La vergogna La vergogna

La vergogna

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Yvetot, giugno 1952. L’universo del bar-alimentari dell’infanzia di Ernaux viene sconvolto da un episodio spartiacque, terrificante: durante una lite il padre cerca di uccidere la madre, salvata forse solo dal provvidenziale intervento della figlia dodicenne. Attraverso il quotidiano confronto con le compagne di scuola, tutte borghesi, il rapporto con il mondo di provenienza – violento, contadino, operaio, non istruito – adesso si incrina. Lo «sguardo degli altri» si fa d’un tratto macigno, capace di schiacciare ogni slancio e condizionare ogni gesto. E’ il libro in cui, come non mai, Ernaux affronta di petto l’indicibile: il trauma e la vergogna che hanno acceso in lei il desiderio di ribellarsi e di scrivere.



Recensione della Redazione QLibri

 
La vergogna 2018-12-06 11:20:24 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    06 Dicembre, 2018
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Vergogna sociale



Nel 1952 Annie Ernaux ha 12 anni...ed assiste a quella che sarà per lei una scena indelebile, indicibile, che le "farà prendere sciagura" e che segnerà la fine della sua infanzia, nonché la presa di coscienza del suo status sociale.

In un pomeriggio domenicale di metà Giugno, suo padre, in preda ad un attacco di rabbia violenta, tenta di uccidere sua madre.

"Non è successo niente" le diranno poi...
Ma lei non riesce a dimenticare, non riesce a raccontare, non riesce neanche a scrivere (fino alla stesura di questo libro nel 1995) quello che ha visto.
Dal quel momento in poi sentirà su di sé il peso della vergogna, intesa proprio come "vergogna sociale", come un marchio che le entra sottopelle e che la relegherà per sempre al di fuori del ceto borghese a cui lei tanto aspirava.
Inizierà proprio in quel momento il lento rifiuto delle sue umili origini, che la porterà a "tradire" la sua essenza, i suoi genitori, la loro cultura, il loro essere così ben radicati in quel "qui da noi", con la loro latrina in cortile, la volgarità di suo padre, la camicia da notte macchiata d'urina di sua madre, come a sottolineare una precisa linea di demarcazione tra ciò che sono e ciò che non saranno mai.
La vergogna di vivere secondo regole bigotte e perbeniste, dove "nulla si pensa e tutto si compie" come è giusto che sia, rispettando i tempi prestabiliti per ogni cosa: fare la comunione, fare la permanente, avere il ciclo, le calze da donna, bere vino, fumare una sigaretta, lavorare, frequentare qualcuno, sposarsi, avere figli, vestirsi di nero, smettere di lavorare, morire.

Essere persone a modo.
Pregare.
Sapersi comportare.
Pregare.
Essere come tutti.
Pregare.
Non credersi chissà chi.
Pregare.
Ma soprattutto, fondamentale, porsi sempre la domanda "cosa penseranno di noi"?...ed agire di conseguenza.

In un ambiente così chiuso, regolato e giudicato sulla base di certi codici, non c'era assolutamente spazio per la scena di quella domenica di Giugno.
Annie sente di non poter più appartenere alla categoria delle persone perbene,
i suoi occhi hanno visto ciò che non dovevano vedere...

Come sempre, nel suo stile unico, lucido e preciso, la Ernaux cerca di scrivere, senza vergogna, un libro sulla vergogna...unico punto di congiunzione tra la donna che scrive queste pagine e la dodicenne che le ha vissute...e senza il quale, forse, non sarebbe mai nato in lei il desiderio di ribellarsi al suo ambiente, il desiderio di essere migliore, il desiderio di scrivere.
Ancora una volta la Ernaux ci dona una parte di sé, una parte importante, la scintilla che ha acceso la fiamma della sua personalissima rivoluzione e che l'ha resa la donna che è adesso, una scrittrice di grande talento che fa ancora i conti col suo passato.




