Le schegge
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Verità è finzione
“Come avevamo fatto ad arrivare al punto in cui ciò che volevamo dirci fluttuava nelle pause che dominavano la conversazione?”
Valeva la pena aspettare 13 anni per avere un nuovo romanzo da Bret Easton Ellis dopo il suo capolavoro, American Psycho! Anticipo subito che a me questo “Le schegge” è piaciuto moltissimo.
Il romanzo, di mole consistente (oltre 700 pagine) è un thriller psicologico che si potrebbe definire di autofiction. Difficile dire dove una sconfini nell’altra. Siamo in uno dei più rinomati licei di LA, la Buckley School, nell’autunno del 1981. Protagonista Bret e un gruppo diciassettenni studenti che tra una festa, un film, tanti alcolici, droga a fiumi e amori promiscui ma nascosti inizia a scoprire e a riconoscere impulsi omosessuali e a farci i conti nella vita dell’epoca. L’ambiente è molto ricco, impregnato da un forte senso di noia, i passatempi costosi, le case sono ville con piscina e servitù, i soldi e le auto di lusso sono la normalità. L’inutilità del vivere sempre in sottofondo insieme ad una narrazione diversa da parte di ciascuno. Ognuno fa la sua, non ci sono rapporti veri. Lo stesso Bret ad un certo punto impone a se stesso una diversa narrazione, comunque falsa. Tutto è vero e tutto è falso. La storia e i rapporti tra i ragazzi sono un gigantesco castello di carte pronto a crollare non appena il sottile filo di finzione che li tiene insieme cederà.
“La giornata diventava semplice una volta che fingevi, anzi, diventava più vera grazie al fatto che avevi cambiato atteggiamento; la recitazione diventava la realtà e influenzava ogni cosa in un modo che sembrava positivo. In effetti, era preferibile alla realtà.”
I protagonisti sono molto amici e vivono insieme la vita scolastica ed il tempo libero con molto in comune, sinceri solo all’apparenza. Falso è infatti il racconto che ciascuno fa all’altro e forse anche a se stesso. Questa sovranarrazione è molto bella e rende speciale l’atmosfera del romanzo. Tutto è narrato con estrema chiarezza, le scene di sesso non lasciano nulla all’immaginazione (proprio nulla), eppure è realmente la verità quella che scorre nelle pagine?
La storia procede, i fatti avvengono, ma non spostano di uno spillo l’immobilità del tutto. E la descrizione dello sfondo, che sfondo che tale non è, passa in primo piano, con la stessa importanza dei fatti. Ed è fatta benissimo.
La notizia all’inizio è che sta per arrivare in classe un nuovo compagno, Robert Mallory. La cosa passa sottotono, non desta interesse particolare nel piccolo gruppo di amici del quale Bret fa parte (due coppie, Bret e Debbie, Susan e Tom e alcuni altri compagni che gli girano intorno). Si pensa addirittura di organizzargli una festa di benvenuto.
Inizia poi a sparire una ragazza, non fa però parte del gruppo e non ci si fa troppo caso. I dettagli, macabri e terribili, vengono tenuti riservati dalla polizia che sta indagando. L’assassino viene soprannominato “il pescatore a strascico”.
Nel frattempo il protagonista, Bret, inizia a sentirsi a disagio e disturbato dal nuovo compagno che pare inseguirlo e controllarlo fino a crearsene una vera paranoia. E mentre Bret vive in modo nascosto la propria omosessualità, dissimulandola grazie al suo presentarsi al mondo con Debbie, Robert Mallory sembra volerlo ostacolare anche in questo percorso con gli amici. Bret inizia a supporre che quanto racconta Robert in merito al suo passato non sia vero e che anzi nasconda molto che non racconta, anche del presente, al punto da averne quasi paura.
