Le furie
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Janet Hobhouse (1948-1991), americana, ha vissuto tra New York, Oxford, dove ha studiato, e Londra. Personaggio di spicco nella società letteraria americana degli anni Ottanta, ha pubblicato testi saggistici, e quattro romanzi. L’ultimo, Le furie, è uscito postumo nel 1993.
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Le furie
Ho sempre pensato che per uno scrittore il libro più difficile da affrontare sia quello dedicato alla propria vita, perché inevitabilmente si ritrova “costretto” a fare i conti con se stesso. Ne sono convinta ancor più dopo aver terminato questo libro di Janet Hobhouse. Un “memoriale” -così viene definito, nella breve e bellissima introduzione, da Philip Roth- attraverso il quale , la scrittrice ripercorre la sua vita, nel momento in cui di fronte all'inevitabile “punto di arrivo”, decide coraggiosamente di affrontare il suo passato.
Una vita fragile, la sua, condotta rimanendo sempre in un instabile equilibrio: composto da temporanee perdite e fragili ritrovamenti. Da cadute più o meno lunghe, più o meno rovinose, ma ritrovando sempre la forza di rialzarsi per continuare a camminare e a volte, correre disperatamente.
Una vita , la sua,vissuta attraverso continui travestimenti utilizzando abiti di sfilacciata felicità. Perché dietro ogni lacerazione della stoffa che ricopre il suo fragile corpo, si celano sempre rimpianti e rancori, incomprensioni e egoismo, inquietudine e inadeguatezza.
Una vita , la sua piena sì di amore, amore fatto di “abbracci abortiti” , di parole gridate e non sussurrate,di ricerche spasmodiche di qualcuno al quale aggrapparsi con le unghie fino a lacerare la carne, nel terrore della solitudine.
Una vita, al sua, condotta nella estenuante ricerca di colori, per ritrovarsi invece circondata sempre nella vitalità del vuoto oscuro; attraverso un tempo sterile che si srotola nel bianco e nero.
Donne
Uomini
Furie
Sola
Quattro capitoli a scandire la sua vita, quattro semplici momenti che racchiudono un’esistenza complessa e complicata, segnata da un passato che ritorna sempre corrotto e corruttibile fino a quando una persona non sia in grado di scrivere la parola” fine”.
"Ciò che mi rendeva più triste riguardo alla mia morte era che non avrei mai più potuto conoscere, amare o essere amata da nessun altro, mai più. Avevo sprecato tante occasioni e avevo alcuni rimpianti. Avevo ricevuto una buona mano di carte e ne avevo gettate via troppe. Ma avevo amato molto ed ero stata amata, e alla fine e cioè ora, era l’unica cosa che contava”