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La vergogna 2023-04-26 04:51:24 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    26 Aprile, 2023
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Mi farai prendere sciagura

"Era normale provare vergogna, come se si trattasse di una conseguenza insita nel mestiere dei miei genitori, nelle loro difficoltà economiche, nel loro passato da operai, nel nostro modo di essere. Nella scena di quella domenica di giugno. La vergogna era ormai il mio stile di vita. Di fatto, non la percepivo neanche più, mi era entrata sottopelle." È apparentemente una domenica come tante, il 15 giugno del 1952, nella casa-bottega di Yvetot, in Normandia. La piccola Annie è tornata a casa dalla messa domenicale portando con sé i dolci della pasticceria del quartiere commerciale e finalmente, chiusa la drogheria, la famiglia si riunisce a tavola per pranzare ascoltando una trasmissione comica alla radio. L'aria però si fa sempre più pesante, la madre è di cattivo umore e continua a dare addosso al padre, che non replica ma si scalda a sua volta, finché non si alza, fremendo convulso, soffiando rabbia, afferra la moglie e la trascina via, urlando con una voce che non è più la sua. Il primo istinto della ragazzina è di scappare in camera, rifugiarsi nel letto, nascondere la testa sotto il cuscino. Ma quel "figlia mia!" strillato da sua madre la costringe a reagire, a precipitarsi sul luogo dell'orrore urlando a squarciagola "aiuto!". Scesa in cantina, le si presenta agli occhi una scena raccapricciante, l'uomo brandisce con una mano una roncola, pronto a colpire la consorte che nel frattempo tiene prigioniera stringendole la spalla con l'altra mano, come fosse una morsa. Urla, singhiozzi, terrore, tutto si annebbia, finché i tre si ritrovano in cucina, ansimanti, piangenti, cercando di tornare normali, e Annie pronuncia una frase, rivolta a suo padre: "Mi farai prendere sciagura". Una sorta di profezia, perché davvero da quel momento in poi, per la ragazza niente sarà più come prima. La dolcezza che fino a quel momento ha pervaso la sua vita, la sensazione di positività verso il futuro, la leggerezza con cui si dilettava a cantare Mexico e Voyage à Cuba, scompaiono per sempre lasciando il posto alla vergogna. Da quel giorno, Annie sembra guardare la vita attraverso un filtro che le fa percepire tutto ciò che la circonda in maniera differente, la fa giocare, leggere, comportarsi come al solito, ma come se fosse staccata dalla realtà, come se tutto fosse artificiale, la noncuranza che fino a quel tragico evento le permetteva di vivere con leggerezza, di riuscire con facilità nello studio, diventa un'ipercoscienza che le rende tutto pesante, difficile, insormontabile. Questa nuova condizione mentale mette la ragazzina di fronte ad una presa di coscienza che si trasforma presto in vergogna. Annie si rende conto che lei e i suoi genitori non sono quello che pensava, che non appartengono alla categoria delle brave persone, "che non bevono, non alzano le mani, si vestono come si deve quando vanno in centro. Potevo pure presentarmi con un grembiule nuovo a ogni primo giorno di scuola, avere un bel messale, essere la prima in tutto e recitare regolarmente le preghiere: ormai non somigliavo più alle altre ragazzine della classe." Annie ha visto ciò che non doveva vedere, sapeva ciò che non doveva sapere, faceva ormai parte di chi per violenza, alcolismo, follia, era protagonista di quei pettegolezzi che finivano sempre con quel biasimevole "mette sempre tristezza vedere queste cose". La vergogna prende il sopravvento, si espande al di là dell'episodio, travolge la volgarità del linguaggio domestico, la sciattezza del vestire (emblematica la camicia da notte sporca di urina con cui la madre apre la porta a lei e alle sue accompagnatrici di ritorno da una gita scolastica), la condizione di ex operai, le difficoltà economiche derivanti da un'attività commerciale con l'acqua alla gola, la trivialità della clientela. La vergogna cresce, uscendo dalla cerchia famigliare, invadendo l'intero ceto sociale cui si rende conto di appartenere, diverso, inferiore, lontano da quello delle sue compagne alla scuola privata cattolica cui è iscritta ma della cui perfezione, eccellenza, non si ritiene più degna. Per Annie Ernaux non è stato facile parlare di un evento autobiografico come questo, un episodio che non è mai riuscita a mettere per iscritto, neanche sul suo piccolo diario, come se fosse impossibile farlo, come se fosse un gesto proibito che meriti una punizione, quasi che, dopo averlo raccontato ai suoi lettori, non avrebbe più potuto scrivere altro. Un gesto che invece si rivelerà, a suo dire, quasi catartico, derubricando l'accaduto a episodio banale, frequente in quasi tutte le famiglie normali. Anche il terrore che la cosa si potesse ripetere, che ha accompagnato i sentimenti della bambina per diversi anni, si è per fortuna rivelato infondato. Ma la vergogna, quell'ineluttabile compagna di vita che l'ha accompagnata per un'intera esistenza, quella rimane, quella non si può cancellare, derubricare, ignorare. "Forse tutto ciò è solo un'illusione, ma non posso mettere in dubbio quel che ho provato. Anche il ricordo è un'esperienza. (Shoehi Ooka, La Guerra del soldato Tamura)"

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La vergogna 2022-11-13 16:01:31 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    13 Novembre, 2022
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La vergogna delle proprie origini.