Poi scompare un compagno, Matt, con il quale Bret aveva avuto una storia sentimentale e sessuale. Viene ritrovato cadavere in condizioni orrende. Bret ritrova dettagli, indizi, e tutti e tutto porta a Robert Mallory. Nulla però inchioda definitivamente Robert, e il mondo legge supposizioni di Bret come un’ossessione. Robert infatti per il resto del mondo è un bravo ragazzo di bell’aspetto, gentile ed educato.
Bret inizia ad avere seriamente paura e al contempo impone a sé stesso di ritornare felice, entusiasta, senza alcun sospetto.
La storia è una continua raccolta di indizi: tutto porta a Robert e Bret ne è sempre più convinto anche se i suoi amici considerano follia la sua ipotesi e temono per la sua sanità mentale.
Come sempre però in questo genere di romanzi, nulla è vero di ciò che sembra. Ma quale è alla fine davvero la verità?
In alcune scene l’autore riesce a creare una tensione narrativa notevole e anche quando si rientra nella “normalità” la tensione che pervade il romanzo non cede. Il lettore si immedesima in Bret, si sente Bret, si convince con lui, legge gli indizi allo stesso modo.
Alcuni lettori hanno criticato l’eccessiva lunghezza del romanzo. Poteva “Le schegge” essere più breve senza perdere forza narrativa? Forse sì, forse una sforbiciata di 200 pagine non avrebbe penalizzato il romanzo lasciandone intatte le caratteristiche. Però la storia non pesa mai, anzi scorre e affascina esattamente così com’è, in perfetto equilibrio e tensione narrativa. Il lettore si immerge in un mondo tanto normale quando distopico, tanto tranquillo quanto pauroso, tanto vero quanto falso, dove si perdono i riferimenti tra normalità e ciò che non lo è.
Bello questo “Le schegge”, davvero molto bello e consigliato.
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Sesso, droga e... Los Angeles!
«[…] Molti anni fa mi resi conto che un libro, un romanzo è un sogno che chiede di essere scritto nello stesso modo in cui ci s’innamora di qualcuno: il sogno diventa irresistibile, non c’è niente che tu possa fare, e infine cedi e soccombi anche se il tuo istinto ti dice di battertela a gambe perché potrebbe trattarsi, dopotutto, di un gioco pericoloso – in cui qualcuno probabilmente si farà male.»
Bret Easton Ellis non lascia mai indifferenti. Chi già lo conosce sa che le sue opere non sono mai banali quanto provocanti e pungenti ma anche sconcertanti, per certi versi, chi non lo conosce vi si avvicina con quella giusta dose di curiosità e attrazione perché, si sa, come per lo scrittore scrivere è un po’ come innamorarsi, per il lettore il libro è un viaggio introspettivo che viene chiamato dal testo stesso perché spesso e volentieri non siamo noi a scegliere cosa leggere ma è il da leggere che sceglie noi.
Anche questa volta il suo è un ritorno in grande stile seppur a distanza di parecchi anni. Ci prende per mano Ellis e ci riporta negli anni ’80, anni in cui il narratore era adolescente e viveva in una metropoli californiana che diventa coprotagonista in quella che è una perfetta fiction narrativa mixata con tanti componenti di autobiografia. Non stupisce nemmeno la scelta di chiamare il protagonista con il suo nome e di munirlo di quel sogno di diventare scrittore. Tutto è costruito in perfetto stile Ellis.
In questo contesto conosciamo una serie di ragazzi appartenenti all’élite cittadina e iscritti alla Buckley, una delle scuole private più prestigiose. Sono persone abituate al lusso, a party alcolici a bordo piscina, a ville e sfarzi, all’uso di droghe e psicofarmaci, ad anestetizzare il dolore della quotidianità in ogni modo possibile, sono persone che vivono nel benessere più totale, in apparenza, ma sono anche persone sole. Abbandonate a se stesse, con famiglie assenti, incapaci di vivere nei silenzi che l’anima provoca e che la consapevolezza del vivere dona.
