Legami feroci
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Relazioni familiari
Conosco con questo romanzo Vivian Gornick e, dalle prime pagine, apprezzo la scrittura indipendente e autonoma di questa scrittrice, legata liberamente al movimento americano femminista degli anni ottanta.
p.151
Il romanzo offre una testimonianza del carattere attivo e volontario della memoria. Immaginare il futuro non significa soltanto tenere a bada il passato che ringhia, ma presuppone l’analisi, la capacità critica, il discernimento, attraverso le tracce recuperate.
Nella memoria delle donne che diventano adulte, talvolta, gli uomini sono vagamente presenti. La protagonista ricorda il condominio “tutto ebreo” dove vive, da sei a ventuno anni, negli anni ’40 e ’50.
Ricorda i genitori vicini al partito comunista e le donne fiere, furbe, incontrollabili, illetterate, sboccate, ognuna assorbita come cloroformio. Donne che salvano, che perseguitano, che sono vittime. Come sua madre, capo del Comitato degli inquilini, con l’obiettivo di evitare gli sfratti per morosità.
Vivian Gornick riconosce la rabbia erotica come energia per esistere, per offrirsi attenzione, per prendersi cura di sé e delle altre. Con una prosa ironica e dolcemente pungente, l’autrice ricorda a sé e scrive storie di donne in via di liberazione dai mariti distrattamente violenti, dalla cultura maschilista e aggressiva, dai vicini ignoranti e arroganti.
I legami sono feroci perché vivi. Essi creano una intimità pedagogica: gli sguardi, le parole ascoltate, i fatti vissuti ampliano la coscienza del presente. “Qui una delle due di questo legame ci muore, pensai quel pomeriggio” (p.110).
È solo attraverso la relazione con la propria madre che si procede verso la coscienza e la conoscenza di sé e dell’alterità, anche attraverso gli ordini perentori: “i figli non vogliono bene ai genitori come a miei tempi”. “Tu sei mia figlia. Sei forte. Devi essere forte”. Questa madre tiene sotto controllo il dolore ed è “una cuoca di una competenza noiosa, puliva con la furia di un turbine, lavava come in preda al demonio.”(p.21)
Il delle donne esprime sempre la storia dell’attaccamento fra madre e figlia. La violenza è povertà, l’odio è difesa, il racconto è un antidoto alla paura, sì, “bisogna lasciarla vivere, l’infelicità, perché possa succedere qualcosa.” (p.38)
“Pensa come sarebbe bello se… immagina che…”: è un esercizio di sopravvivenza, è un modo per farsi compagnia e diviene uno strumento di libertà per ognuna di noi.