Le bestie di Rechnitz
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E che cosa ha a che fare con me?
“Le bestie di Rechnitz” è il romanzo autobiografico di Sacha Batthyany, giornalista svizzero e discendente per parte di padre della nobile famiglia ungherese dei Batthyany e per parte di madre di una importante famiglia di latifondisti ungheresi; una sua prozia era una Batthyany- Thyssen. Perché tutto questo è rilevante? Perché attraverso la storia della sua famiglia Sacha Batthyany ci racconta la Storia (con la s maiuscola) di un paese, l’Ungheria, e di un mondo, quello dell’Europa orientale, che non c’è più. Nato e cresciuto in Svizzera, l’autore non si è mai dovuto scontrare con la realtà di un Paese che avesse un passato di guerre o invasioni (-Niente fallimenti collettivi, né crisi, all’infuori di quella delle banche. La Svizzera ha conosciuto solo periodi di benessere, di sicurezza e di serenità…si potrebbe dire che un tale idillio influenzasse ogni cosa-) fino a quando nel 2006 non avviene l’episodio che fa da causa scatenante: una sua collega gli fa leggere un articolo di giornale nel quale si accusa la sua prozia Margit Batthyany-Thyssen di aver avuto una parte nell’eccidio di 180 ebrei a Rechnitz mentre nel suo castello si stava tenendo una festa. Da quel momento in poi Sacha Batthyany (servendosi anche dei diari di sua nonna Maritta e della sua amica ebrea Agnes) inizia la sua personale indagine sul passato della sua famiglia che lo manderà per otto anni in psicoterapia e lo porterà a viaggiare dalla Russia all’Ungheria, dall’Austria all’Argentina, per riannodare fili, per cercare di capire ma soprattutto per dare una risposta alla domanda che fa da motivo conduttore del libro: Quanto la storia passata della propria famiglia può condizionare il nostro essere attuale? Quanto il dolore o le colpe dei nostri familiari influiscono sui nostri comportamenti?. Questo è un bel romanzo che ha più piani di lettura, infatti può essere letto come un Bildungsroman, un romanzo di formazione, come un racconto storico degli ultimi 70 anni dell’Europa dell’Est ed infine come ricordo di fatti e dolori che ancora ci toccano da vicino. Ad un certo punto l’autore abbandona l’eccidio di Rechnitz per spostarsi su un terreno più ampio quello delle colpe (la nonna tacque sull’uccisione di due ebrei genitori di una sua amica, ugualmente colpevole rispetto alla prozia Margit) e quello dei dolori (il nonno fu prigioniero per dieci anni in un Gulag russo). A leggerlo con lo sguardo lungo questo libro ci fa conoscere l’Ungheria e il perché del successo di Orban, un Paese che da nazista (le famose Croci Uncinate), dopo la fine della II Guerra Mondiale fu smembrato, finì sotto l’asfissiante dominio sovietico che segnò anche la fine di un’epoca quella dei nobili e dei latifondisti e dove si soffrì più che altrove della mancanza di libertà. Fa molto riflettere il brano in cui l’autore scrive che sui social e sui blog noi ci esprimiamo a favore o contro qualcosa, difendiamo cause che ci sembrano giuste ma sempre virtualmente: cosa succederebbe se ci trovassimo a difendere o a rischiare nel reale? -Siamo davvero perbene come ci presentiamo virtualmente? Quanto siamo coerenti?....e scrissi quella frase: “ Daresti rifugio a degli ebrei?” e sotto la risposta: “No”-.