«E malgrado fossimo consapevoli del presunto razzismo del club semplicemente non davamo peso alla cosa, perché nel 1981 non ci era richiesto. Affermare che qualcuno di noi fosse politicamente impegnato avrebbe significato entrare nel territorio delle favole: eravamo adolescenti distratti dal sesso e dalla musica pop, dai film e dalle celebrità, dal piacere e dall'effimero e dalla nostra innocente neutralità.»
Da un lato conosciamo la Los Angeles del benessere e della perfezione, dall’altra quella che va oltre la facciata e che mostra le crepe di un sistema. Ma la vita non attende, passa. Oggi si è adolescenti, domani si è uomini e questo è forse uno dei passaggi, in generale, più difficili del nostro vivere. Sono anni in cui ci scopriamo davvero, in cui conosciamo della nostra identità sessuale, ivi compresi una omosessualità latente che ci porta a non esporci, in cui instauriamo rapporti e legami e altrettanti ne perdiamo.
Sarà l’arrivo di un nuovo affascinante compagno a rompere gli equilibri e a introdurre un profondo elemento di disturbo. “Il Pescatore a strascico” ha tutte le fattezze di un perfetto serial killer e il nuovo arrivato sembra esservi collegato.
«[…] E certe volte, quando mi sveglio da uno dei miei sogni su Robert o Matt o Ryan Vaughn o Thom o Susan, mi viene da ricordare che l'autunno del 1981 non è stato il sogno che nei decenni successivi mi è capitato di fingere che fosse. Ma mi sono sempre eclissato ogni volta che ho sentito il richiamo di quelle voci lontane, per andare a cercare il disco con la ragazza biondo platino in copertina, e alzare il volume, e suonarlo forte, chiudendo gli occhi e sdraiandomi ad ascoltare una canzone che parla di sogni.»
“Le schegge”, ultima fatica di Bret Easton Ellis, è un romanzo corposo, complesso e stratificato, a tratti un po’ ridondante ma che sa offrire al lettore molti spunti di riflessione. Non manca di una componente nostalgica per gli anni passati ma non manca nemmeno di critiche pungenti a una società che fa dell’apparenza e dell’opulenza il suo marchio di fabbrica per eccellenza. Un meccanismo elitario che cela un profondo disagio del vivere.
«[…] E me ne rimasi lì nella luce del pomeriggio che sbiadiva, rendendomi conto, a diciassette anni, che stavo già guardando nel mio passato - e che il passato aveva un significato capace di definirti per sempre. Ricordo quel momento come uno dei primi in cui mi avvicinai all’età adulta, in cui compresi quanto fosse potente la memoria - o comunque fu la prima volta in cui mi fece così male. E non c’era niente che potessi fare riguardo al dolore del passato - si posò semplicemente su di me. La dépendance e Matt erano una parte della mia vita che c’era stata e adesso non c’era più. Ecco tutto. Nessun altro lo sapeva. A nessun altro importava.»
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Un tuffo nella Los Angeles anni '80
Ritorno in grande stile quello di B. Ellis alla letteratura a distanza di parecchi anni, con un romanzo che conduce il lettore nella Los Angeles anni ‘80 della sua adolescenza. La metropoli californiana a modo suo diventa protagonista di una storia in cui l’autore fonde sapientemente l’elemento fiction con alcuni frammenti autobiografici del suo passato, primo fra tutti la scelta di chiamare il protagonista-narratore con il suo stesso nome, Bret, attribuendogli altresì la peculiarità di volere diventare uno scrittore.