Ognuno di noi vorrebbe lasciare un’impronta del suo passaggio terreno in modo da venir ricordato il più a lungo possibile prima di scomparire per sempre nel nulla. Anche Annie Ernaux ci ha lasciato, a questo scopo, numerose memorie autobiografiche sulla sua vita e sui principali eventi che l’hanno caratterizzata, tra i quali “La vergogna” (pubblicato da Gallimard nel 1997 e, in Italia, da L’Orma nel 2018), un testo che ripercorre l’infanzia della scrittrice ed un successivo periodo scolastico, argomenti che in effetti dividono il libro in due parti. Nella prima, è narrato un evento terribile che verrà ricordato con angoscia dalla piccola Annie: un furioso litigio tra i genitori seguito da un tentato omicidio della madre da parte del padre, armato di roncola, un’immagine di violenza domestica che resterà impressa indelebilmente nella mente della figlia provocando un sentimento di vergogna nei confronti dei genitori, tranquilli e sereni in pubblico, sguaiati e volgari nell’intimità. Una vergogna che la piccola proverà anche per le origini modeste della famiglia, la scarsa cultura, il tipo di linguaggio, il conformismo in ambito sociale, le difficili condizioni economiche. Insomma, vergogna per le proprie origini: una vergogna che emergerà anche nella seconda parte del libro, quando Annie inizierà a frequentare una scuola cattolica privata, retta da insegnanti religiose, a contatto con compagne di diverso ceto sociale. Costrizioni e divieti, insegnanti rigide, il “lei” obbligatorio, ingresso agli uomini proibito tranne che ad un vecchio giardiniere, il tutto scandito da atti di devozione e preghiere ad ogni piè sospinto. Nonostante tutto, la ragazza se la cava bene, condizionata però da un costante senso di inferiorità rispetto a compagne più fortunate, convinta di non appartenere alla categoria delle persone perbene, che non bevono, non alzano le mani e si vestono come si deve: “potevo pure presentarmi con un grembiule nuovo, ma non somigliavo più alle altre ragazzine della classe”. Un senso di vergogna che proverà anche durante un pellegrinaggio a Lourdes con il padre: i due saranno emarginati, durante il viaggio, dal resto della comitiva costituito da persone o coppie più facoltose, anche in occasione di una sosta sulla spiaggia di Biarritz, dove Annie sprovvista di costume, tutta vestita e con le scarpe ai piedi, proverà ancora una volta, “in mezzo a corpi abbronzati e in bikini”, un senso di profonda inadeguatezza. Ricorderà anche la rabbia del padre, che, al ristorante, si lamentava di essere stato trattato con disprezzo perché “non faceva parte della clientela elegante che ordinava alla carta”.
Nell’ultima parte del libro, la Ernaux si dilunga nella descrizione del paese in cui è nata e cresciuta, tipico della provincia francese del dopoguerra: è un quadro minuzioso, particolareggiato, accompagnato da riflessioni sulla sua famiglia, la religiosità tutta superficiale della madre, i pettegolezzi, le abitudini consolidate, i gesti quotidiani che distinguono gli uomini dalle donne, i rapporti con gli altri, tutti condizionati da regole e codici immutabili, tutti convinti che non ne possano esistere altri.
Annie Ernaux inizia la stesura del libro nel 1994, convinta che tutto nell’esistenza della sua famiglia d’origine sia stato fonte di vergogna, “la latrina in cortile …, gli schiaffi e le parolacce della madre …, i clienti avvinazzati …, l’appartenenza ad una classe che la scuola privata trattava con disprezzo e ignoranza …”, e che la vergogna fosse diventata ormai il suo “stile di vita”.
Ora, conclude, non ha più nulla in comune con la ragazzina di quei lontani anni, tranne il ricordo lancinante di quella tremenda scena del litigio tra padre e madre, scena che non l’ha mai abbandonata e che l’ha spinta a scrivere il libro.
Lo stile narrativo è il tratto caratteristico della Ernaux: preciso, stringato, lucido, racconta semplicemente i fatti così come sono avvenuti, senza approfondimenti avventati né giudizi superficiali. Bastano i fatti, nudi e crudi, a sottolineare il coinvolgimento emotivo di chi narra, anche a distanza di anni, anche se i ricordi tutti, tranne il più dirompente, sono ormai sbiaditi e superati da una vita soddisfacente.
Nelle autobiografie della Ernaux, la vergogna intesa come turbamento interiore verso ciò da cui si proviene è sempre in primo piano, un nemico difficile da annientare: con il tempo, però, tende a sbiadirsi, con la consapevolezza di aver superato i momenti difficili della vita confidando, contro tutto e tutti, nelle proprie forze e nella speranza di una vita migliore. La vergogna si è trasformata in compassione, la compassione in comprensione e, forse, in tenerezza.



