Livelli di vita
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Livelli di vita di Julian Barnes
Finalmente un libro adatto anche ai palati più raffinati, che potranno cimentarsi con qualcosa di particolare e sopraffino, per poter riflettere e interpretare la realtà in un modo nuovo.
È un romanzo suddiviso in tre parti, tutte con titoli molto evocativi:
"Il peccato dell'altezza: è la parte che mi è piaciuta meno, perché è una sorta di resoconto storico su dei "nuovi Argonauti", che volando sulla mongolfiera cedono al peccato dell'altezza sfidando gli dei, finché sono costretti a tornare sulla terra e a fare i conti con il "piano orizzontale" al quale tutti noi siamo destinati. Questa parte è una metafora del nostro desiderio di staccarci dalla terra per esplorare orizzonti diversi, più alti, pur essendo destinati a farvi ritorno. La copertina del romanzo vede raffigurata questa mongolfiera con il suo movimento ascensionale che tende verso l'alto, che vuole rappresentare anche l’idillio tra un uomo e una donna. Perché l'amore, come il volo, ci innalza dalla nostra natura terragna, permettendoci di raggiungere vette altissime, anche se c'è sempre una zavorra che tende a riportarci a terra.
La seconda parte si intitola "Con i piedi per terra" e vorrei parlarne semplicemente citandone uno stralcio emblematico: "Siamo creature destinate al piano orizzontale, a vivere con i pedi per terra, eppure - e perciò - aspiriamo a elevarci. Da spettatori terragni quali siamo, qualche volta ci è dato di raggiungere gli dèi. Alcuni di noi lo fanno attraverso l'arte, altri con la religione; nove su dieci con l'amore. Ma se è vero che possiamo elevarci, allo stesso modo rischiamo di precipitare. Non sono molti gli atterraggi morbidi... Ogni storia d'amore è potenzialmente anche storia di sofferenza";
La terza, parte, intitolata "Perdita di profondità" è la più piena di tutto: del grande amore dell'autore per la moglie scomparsa improvvisamente per un cancro fulminante, del grande dolore per la sua perdita, della Sehnsucht (nessuna lingua è piena e completa come il tedesco), cioè lo struggimento, il desiderio inconsolabile per qualcuno che non abbiamo più, la nostalgia profonda per la mancanza della persona più importante della nostra vita. Inizialmente l'autore, subito dopo il lutto, fissa il suo sguardo sul dolore, sulla mancanza, sulla morte, nominandoli in modo da non perdere il ricordo della moglie (che diverrebbe una seconda perdita, dopo quella della moglie stessa). Il suo tentativo di tenerla ancora un po' in vita, continuando a parlarle, a credere nella sua presenza anche nella sua assenza, nella speranza che la verticalità del suo dolore, un giorno, divenga un dolore più orizzontale e smorzato (anche se consapevole che la propria vita non potrà più essere la stessa), fino al momento in cui, avendola interiorizzata, non ha più un bisogno continuo di nominarla.
Questo romanzo è un'analisi del dolore, ma credo sia anche un tributo alla moglie scomparsa; infatti l'autore dice di aver rinunciato al suicidio, perché in questo modo lei sarebbe morta per la seconda volta.
Il percorso dell'autore può ricalcare le orme di Orfeo, che scende negli Inferi, nei sotterranei della memoria e del sogno, per riportare in vita la sua Euridice; ma senza le illusioni che il mito concede, perché Barnes è completamente agnostico (per lui la morte "è solo l'universo che fa il suo mestiere"). E, come Orfeo, anche lui sceglierebbe di “perdere un mondo per uno sguardo”, girarsi è inevitabile.
Quella del volo, quindi, è anche una stupenda metafora dell'amore: prendere il volo in due, finché un giorno, si precipita, perché uno dei due muore e l'altro resta solo.
"Metti insieme due cose che insieme non sono mai state. E il mondo cambia".
L’incipit è a dir poco meraviglioso e ci apre a una dimensione fantastica, che può coincidere con il livello più alto della vita.
Bello, lo consiglio!