Ecco che si viene trasportati nella vita di una serie di ragazzi appartenenti all’elite cittadina, frequentatori di una prestigiosa scuola privata, la Buckley. Ognuno dei quali dotato di auto di lusso, abituati ad organizzare ed a partecipare a sontuosi party alcolici a bordo piscina di ville altrettanto sontuose, abusando di droghe, di psico farmaci per stordirsi (e per superare l'orrore della quotidianità): “nonostante vivessimo nella teoricamente glamour Los Angeles quelli erano i sobborghi, pieni di quartieri tranquilli e alberati, di ragazzini che correvano sulle loro biciclette lungo strade deserte, di feste in piscina e grigliate all’aperto”.
Tuttavia pur essendo la L.A. dei quartieri esclusivi di Beverly Hills e Bel Air, adagiati sulle colline di Hollywood, la realtà descritta dal Bret (autore) in cui il Bret (protagonista) si muove è una zona grigia in cui oltre l’apparente facciata di spensieratezza e l’ottimismo sfrenato accompagnato dal sottofondo delle hit musicali del periodo, si nasconde una crisi esistenziale, spesso alimentata da famiglie poco presenti. Bret deve fare i conti con un momento di passaggio dall’età adolescenziale a quella matura, scoprendo la propria identità sessuale ed avendo la percezione che, per timore e per non esporsi, è preferibile nascondere la propria omosessualità e l’attrazione verso i compagni di scuola impegnandosi piuttosto in una (simulata) relazione con una delle ragazze più attraenti che conosca.
In questi dettagli e nel reticolo di relazioni amicali e amorose in cui Bret ed i suoi migliori amici si ritrovano, Ellis introduce improvvisamente gli elementi “di disturbo”, di contaminazione che ben lo contraddistinguono, visti anche nella sua opera più nota “American psyco”: l’arrivo di un nuovo affascinante compagno di scuola che sembra nascondere un passato misterioso con manifesti sintomi di disagio ed un serial killer chiamato “Il Pescatore a strascico”, che compie omicidi efferati e che in qualche modo sembra avere un collegamento proprio con il nuovo arrivato.
Come affermato dallo stesso autore, “Le schegge” è un romanzo nostalgico di un periodo storico caro a Ellis, probabilmente anche ridondante ed eccessivamente lungo, scritto però con l’intendo di sottolineare uno spaccato di società che ha fatto dell’apparenza e dell’opulenza un marchio di fabbrica ("Le nostre chance sembravano buone: eravamo giovani e vivi e forti e niente poteva farci del male, e nulla riusciva a offuscare questa percezione, questa favola riguardo al nostro posto nel mondo, e ci rifiutavamo di prendere in considerazione qualunque idea di un destino orribile o una morte atroce che avrebbero potuto strapparci dal tempio dorato dell'adolescenza in cui risiedevamo"). Una società nella quale l’abuso sfrenato di alcol, droghe e la conseguente disinibizione, nascondono un disagio evidente.
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Thriller psicogeno
….” se quelle canzoni parlavano, come un tempo avevo pensato, di un bambino che diventava uomo, ora parlavano anche, per il cinquantaseienne che ero, di un uomo che era rimasto bambino”…
“ Schegge “ è un ritorno ai primi anni ‘80, al Bret studente diciassettenne all’ ultimo anno dell’ elitaria Buckley School, una trama intrecciata e incastrata nel delirante e psicogeno mondo holliwoodiano tra feste, droga, alcool, sesso, filmografia, che sguazza in un’ epoca minimalista ispirata alla new wave e al punk, è Robert Mallory, un nuovo compagno di classe intrigante, sexy, bugiardo, è l’orrore e la paura che incute uno spietato serial killer detto il Pescatore a Strascico che si aggira nell’ ombra torturando e sventrando giovani corpi.
Giochi proibiti, desideri impuri, assenze genitoriali, ricchezza sfacciata, gesti estremi e annoiati, un mondo di niente che aspira al tutto, il desiderio di diventare uno scrittore, vuoto esistenziale in un’ anestesia del presente che vive di narrazioni parallele, confluenti e discordanti, di vicinanze lontane, di incubi, maschera artefatta di una dissoluzione famigliare accettata e protratta che ha prodotto e produce dolori e sofferenze .