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"Gli anni" e "Il posto" di Annie Ernaux.
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La vergogna 2020-07-21 22:44:27 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    22 Luglio, 2020
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Vizio di forma

Dopo che l’editore Gallimard l’ha inserita nelle proprie collane, Annie Ernaux è divenuta un’autrice quasi di culto, considerata capace di ridefinire un genere, quello dell’autobiografia, dilatandone e quasi annullandone i confini, che finiscono per abbracciare l’analisi sociale, culturale e la ricostruzione storica. E certo la scrittrice ha un modo peculiare di procedere, quasi per schemi: l’evento autobiografico, che si configura come un trauma, un punto di rottura, apre la narrazione e si riverbera a cerchi concentrici per tutte le pagine successive. In questo breve testo, “La vergogna”, Annie ricorda una domenica d’estate, la domenica in cui suo padre tentò di uccidere la madre e di come nulla, da lì, fu più come prima. A leggere le prime pagine, in effetti, il libro prende la strada di una ristrutturazione psicologica, di una disamina attenta di come quanto l’autrice ha vissuto ne abbia poi condizionato la vita. Le stigmate del passato, ci ricorda le Ernaux, vanno masticate, metabolizzate e digerite, eppure scoprire il velo del dolore, il silenzio greve degli anni, affrontare ancora gli istanti più cupi della propria storia, richiede un coraggio insolito, un coraggio che a molti manca e che più di tutto reclama la necessità di sapersi perdonare per non essere stati abbastanza, per non essere riusciti a impedire il tragico, per essere stati fragili e deboli quando la vita pretendeva forza e resistenza. Il dolore di questo evento, il cui ricordo non ricompone la memoria, ma anzi ancora più la frantuma, è talmente incandescente da dover essere neutralizzato da una scrittura algida, cerea, asettica; una scrittura “entomologica”, come programmaticamente la definisce la Ernaux, volutamente fredda, che non di rado procede per punti ed elenchi, centrata com’è sul ricorso a un linguaggio nudo e concreto, lontano da orpelli e metafore.

Personalmente non sono contrario ad uno stile freddo se questo è giustificato dal contenuto, ma mi pare che la rigidità del tono mal si adatti al resto del libro, che tratta con disincanto l’ipocrisia e la finta educazione della società coeva, la rigida educazione nel collegio cattolico, le norme e i precetti da seguire per non sfigurare, il cortile dove defecare, la casa-emporio-bar senza angoli di privacy, le gite a Lourdes, la rigida tassonomia urbanistica ed economica delle strade della città: quando il fuoco della narrazione si allarga al contesto, la freddezza del tono scade nella telegrafia e contribuisce, nella completa assenza di respiro narrativo, a scoperchiare una grossa criticità strutturale; “La vergogna” è un testo sospeso, non concluso, il tassello di una più grande progetto autobiografico che si intravvede e credo si ricomponga leggendo gli altri testi dell’autrice, ma che letto singolarmente galleggia nell’universo dell’indefinito.

Concludendo “La vergogna” non è un brutto libro e credo che Annie Ernaux abbia un proprio timbro specifico e una profonda sincerità narrativa, ma il testo pare piuttosto sbilanciato, asfissiato com’è da uno stile che non lascia spazio a nulla se non una cronaca austera, in bilico tra la biografia, l’analisi sociale e la volontà narrativa e castrato da una lunghezza insufficiente alle ambizioni. Non fatico però a credere che l’autrice possa essere molto apprezzata e avere molto seguito: c’è qualcosa di così dolorosamente vero in quello che scrive da costringere il lettore a una franchezza perentoria con se stesso. Il problema è che qui la forma non è in grado di sostenere il peso dell’opera.

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L'analisi sociale ricorda Simenon, che è però di un altro livello. L'esperienza psicologico-biografica ricorda i romanzi di McGrath, che però si muove su binari molto più definiti.
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