessero e quali motivazioni misteriose li spingessero a comportamenti così poco comuni. Una domanda senza risposte, o forse sì: basterebbe leggere attentamente gli ultimi tre capitoli del libro.
“Ah! Bartleby! Ah, umanità!”.
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I would prefer not to
Mio fratello di Daniel Pennac è Bernard, uomo profondo e originale (“Evitiamo di aggravare l’entropia”) che cela dietro alla centralità del suo ruolo familiare e fraterno un disagio esistenziale (“Un tentativo di suicidio. Tentativo fallito. Se l’è cavata. È in ospedale. Lavanda gastrica”) sulle cui cause l’autore s’interroga.
Dopo la morte di Bernard, il ricordo dei momenti di vita comune viene condotto anche grazie all’adattamento teatrale del Bartleby di Melville: il racconto di un rifiuto opposto alla vita (“I would prefer not to. Anch’io, peraltro, trovavo che fosse una formula divertente. Eppure conoscevo la fine”) da parte di un bizzarro scrivano (“La sua algida e cadaverica noncuranza”) che in uno studio notarile convive con altri due scrivani – Tacchino (“Era pomeriggio… Tacchino era incandescente come un paiolo di rame…”) e Spigolo – e il commesso Zenzero.
Mio fratello è un’opera che si fa apprezzare sia per la costruzione che alterna pagine di ricordo a pillole di critica letteraria romanzata del racconto di Melville, sia per la capacità analitica di ripercorrere un amore fraterno che commuove e coinvolge senza mai essere melenso.
Giudizio finale: filadelfico, letterario, interessante.
Bruno Elpis
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Nel caso non l'abbiate letto, a questo indirizzo trovate il pdf del racconto di Melville:
http://www.iuav.it/Ateneo1/docenti/architettu/docenti-st/Scarpa-Lud/materiali-/Herman-Melville.pdf