Chi è realmente Bret, cosa nasconde Robert Mallory, quale il volto dell’ assassino, che cosa sta accadendo tra reale e immaginario, la trama di un film, una recita a soggetto, semplice invenzione narrativa, le memorie di uno scrittore in difficoltà, una consapevolezza ritardata a quarant’anni di distanza?
Di certo l’ autunno del 1981 ha segnato il momento dell’ ingresso nel mondo edonista e noncurante degli adulti con l’ accettazione di una serie di eventi che avrebbero condotto in città una certa dose di follia e che si sarebbero pagati a duro prezzo. Ci addentriamo nella perfetta trama di un film, un thriller dai contorni horror che origina dalla reiterata noncuranza di una classe elitaria che si nutre dei propri privilegi, legalmente amorale, legittimamente cinica, giovani in fuga da un dolore non riconosciuto, circondati e immersi in un senso di vuoto che ha il volto di una maschera di noncuranza.
Ciascuno si specchia nell’ altro vivendo la propria solitudine, Bret, la voce narrante, è travolto da impulsi erotici, recita la parte del fidanzatino amorevole, accarezzando e respingendo la propria declinazione erotico-sentimentale, travolto da un’ ondata di efferatezza, aspira alla fama letteraria, strafatto da un micidiale cocktail di alcool, farmaci, droghe, sesso, in parte ancora sconosciuto a se stesso, un adolescente completamente solo in un’ enorme casa svuotata della presenza genitoriale.
È lui la voce narrante, a quarant’anni di distanza, è lui a esporre i fatti, a porsi domande e risposte, a tracciare le linee di una trama semplice sempre più complessa.
È lui a ricordare i fatti, a tessere una tela che sembra svanire ma che ogni volta ritorna, accarezzando l’ inverosimile, spingendosi oltre, terrorizzato da supposizioni che non hanno riscontro se non nella proprio testa appesantita. La narrazione si protrae a lungo senza che nulla accada, rinchiusi in una piccolezza che si crede grande, immobilizzati dalle proprie certezze e da quel mondo imperiale nel quale si vive.
….Il sesso, i romanzi, la musica, i film rendono la vita sopportabile, non la famiglia, la scuola, la scena sociale, le relazioni”….
Per Bret, che presto sarà uno scrittore acclamato, l’ autunno del 1981 segna il passaggio dall’ adolescenza all’ età adulta, quando il dolore e la morte portano a una neo consapevolezza di se’, segnano il punto di rottura, il collasso, la perdita dell’ innocenza, l’ inizio della fine, un trauma portato avanti per sempre.
Un accadimento che ha cambiato la vita e non c’e’ nulla che si possa fare, soli con se stessi, oggi si guarda a quella storia con occhi diversi in anni generosi, una storia nella quale il mistero e il dubbio restano e resteranno, per sempre.
“ Schegge” e’ un ritorno agli anni di “ Meno di zero “ dell’ autore del famoso “ American Psyco “, è un lungo viaggio in quel 1981 che ha segnato un’ epoca e indirizzato una vita. La lunghissima recita degli accadimenti, noiosamente assorta in un cinicismo crudele ostentato sfacciatamente e orientato al proprio disfacimento, un microcosmo che nega il dolore e ne è sommerso.
I protagonisti sono giovani, sani e forti, nulla sembra toccarli, attori di un film di cui loro stessi sono in parte spettatori, una recita che a un certo punto miscela e confonde il vero e il presunto, i sogni dagli incubi, l’ amore dalla violenza se non quando li tocca direttamente.
Eppure, anche lì, toni e contorni si fanno sfumati, tutto si dissolve, nessun giudizio di merito, nessuna certezza, semplici accadimenti, il film volge ai titoli di coda, tutto è successo e riparte portando con se’ il proprio senso di disfacimento e una gravosa presenza.